il tempo della festa 
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Severo Lutrario
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I TEMPI E LA FESTA
 
Profondamente si compiace Dioniso quando
sui monti dopo la corsa dei thiasi si abbatte
a terra rivestito della sacra nebrìde e
dopo aver gustato le crude carni dei capri svenati
se ne va verso i monti della Frigia o della Lidia

(Euripide, Baccanti 130-140)

Bizzarra idea la catalogazione del tempo, di un'entità che di fisico non ha che l'inesorabile montare dell'entropia che del caos è misura e, forse, per questo, quindi, dismisura. ...
Idea bizzarra questa catalogazione di rivoli soggettivi o collettivi d'esperienza per loro natura sfuggenti ad una qualche indicizzazione bibliotecnica, ma certamente più bizzarra è la specificazione della voce di catalogo proposta: la festa, ovvero il tempo di qualcosa che non c' è.
C'è stata, di certo, la festa, al tempo della dea plurimammellata, quando la famiglia e la tribù, rnatrilineari, orizzontali, prive delle escrescenze orografiche del potere, producevano un comune percepire l'individuo, la comunità e le immani potenze dell' esterno. Ha un significato, per allora, parlare di un tempo del lavoro, di un tempo cioè in cui si provvedeva al sopravvivere, e di un tempo per la festa, di un tempo, cioè in cui la comunità tentava apotropaiche interlocuzioni con quelle terrifiche potenze dell' esterno.
Ha ancora in parte senso la voce di catalogo proposta nelle società tradizionali quando al percepire ancora oggettivizzabile delle classi popolari si assomma una ripartizione del tempo altra, propria delle classi aristocratiche, che al tempo apotropaico della festa sostituiscono il tempo ludico. Ma non solo, fin da subito e con la devastante efficienza clericale che ben conosciamo poi, l' aristocrazia ha saputo riplasmare le ritualità popolari sovrapponendovi canoni religiosi o civili utili a veicolare la cultura della propria preminenza, utili alla perpetuazione del proprio dominio.
Ma ha ancora senso, comunque, parlare della festa, in quanto la sua funzione apotropaica aveva almeno in parte resistito, tant'è che abbondanti tracce di essa si possono tuttora riscontrare nelle realtà sociali più conservative.
Diviene, di contro, già vacuo parlare di festa quando il capitalismo borghese decentra sul profitto la scala dei valori causando in tal modo la rottura d'un equilibrio produttivo sino ad allora basato sulla sussistenza. Lo squilibrio generato allora ha causato l'esistenza strutturale di un surplus di merci e beni (a detrimento delle risorse e degli "altri") che ha richiesto la manifestazione di un plusvalore temporale necessario alla proliferazione di una domanda "altra" dalla sussistenza, di una domanda di quelle merci e di quei beni, appunto, in surplus.
Nello stesso tempo, e funzionale alla rivoluzione economica, si è avuta la messa al bando dell'immanenza della morte, operata dall'illuminismo, che avrebbe portato all'inaridimento delle ritualità apotropaiche vieppiù sostituite dalle funzioni placebiche dello psicologismo.
Questi due fattori, plusvalore temporale ed inaridimento delle ritualità apotropaiche, hanno comportato progressivamente ed inesorabilmente il venir meno di quel percepire comune anche tra le classi popolari, hanno portato ad una progressiva, generale, soggettivazione dei bisogni. Caduta la funzione apotropaica tribale al tempo della festa si è sostituito il tempo "libero", ovvero il tempo del riposo e del recupero delle energie fisiche e mentali all'apparenza gestito soggettivamente e democraticamente ed in realtà imposto nella quantità dalla suddivisione nelle diverse classi sociali e nella qualità dai bisogni indotti e dalla cultura individualmente acquisita.
In sostanza nella società borghese classica non si ha più la festa ed un suo tempo e neanche un tempo oggettivamente riconducibile ad esigenze collettive, ma tutta una serie di tempi tra loro non commensurabili in quanto sostanziati individualmente o da gruppi specifici di popolazione.
Ma anche la società borghese tradizionale ha finito per essere soppiantata, nell' epoca del capitalismo avanzato, dall'organizzazione fordista che alle grandi concentrazioni produttive, all'imposizione di concezioni urbanistiche e ambientali funzionali alla produttività ha sovrapposto una contingentazione del tempo, anch'essa rigidamente funzionale alle esigenze della produzione e del mercato.
Nella sostanza alla gestione borghese classica del tempo libero si è andata sostituendo una ripartizione rigida dei tempi predisposti per gruppi di fruitori, che in pratica ha prodotto il tempo del lavoro, il tempo da e per il lavoro, il tempo per l' alimentazione, il tempo per la TV , il tempo del week end, il tempo delle ferie, il tempo della partita, ecc.
Nella società fordista la stessa gestione "democratica" borghese del tempo libero diviene illusione agiografica nella progressiva induzione all'omologazione operata dalla cultura di potere. Della festa non resta alcuna traccia e, mentre nelle società tradizionali le classi aristocratiche detentrici del potere piegavano alla loro ideologia le ritualità apotropaiche delle classi popolari, nella società fordista è il grande capitale ad imporre ai ceti subalterni le ritualità contemporanee, che nulla hanno di apotropaico, ma che sono solo funzionali alle esigenze della produzione e del mercato.
Eppure anche il fordismo ha raggiunto il capolinea e in questi nostri tempi stiamo assistendo ad una nuova fase di riorganizzazione sociale. Ammessa e non concessa l'agiografia democratico-borghese che lega le diverse classi sociali in un contratto fondato sul reciproco riconoscimento di necessità ed indispensabilità, oggi, che i processi di riorganizzazione e ristrutturazione del sistema produttivo comportano la formazione di una crescente massa di disoccupazione strutturale, il capitalismo finanziario dominante tende a negare ai salariati questi stessi requisiti di necessità ed indispensabilità, ponendoli in concorrenza con la massa dei disoccupati, nel tentativo di depauperare progressivamente la loro condizione sociale e creando in tal modo le basi per la loro progressiva marginalizzazione all'interno del contratto sociale, con la conseguente esclusione dalle tutele sindacali e sociali prima (leggi riforma dello stato sociale e del mercato del lavoro) e politiche poi (vedi maggioritario e presidenzialismo).
In questo quadro la contingentazione fordista dei tempi viene d'un tratto a non fornire più una risposta adeguata e funzionale alla realtà. Quando la disoccupazione non è più un fattore congiunturale, sia in termini collettivi che in termini soggettivi, la cui persistenza assume valore patologico per la stessa società, ma diviene un fattore strutturale e cioè funzionale al sistema, può avere un valore oggettivo, ossia unanimemente riconosciuto come tale, lo stesso tempo del lavoro?
Deprivata di significato generale la contingentazione, quali valori sono attribuibili ai diversi tempi, diversi dal tempo del lavoro?
Certo, il tempo ludico, d'aristocratica memoria, fin dall'epoca del capitalismo classico ha qua e là tracimato nell'alveo popolare, ma nel quadro sociale fosco che si va delineando, nel nostro futuro appare solo la regimentazione dell' angoscia e della disperazione montanti dalla grande massa dei precarizzati e dei marginalizzati, appare la loro canalizzazione in rivoli funzionali e compatibili al sistema.
Quale distanza in ciò dalla festa e dalla sua funzione apotropaica!
Eppure, l'antico graffito tracciato sulla rupe dell'inconoscibile come sua metafora ed interlocuzione, questo fondamento primo d'ogni ritualità apotropaica, la poesia, non ha cessato d'essere tracciato nel susseguirsi delle epoche sociali, divaricandosi, come lungo le lame di una forbice, da esse. E fin da quando la società degli uomini ha dismesso e disconosciuto la funzione e il ruolo della festa, anche quando l'inattualità è divenuta la condizione esistenziale del poeta, questi, inesausto e inaudito, ha continuato a tracciare i segni dell'evocazione.
Lo ha fatto stretto nelle pastoie del mecenatismo aristocratico; lo ha fatto finalmente liberato ma ad un tempo esautorato della sua funzione nella società borghese, creatrice d'un tempo dell'arte e di un tempo della letteratura e sterminatrice della festa; ha continuato a farlo nella società fordista nonostante la reificazione dell'arte e della cultura, la loro riduzione a merce soggetta alle leggi del mercato, all'omologazione ed al consenso post-moderni; e continuerà a farlo in questa società toyotista, unica voce e fonte di speranza per un'umanità che finge, solo, di dimenticare le domande attonite.
Se di tempo, allora, non ha senso parlare, di festa forse sì.
Anche se la festa nella società degli uomini è stata derubricata da rito apotropaico a festività religiosa o civile, e da questa a gestione del tempo libero, per finire a contingentazione dei tempi di fruizione, ed ora a gestore dell'inquietudine e della disperazione, la professione dell'inattualità che solo il poeta esercita è il solo strumento che perseguendo l'utopia delle utopie rinnovi soggettivamente e nel convivio dei liberi e degli uguali la funzione apotropaica della festa e con essa un lucore di speranza per l'umanità intera.