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Alfonso Cardamone
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DAI RACCONTI SURREALI AL FRANGIALLO
 
Frangiallo, opera giovanile di Libero de Libero (1903-1981), messa in scena il 19 gennaio 1929 da Anton Giulio Bragaglia al Teatro Sperimentale degli Indipendenti di Roma, non è testo di immediata e soddisfatta comprensione.
Al fine di accostarla senza troppo correre il rischio di fermarsi ad una riduttiva suggestione meramente impressionistica, sarà opportuno provare ad analizzarla verificandone contenuti e forme, ambienti e personaggi (come e fin dove sarà possibile) a fronte del complesso dei temi fondamentali della poetica deliberiana. Naturalmente, richiamando in primis quelle cifre che –giusta la lezione di Gaetano Mariani(1) , a cui direttamente e senza veruno ritegno ci rifaremo nelle sommarie note generali che introdurranno il nostro ragionare intorno al Frangiallo - risultino condivise sia dall’esperienza del poeta De Libero che da quella del prosatore.

Intanto, la concezione della natura;
Quindi – e in stretta connessione – la concezione dell’uomo o, per meglio dire, della vita dell’uomo.

Se è vero –come nota il Mariani- che il poeta De Libero aspira ad una visione della natura che sia apportatrice di una serenatrice certezza e di una personale conquista dell’anima; è anche vero che a tale visione egli perverrà, e a costo di molta fatica e sofferenza, solo con il canto di Ascolta la Ciociaria. Nelle prime poesie –apprendiamo,dunque- e, ancor di più, nelle prime prove di narratore, la natura gli appare quasi sempre velata da una venatura d’ombra, come colpita da un’ancestrale maledizione, da cui tende faticosamente a svincolarsi.
Non a caso –si ricorda- Oreste Macrì parlò, a questo proposito, di valli castigate d’inerzia, terre che si pascono di erba avara, mari soggiogati dalla luna. E, per fare un esempio, il sole non è descritto come astro di incontaminata lucentezza, bensì come macchiato di “oscuro splendore”, espressione costruita, come ben si vede, con un oxymoron che comunica un indiscutibile connotato di aridità, di malattia. Ecco, nel quadro di quello che è stato definito il fervido analogismo della poetica deliberiana, non casualmente, aggiungiamo noi, l’oxymoron viene a marcare una delle principali crifre stilistiche della formazione letteraria del nostro.
E come la natura, che –sempre ricorrendo al Mariani- gli si manifesta tormentata intimamente, costantemente corrosa da qualcosa di oscuro, così gli appare la vita dell’uomo, corrosa dall’insopprimibile piaga della morte: “la morte finisce per annidarsi nella vita stessa, regolarne il ritmo, scandirne i momenti”. Così, inevitabile è per il poeta l’esperienza del dolore, che dall’autore si trasfonde, sin dalle più giovanili prove, anche nei personaggi che popolano le sue pagine di teatro e di narrativa.
Si veda, a questo punto, in modo particolare, L’uomo dalla faccia guasta (giugno 1928), la cui vita è indubbiamente un’angosciosa eredità di sofferenza e di incurabile malattia, che ne condizionano l’esistenza: Nutrito del male che aveva consumato la famiglia, era cresciuto vecchio e senza sangue, il corpo tarlato e insensibile, le braccia logore, le mani legnose e senza tatto che si piegavano monche; il volto fradicio e duro, gli occhi sempre aperti perché senza palpebra (oltre che un individuo disgustoso, guardando alle spressioni che abbiamo sottolineato si direbbe ancòra un grottesco insensibile burattino; ma su questo aspetto torneremo più avanti nel nostro discorrere).

Nella narrativa –e segnatamente in quella degli esordi- la presenza corrosiva della morte come inguaribile malattia, si connota più densamente dei toni del macabro, del grottesco, del deformante, del caricaturale. E ciò spiega il titolo di questo nostro intervento: “dai racconti surreali al Frangiallo”, che non pretende certo giustificazioni dal ricorso ad una linea di sequenzialità “cronologica” (alcuni scritti essendo coevi del Frangiallo, mentre altri ad esso di poco posteriori), quanto piuttosto da un gioco di reciproci richiami che dai racconti possono ricondurci alla commedia, alla sua atmosfera, ai suoi personaggi, alla sua stessa trama, a meglio chiarirne il senso di appartenenza ad un comune universo di scelte culturali e letterarie.

Racconti surreali, quelli tra il 1928 e il 1935? Surrealista il Frangiallo? Qui non dobbiamo scomodare una presunta, e impossibile, linea di appartenenza e neanche di filiazione diretta, né tantomeno una professione di fedeltà paradigmatica al movimento surrealista francese. Se pensiamo al Surrealismo come al movimento che esaltò con assoluta determinazione anche teorica l’onnipotenza del sogno, la forza liberatrice dell’erotismo e del desiderio, la valenza rivoluzionaria attribuita (in tutti i sensi, artistici culturali politici) all’irrazionale, allora siamo ancora decisamente lontani dalle atmosfere delle prose deliberiane. Ma Franco Fortini ci ha reso avvertiti che, comunque, accanto a questi aspetti, come dire, primari del Surrealismo, pure s’accampava, nei suoi autori, artisti e poeti, una sorta di tanatofilia, di passione malata, di attrazione fatale per la morte, documentata non solo dalle opere di molti pittori surrealisti, ma anche dall’ enorme cumulo dei testi e delle liriche «automatiche(2)» . E inquietante è il giudizio del critico, secondo il quale da tutto questo materiale spirerebbe un alito di deposito da rigattiere, di spoliario, di crematorio abbandonato da ultimi reparti in fuga(3) .
E, in realtà, il sogno, nella sua duplice natura ad un tempo fisiologica e simbolica, può essere convincentemente espressione sì di desideri e di pulsioni/aspirazioni ad una pienezza di vita, che ambiscono ad essere liberati dalle repressioni e frustrazioni imposte dalle regole morali, sociali, culturali, politiche di una società repressiva, ma anche, e diversamente, mascheramenti delle pulsioni di morte, prefigurazioni dell’oscuro richiamo della morte (nei Racconti surreali(4) , così come nel “Frangiallo”, per esempio, si può anche morire nel sonno e del sonno!).

Così, in De Libero, non sono rari i riferimenti ai depositi da rigattiere, agli immondezzai, ai detriti da crematorio.
Brancona, il pupazzo enorme di un racconto pubblicato nel dicembre del 1928 (Brancona regina), dal corpo largo e nutrito e dalla nascita incerta (così come pupazzo e burattino dai natali incerti si presenta nella commedia Frangiallo), forse poteva essere stata ritagliata da un rigattiere, in notti insonni, da invernali coperte imbottite, luride e gonfie; e l’ Uomo dalla faccia guasta (giugno 1928) fu cenciaiolo notturno, con un pezzo d’immondizia in bocca. Altrove, anche i mondezzai scontano (o beneficiano) della concezione ambigua, complessa e contraddittoria, abbiamo detto oximorica, che il De Libero ha della natura e dell’umano: così sotto il sole possono diventare addirittura prati favolosi fioriti di vetri colorati (in Appunti per una fanciullezza del 1929), oppure possono costituire una delle vie – l’altra è il cielo, in trasparente e anche simbolica contrapposizione-, vie passibili di essere intraprese dai rimasugli dei capelli delle donne che si pettinano al sole e che si alzano tenui dalla via e nell’aria (in Acquario, 1929); dove i capelli, fluttuanti tra il più alto (il cielo) e il più basso (gli immondezzai) sono, qui come anche e soprattutto nel Frangiallo, trasparente medium di forte valenza erotica, come a dire che l’eros può prendere indifferentemente ora l’una ora l’altra strada.
Comunque, non sarà senza senso se la Stanza semibuia del Quadro Secondo di Frangiallo, dove il protagonista incontra la madre che non ricorda di avere, viene descritta come la stamberga di uno stracciarolo.

L’espressione “la madre che non ricordava di avere” introduce un altro tema e fondamentale intorno al quale si costruiscono le atmosfere psicologiche sia della commedia che dei Racconti: il motivo che Giuseppe Lupo ha chiamato il “naufragio della memoria”(5) .
Come il giovane Casildo del racconto L’uomo dalla faccia guasta, che non si sforza di ricordare la madre e che, quando l’Uomo gli disse che gli era padre, pianse a lungo, perché non lo riconosceva; così Frangiallo neanche ricordava che avesse mai avuto una madre. Questo naufragio della memoria è spia di un disancoraggio psichico più generale, di una vera e propria disposizione al sonnambulismo, che dai racconti tracima nel Frangiallo e da questo a quelli. Qui si tocca con mano –come altri ha già rilevato(6) - sia la prossimità di De Libero alla linea della corrente poetica orfico-surreale, sia “il debito contratto con i pittori della Scuola romana”.
A proposito di questo debito, sarà opportuno evidenziare che non sono pochi i passi che nei racconti sembrano ispirati direttamente da figurazioni ora metafisiche alla De Chirico, ora surrealiste, ora ispirate al dinamismo futurista, ora rimemorate su una suggestione macabra della classicità: si veda, ad es., l’espressione Ora la luna si teneva nelle mani la testa tra la folla dei castani, del racconto Storia di buttero (1929, marzo), che non può non richiamare le due maschere lunari del “Mosaico delle maschere” dei Musei Capitolini, qui reinterpretate e tuffate in un’atmosfera da incubo lunare in cui non a caso gli occhi del cavallo sono in fine pietrificati dal fascino meduseo della luna.
La pietrificazione. Il sonno. Il sonno, che a volte può avere una valenza erotica -si veda il più antico dei racconti, La mia statua e la sua (primo aprile 1928), dove del protagonista leggiamo: Anch’io mi addormentavo un poco e mi svegliavo con la bocca assetata. Non c’erano fontane ed ella mi faceva bere ai suoi seni duri quasi brocche di rame (e la funzione erotica del sonno qui è preceduta e preparata dall’insistenza sul motivo sensuale della cura dei capelli femminili: con i capelli mi puliva il volto rugiadoso, e se li pettinava e li intrecciava a piccole trecce, motivo infinite volte modulato nel Frangiallo, e si pensi all’ambigua sensualità della fanciulla Fuzzella, sempre alle prese con pettini e capelli), il sonno –dicevo- il più delle volte è porta all’incubo, alla metamorfosi che pietrifica o mummifica. E’ un corpo mummificato anzitempo, quasi un santone di villaggio, leggiamo nell’ Uomo dalla faccia guasta, che è quasi una parodia dello stesso Frangiallo. E, infine, il sonno è preparazione, stadio e persino compiuto stato di morte. Non suda più, è caduto nel sonno dice, nel finale del Frangiallo, il Ragazzo, quando Lero, il vero o falso padre che lo aveva corrotto, finalmente muore.
Lero è un personaggio chiave della commedia: se da una parte è quasi una trasposizione perfetta dell’ Uomo dalla faccia guasta (la sua faccia nera è consumata da un’ignota malattia e, come quello, egli guarisce solo succhiando salute dal Ragazzo), dall’altra condivide significativi tratti tipici dello stesso Frangiallo (non ha palpebre per piangere, non ha bocca per ridere, i denti gli ridono senza labbra, come una statua, appunto, o un burattino, quasi una versione macabra e lugubre del Frangiallo pazzerello e danzerino).
Quando Lero s’irrigidisce nella morte, Frangiallo, al contrario, che era una specie di grottesco burattino di terracotta, rinasce uomo fatto di carne nel letto dell’ostessa Mitirda.

La carne –ecco- è la vera ossessione sia di Frangiallo che di Lero e di tutti i personaggi della commedia, nonché dei racconti surreali. Carne come cibo di cui ingozzarsi, carne come corruzione e malattia, carne che si gonfia e imputridisce. E carne, ancora, come sensuale ostia salvifica, che trasforma e rende uomini.

Ecco, questa è la parabola di Frangiallo, alla cui natura e alle cui vicende non sono estranee quelle parallele di Brancona regina o dello stesso Uomo dalla faccia guasta dei cosiddetti racconti surreali, ambedue ricollegabili per aspetti diversi, ma complementari, alle peculiarità individuali e distintive del personaggio Frangiallo.

1 ) Si veda Gaetano Mariani, Libero De Libero, in Letteratura Italiana – I Contemporanei, v. III, Marzorati, Milano 1969.
2) Si veda Fortini-Binni, Il movimento surrealista, Garzanti, Milano 1977.
3) c. s.
4) Si veda Libero De Libero, Racconti Surreali, a cura di Giuseppe Lupo, Nino Aragno editore, Torino 2002.
5) Si veda Tra visioni e metamorfosi: Libero De Libero narratore surreale, introduzione di Giuseppe Lupo ai Racconti Surreali.
6) c. s.