AmatoKafka 
[ Testo:  precedente  successivo  ]  [ fascicolo ]  [ autore
Mario Amato
[ marius2550@yahoo.it ]
 
KAFKA E I SIMBOLI NASCOSTI
LETTURA CRITICA
 
Davanti alla legge (Franz Kafka)

Davanti alla legge c'è un guardiano. Davanti a lui viene un uomo di campagna e chiede di entrare nella legge. Ma il guardiano gli dice che ora non gli può concedere di entrare. L'uomo riflette e chiede se almeno potrà entrare più tardi. Può darsi" risponde il guardiano, "ma per ora no.". Siccome la porta che conduce alla legge è aperta come sempre e il custode si fa da parte, l'uomo si china per dare un'occhiata, dalla porta, nell'interno. Quando se ne accorge, il guardiano si mette a ridere: 'Se ne hai tanta voglia prova pure a entrare nonostante la mia proibizione. Bada, però: io sono potente, e sono soltanto l'infimo dei guardiani. Davanti ad ogni sala sta un guardiano, uno più potente dell’altro. Già la vista del terzo non riesco a sopportarla nemmeno io". L'uomo di campagna non si aspettava tali difficoltà; la legge, pensa, dovrebbe pur essere accessibile a tutti e sempre, ma a guardar bene il guardiano avvolto nel cappotto di pelliccia, il suo lungo naso a punta, la lunga barba tartara, nera e rada, decide di attendere piuttosto finché non abbia ottenuto il permesso di entrare. Il guardiano gli dà uno sgabello e lo fa sedere di fianco alla porta. Là rimane seduto per giorni e anni. Fa numerosi tentativi per passare e stanca il guardiano con le sue richieste. Il guardiano istituisce più volte brevi interrogatori, gli chiede notizie della sua patria e di molte altre cose, ma sono domande prive di interesse come le fanno i gran signori, e alla fine gli ripete sempre che ancora non lo può far entrare. L'uomo che per il viaggio si è provveduto di molte cose dà fondo a tutto per quanto prezioso sia, tentando di corrompere il guardiano. Questi accetta ogni cosa, ma osserva: "Lo accetto soltanto perché tu non creda dì aver trascurato qualcosa". Durante tutti quegli anni l'uomo osserva il guardiano quasi senza interruzione. Dimentica gli altri guardiani e solo il primo gli sembra l'unico ostacolo all'ingresso della legge. Egli maledice il caso disgraziato, nei primi anni ad alta voce, poi quando invecchia si limita a brontolare tra sé. Rimbambisce e siccome studiando per anni il guardiano conosce ormai anche le pulci del suo bavero di pelliccia, implora anche queste di aiutarlo e di far cambiare opinione al guardiano. Infine il lume degli occhi gli si indebolisce ed egli non sa se veramente fa più buio intorno a lui o se soltanto gli occhi lo ingannano. Ma ancora distingue nell'oscurità uno splendore che erompe inestinguibile dalla porta della legge. Ormai non vive più a lungo. Prima di morire tutte le esperienze di quel tempo si condensano nella sua testa in una domanda che finora non ha rivolto al guardiano. Gli fa un cenno poiché non può ergere il corpo che si sta irrigidendo. E il guardiano è costretto a piegarsi profondamente verso di lui, poiché la differenza di statura è mutata molto a sfavore dell'uomo di campagna. "Che cosa vuoi sapere ancora?" chiede il guardiano, "sei insaziabile.". L'uomo risponde: "Tutti tendono verso la legge, come mai in tutti questi anni nessun altro ha chiesto di entrare?". Il guardiano si rende conto che l'uomo è giunto alla fine e per farsi intendere ancora da quelle orecchie che stanno per diventare insensibili, grida: "Nessun altro poteva entrare qui perché questo ingresso era destinato soltanto a te. Ora vado a chiuderlo".

Lettura di Mario Amato
Spesso la scrittura di Franz Kafka è enigmatica e costringe a cercare anche origini culturali antiche. C’è un dato costante nelle narrazioni kafkiane: esse non hanno una datazione precisa, tanto che Walter Benjamin scrisse “Kafka pensa per ere”[1]. Il racconto che tento qui di interpretare è forse uno dei più ricchi di simboli e appunto per questo parto da molto lontano.
Nella letteratura biblica ebraica esiste uno strano ed incomprensibile divieto: Dio proibisce a Mosé di entrare nella terra promessa. La spiegazione religiosa è chiara: Mosé non fu completamente fedele a Dio. Al lettore di letteratura questa proibizione appare sì conforme al Dio dell’Antico Testamento, ma pur sempre ingiusta. Mosé è il prescelto per guidare il popolo eletto fino a Canan; Dio è al suo fianco nella lotta per la libertà; a Mosé si devono i riti per Pessach (“Mangeremo pane non lievitato ed erba amara per ricordare questo giorno”); egli invoca il Signore per i miracoli in soccorso del suo popolo; a lui soprattutto sono affidate le tavole della legge sul monte Sinai. La legge è dunque il compito più alto affidato a Mosé. Su quelle dieci norme scritte direttamente da Dio, il popolo ebraico dovrà edificare la sua storia, eppure Mosé non ne farà più parte; andrà vagabondo nel deserto, dove l’unica legge è la sopravvivenza.
L’uomo di campagna nel racconto di Franz Kafka somiglia a Mosé, che nell’immaginario del lettore non è errante nel deserto, ma fermo dinanzi ai confini della terra promessa. A differenza del personaggio di Kafka, Mosé conosce la ragione della sua esclusione, ma ciò non comporta che egli aspetti di entrare. Può darsi che il racconto kafkiano abbia tratto ispirazione dall’episodio biblico. Kafka forse non era credente, tuttavia egli sentì l’attrazione per l’ebraismo, soprattutto per l’ebraismo dello “stehlt”, come testimonia la “Lettera al padre”, nella quale accusa il genitore di ebraismo soltanto esteriore.
La porta della legge è aperta, così come il deserto, da cui il popolo ebraico proveniva, è spazio aperto. L’uomo di campagna non entra, come Mosé non entra. Entrare nella legge significherebbe farne parte, così come ne fa parte il guardiano. Mosé non entra e non farà parte della storia futura del suo popolo. Possiamo immaginare che Mosé, dopo tanto cammino e tanto dolore, non guardi la terra nella quale gli è stato vietato di entrare? Certamente Mosé guardò così come il personaggio di Kafka si china a dare un’occhiata. Il guardiano dice “Prova pure a entrare, nonostante la mia proibizione”.
Se in “Un messaggio dell’Imperatore”, l’imperatore può rappresentare Dio, in questo racconto non esiste un solo guardiano, ma esistono altre porte e altri guardiani più terribili del primo. Il pensiero va ovviamente alla “Divina Commedia” di Dante ed ai guardiani infernali, tuttavia questo custode appare terribile soltanto all’uomo di campagna. Dante aveva usato figure mitiche come Cerbero o Minosse o Flegiàs, personaggi dalle tre teste o dalla coda che si avvinghia a tutto il corpo. Kafka riduce questo guardiano ad un uomo in cappotto e pieno di pulci e che accetta anche di essere corrotto. La sua giustificazione per l’accettazione dei doni è infantile.
Il lettore deve porsi altre domande? Che cosa rappresenta la porta della legge? E soprattutto la porta di quale legge? Perché l’uomo di campagna non prova ad entrare? Qual è la domanda che l’uomo di campagna doveva rivolgere al guardiano fin dall’inizio?
La legge! Quale legge? Kafka inserì questo racconto nel romanzo “Il processo”, ma qui è un prete cattolico a raccontare la storia dell’uomo di campagna a Josef K. dinanzi ad un duomo. Il capitolo nel romanzo si intitola “Il Duomo”.
C’è una considerazione da fare: le tavole mosaiche della legge erano uno strumento per mantenere unito un popolo ed effettivamente il popolo ebraico è riuscito nel corso delle varie diaspore, e persino negli inferni dei campi di sterminio nazisti, a mantenere la propria cultura e la propria lingua (“Signore, fa che la mia lingua si attacchi al mio palato. Come farò altrimenti a cantare le tue lodi in terra straniera?” recita una preghiera ebraica).
I comandamenti dati a Mosé da Dio non sono soltanto regole religiose, ma anche leggi civili per la comunità. Basti pensare che i comandamenti aboliscono la legge del taglione e negano con forza la pena di morte. Se si esaminano alcuni comandamenti si nota immediatamente come essi siano norme giuridiche; ad esempio “Non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te” è una norma comportamentale di rispetto; essa corrisponde anche al precetto liberale: “la mia libertà finisce dove inizia quella dell’altro”. Allo stesso modo il comandamento “onora il padre e la madre” prescrive il rispetto per il genitori, non l’amore. E noi sappiamo che in molti paesi la legge vieta ai parenti di testimoniare a favore o contro i propri parenti. È però vero che nell’ebraismo queste regole sono anche religiose. Nella diaspora gli ebrei si trovarono a dover rispettare due tipi di legge: quella ebraica e quella della nazione nella quale erano giunti ed in cui si sentivano ancora stranieri. Il racconto di Kafka adombra il problema dell’assimilazione. A volte queste leggi venivano in contrasto, ad esempio nella Spagna della Santa Inquisizione, allorché gli ebrei erano costretti a praticare il loro culto in segreto ed alcuni fra essi fingevano di convertirsi al cattolicesimo. Nella narrazione kafkiana l’uomo di campagna trascorre un tempo lunghissimo davanti alla legge, fino al punto che i suoi occhi si indeboliscono ed egli non sa più distinguere se sia buio oppure se sia la sua vista ad infiacchirsi. Nella diaspora i due tipi di legge possono confondersi ed è arduo comprendere a quale si debba obbedire. Eppure dalla legge emana ancora uno splendore, una luce inestinguibile. Che cosa è questa luce? È forse la luce della conoscenza o è forse la luce della scrittura kafkiana, che pure sembra tanto oscura? La porta che conduce alla legge – dice il guardiano – era destinata all’uomo di campagna, ma egli non ha posto la semplice domanda “Per chi è questa porta?”. L’errore dell’uomo di campagna risiede nella sua inattività, nella cattiva interpretazione delle parole del guardiano. Così come nel racconto “Giuseppina ovvero la cantante del popolo dei topi” il canto di Giuseppina diviene una melodia ad un ascolto attento, anche qui Kafka invita il lettore a non fermarsi alla superficie del testo, ma ad una lettura attenta e profonda, ad una continua rilettura, perché la letteratura non è soltanto narrazione, ma infinita ricerca.

1) Benjamin, Walter Angelus Novus Einaudi, Torino