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Mario Amato
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PICCOLE GRANDI BATTAGLIE
 
Al pellegrino che si reca in visita a Verdun, dove fu combattuta la più lunga e sanguinosa battaglia della prima guerra mondiale, appaiono dapprima croci sparse qua e là, poi, pian piano che si avanza in quello che fu il teatro degli scontri, la vista si perde in un mare di croci e tutto è avvolto da un silenzio quasi religioso o meglio sepolcrale. Il museo presente in questo luogo di morte, monumento alla malvagità e alla stupidità umana, è stato costruito su una trincea, che il visitatore vede ovviamente secca, ma la si può immaginare com’era dal 21 febbraio 1916, data dell’inizio della battaglia, fino al 21 dicembre dello stesso anno, quando lo scontro terminò. Nel museo ci si aggira fra fucili, granate, medaglie, divise, ma chiuso nelle vetrine insieme a questi strumenti di morte c’è un oggetto singolare: una piccola scacchiera spezzata in due da una bomba e la sua storia è davvero insolita.
Cominciò su un treno: Rainer Grossgrün, ufficiale dell’esercito austro-ungarico, in una sera del 1913 salì a Trieste, la sua città, su un treno diretto in Ungheria per una breve vacanza. Sistemò il leggero bagaglio, appese il cappello, perché era in abiti civili, si sedette comodamente e aprì il giornale in italiano (ne aveva un altro in tedesco). Era contento di trovarsi completamente solo, ma questa sua felicità durò un tempo brevissimo, poiché un signore distinto aprì la porta e chiese cortesemente di poter entrare. “Tutti i posti sono liberi” precisò Rainer Grossgrün. Il signore in questione era Marius Mati, professore di storia italiana all’università di Trieste. Egli era un irredentista convinto, sebbene non facesse parte di alcuna organizzazione; le sue erano appunto soltanto convinzioni; certo in quel momento non immaginava di trovarsi in compagnia di un ufficiale asburgico così come quest’ultimo non supponeva di avere dinanzi un futuro nemico. Spesso nelle lezioni che il professor Mati teneva ai suoi studenti, in tedesco o italiano, immetteva qualche accenno al diritto dell’Italia ad avere Trieste e le altre terre. Di opinioni del tutto opposte era il sottotenente Rainer Grossgrün, il quale riteneva l’Impero austro-ungarico un caposaldo delle civiltà e dell’Europa, eppure i due avevano qualcosa che li accomunava: la passione per il gioco degli scacchi! Ambedue avevano una piccola collezione di scacchi artistici: la scacchiera preferita di Marius Mati era un piccolo gioiello in cui i pezzi erano composti da soldati garibaldini e soldati dell’Impero asburgico; naturalmente gli alfieri reggevano la bandiera tricolore da una parte e quella della austroungarica dall’altra, mentre la scacchiera prediletta di Rainer Grossgrün era quella i cui pezzi riproducevano da una parte i soldati di Solimano I il Magnifico, il quale assediò Vienna nel 1529, e dall’altra i militi austriaci. Naturalmente entrambi usavano raramente questi piccoli gioielli, perché, come tutti i giocatori di scacchi, essi preferivano la versione Staunton.
Questi due uomini stavano in silenzio l’uno di fronte all’altro, mentre il rumore monotono del treno accompagnava la lettura dei rispettivi giornali e i loro pensieri, finché il sottotenente si rivolse gentilmente al suo sconosciuto compagno di viaggio: «Mi perdoni l’invadenza, Lei gioca a scacchi?»; «Sì, gioco a scacchi» rispose il professore; «Ho una piccola scacchiera con me. Vorrebbe fare una partita? Il viaggio è ancora lungo»; «Volentieri». Rainer Grossgrün vinse i bianchi e la partita cominciò, ma egli non immaginava di combattere con un così degno avversario. In genere i neri sono i pezzi destinati alla strenua difesa, invece Mati attaccava su ogni lato della scacchiera: per lui la bandiera tricolore sventolava su quel quadrato bianco e nero e ogni casa era una terra conquistata dall’Italia; Grossgrün difendeva Vienna dall’assedio dei mussulmani, difendeva l’Europa e la sua civiltà.
La partita fu vinta dal professore, ma il sottotenente chiese la rivincita e vinse. I
Il treno rallentò: stavano entrando nella stazione di Budapest. Presero i rispettivi bagagli, si salutarono senza tuttavia scambiarsi gli indirizzi, scesero dal treno e si persero tra la folla. Avevano trascorso ore insieme, senza sapere niente l’uno dell’altro, senza conoscere i rispettivi nomi. Erano stati semplicemente due giocatori di scacchi, nient’altro. Non si rividero fino al 1916. Venne quella terribile data segnata sui libri di storia, 28 giugno 1914, quando i due colpi di pistola sparati da Gavrilo Princip echeggiarono in tutta Europa. “Sarajevo”, scrisse più tardi Joseph Roth, “non dovrebbe essere una città, dovrebbe essere un monumento a terribile monito per tutti” (1). E la guerra scoppiò.
Sui treni non si giocava a scacchi, non si facevano conoscenze, giovani e meno giovani viaggiavano verso i campi di battaglia; austriaci, ungheresi, tedeschi, italiani, serbi, francesi viaggiavano verso la morte, con le loro divise, che presto sarebbero state sudice e maleodoranti come i loro sogni di gloria.
Il sottotenente Rainer Grossgrün nel 1916 fu inviato sul fronte francese insieme al suo reggimento per dar manforte all’esercito tedesco.
All’inizio della guerra il professor Mati era partito alla volta dell’Italia, convinto che l’Italia sarebbe entrata subito in guerra contro l’odiata Austria-Ungheria, ma la nazione temporeggiava, mentre egli era ansioso di lottare, non più su una scacchiera ma sui veri campi di battaglia; allora si era recato in Francia e si era arruolato come soldato semplice nell’esercito francese: un fucile in più fa sempre comodo.
Nel 1916 il professor Marius Mati e il sottotenente Rainer Grossgrün si trovavano a Verdun. Quei due uomini, che avevano trascorso alcune piacevoli ore insieme giocando con innocenza due partite a scacchi, erano pronti a uccidersi. Spesso essi avevano pensato a quell’incontro e si erano rammaricati di non essersi scambiati gli indirizzi, di non essersi presentati, ma quell’assurda guerra avrebbe fatto in modo di metterli ancora una volta, forse l’ultima, l’uno di fronte all’altro.
Era una sera di marzo, o forse d’aprile dell’anno del Signore, o forse del diavolo 1916, nel campo di Verdun tutto taceva, dall’una e dall’altra parte si attendeva l’attacco. Nel campo tedesco il sottotenente Rainer Grossgrün stava istruendo gli ultimi arrivati sulle incursioni nel campo nemico, quando ebbe l’idea di dare una dimostrazione pratica a quei giovani; scelse una piccola pattuglia, prese la sacca con le granate e ordinò di avventurarsi in campo aperto; dalla parte francese il comandante decise che bisognava attaccare e fra i prescelti c’era il professor Marius Mati. Prima strisciando, poi correndo, i due piccoli drappelli avanzavano finché si videro in quella notte e iniziarono a sparare: fu un terribile scontro in cui morirono tutti, ad eccezione del sottotenente e del professore. Stavano l’uno di fronte all’altro, come in quella notte sul treno, con il fucile puntato, pronti a fare fuoco, quando un fulmine, uno strano fulmine in quella notte serena, illuminò i loro volti. Si riconobbero ed esitarono: amici per una notte, nemici per sempre. Una lacrima scese sui loro volti, Rainer Grossgrün fu il primo ad abbassare il fucile; poi anche Marius Mati pose a terra l’arma; il sottotenente si sedette a gambe incrociate e altrettanto fece il professore. Grossgrün ricordò che nella sacca aveva la piccola scacchiera, perché forse la portava con sé come portafortuna; senza una parola la tirò fuori e la pose per terra, su quella terra di morte.
Tutto taceva, giocavano un’assurda partita, dimentichi del luogo in cui si trovavano, delle loro convinzioni politiche, dei cadaveri intorno a loro, quando una granata, lanciata dall’uno o dall’altro campo, esplose vicino a loro: schegge spezzarono quelle due vite e spezzarono la scacchiera.
Se vi recate in visita a Verdun, guardate la piccola scacchiera nella vetrina del museo e dite una preghiera affinché quei due soldati possano ancora giocare, ovunque si trovino ora…

1)Roth Joseph, Frankfurter Zeitung, 1927