il tempo della festa 
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Mario Amato
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LETTERA SU LEOPARDI
 
Carissimo Alfonso,
in data 22 marzo '01 mi sono recato a Recanati per visitare la biblioteca leopardiana ed i luoghi cari al poeta. Era mio desiderio tale visitazione fin dai tempi del liceo, allorché si preparava con ansia, ed allo stesso tempo con una smania giovanile, l'esame di maturità, e sovente erano ore notturne. Non ti nascondo che ho provato una certa emozione nel varcare la soglia di Palazzo Leopardi, quell'edificio che mai il poeta chiama casa. Come per te, anche per me le biblioteche sono luoghi sacri e in special modo quello in cui Leopardi trascorse i sette anni di studio e disperatissimo.
Mi sono soffermato molte volte sulla favola del pessimismo leopardiano, la quale favola ha lasciato pochissimo spazio allo studio del Leopardi polemico nei riguardi dello Stato pontificio, della Chiesa, della stessa religione e del suo invito alla sofferenza, quando al contrario egli scrive che al mondo, e non vi ha il torto, piace non già di piangere ma di ridere. Del resto Carducci nota che nella scuola cattolica, dov'egli era per volontà del padre, non si faceva altro che studiare Manzoni e di Leopardi non si parlava mai se non con certi epiteti, non certo di ammirazione.
Come è stato possibile alla scuola italiana riempire la testa di giovani studenti che il pessimismo leopardiano derivava dalla sua stessa condizione esistenziale e trascurare invece la verità che quel pensiero si colloca tra il pensiero negativo occidentale con Schopenauer e Nietzsche?
Una visita a Palazzo Leopardi è consigliabile a che voglia comprendere quanto coraggio ebbe Leopardi nell'abbandonare la sua dimora e la sua condizione sociale. A Recanati sarebbe pur stato il Conte Giacomo ed io credo che quando scrive gente vile non alluda affatto al popolo recanatese, bensì sia spinto dalla consapevolezza della sua grandezza e dalla coscienza che i notabili della cittadina non avrebbero mai riconosciuto un posto fra loro ad un uomo che dichiarava apertamente al mondo il suo ateismo ed invitava a godere dei piaceri della vita, ad un uomo al quale la sofferenza ed il dolore, sebbene connessi alla vita, sembravano ingiustizie. Ed è in questo pensiero che Leopardi si ricollega alla linea filosofica greca del periodo tragico, laddove la vita è intesa come trasgressione agli Dei, anticipando - Leopardi dico- di cinquant'anni Nietzshe. La gente vile è, credo, per estensione anche la cerchia d'intellettuali dello Stato pontificio.
Credo dunque sia necessario indicare ai giovani un Leopardi diverso, un poeta e filosofo militante e animato da ragioni civili, senza naturalmente trascurare la soavità dei suoi versi.
Sono ancora convinto che il poeta amò la sua cittadina, e ciò si sente dalla gioia dei versi, nei quali si parla di Recanati, rappresentata spesso nei giorni di festa e di primavera e nelle figure dei suoi giovani.

P.S. Il verso che prediligo "Viene il vento recando il suon dell'ora dalla torre del borgo". Non a caso Joseph Roth scrive che nessun suono è evocatore come quello della campana.

Mario Amato