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Mario Amato
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RILETTURE: UN MESSAGGIO DELL'IMPERATORE
 
Eine kaiserliche Botschaft
Der Kaiser - so heißt es - hat dir, dem Einzelnen, dem jämmerlichen Untertanen, dem winzig vor der kaiserlichen Sonne in die fernste Ferne geflüchteten Schatten, gerade dir hat der Kaiser von seinem Sterbebett aus eine Botschaft gesendet. Den Boten hat er beim Bett niederknien lassen und ihm die Botschaft ins Ohr geflüstert; so sehr war ihm an ihr gelegen, daß er sich sie noch ins Ohr wiedersagen ließ. Durch Kopfnicken hat er die Richtigkeit des Gesagten bestätigt.Und vor der ganzen Zuschauerschaft seines Todes - alle hindernden Wände werden niedergebrochen und auf den weit und hoch sich schwingenden Freitreppen stehen im Ring die Großen des Reichs - vor allen diesen hat er den Boten abgefertigt. Der Bote hat sich gleich auf den Weg gemacht; ein kräftiger, ein unermüdlicher Mann; einmal diesen, einmal den andern Arm vorstreckend schafft er sich Bahn durch die Menge; findet er Widerstand, zeigt er auf die Brust, wo das Zeichen der Sonne ist; er kommt auch leicht vorwärts, wie kein anderer. Aber die Menge ist so groß; ihre Wohnstätten nehmen kein Ende. Öffnete sich freies Feld, wie würde er fliegen und bald wohl hörtest du das herrliche Schlagen seiner Fäuste an deiner Tür. Aber statt dessen, wie nutzlos müht er sich ab; immer noch zwängt er sich durch die Gemächer des innersten Palastes; niemals wird er sie überwinden; und gelänge ihm dies, nichts wäre gewonnen; die Treppen hinab müßte er sich kämpfen; und gelänge ihm dies, nichts wäre gewonnen; die Höfe wären zu durchmessen; und nach den Höfen der zweite umschließende Palast; und wieder Treppen und Höfe; und wieder ein Palast; und so weiter durch Jahrtausende; und stürzte er endlich aus dem äußersten Tor - aber niemals, niemals kann es geschehen -, liegt erst die Residenzstadt vor ihm, die Mitte der Welt, hochgeschüttet voll ihres Bodensatzes. Niemand dringt hier durch und gar mit der Botschaft eines Toten. - Du aber sitzt an deinem Fenster und erträumst sie dir, wenn der Abend kommt.

“Kafka invita alla rilettura” ha scritto Albert Camus. Il lettore di Franz Kafka non si accontenterà mai di una sola lettura e di una sola interpretazione, ma cercherà sempre al di là della superficie testuale, pur sapendo che ogni spiegazione può essere quella corretta o quella errata. Tutte le interpretazioni possono essere accettate, perché Kafka ha donato al lettore il piacere di vagare nel labirinto dei significati nascosti nel testo.
Torno sul racconto forse più enigmatico di Kafka, “Un messaggio dell’Imperatore” e tento altre due interpretazioni.
Kafka ha parlato spesso della sua scrittura, naturalmente in modo simbolico. Nel primo romanzo, “Amerika”, il protagonista Karl Rossmann parla dal balcone di un albergo con uno studente che studia di notte, perché di giorno lavora ed ha ancora tanto tempo per dormire. Qui è abbastanza facile intuire che lo scrittore praghese alludeva al fatto che egli scriveva soltanto di notte, mentre di giorno lavorava nell’ufficio della società di assicurazione presso cui era impiegato.
È possibile, ed anche probabile, che nel racconto “Nella colonia penale”, nel quale si narra di un uomo condannato ad indovinare la sua colpa che una macchina terribile scrive sulla sua fronte, Kafka simboleggi la fatica della scrittura, così come in “Josephine, la cantante del popolo dei topi”, viene raffigurato il malessere dello scrittore novecentesco che deve adattarsi al mercato.
Nel novecento scrivere diviene un mestiere. Kafka pubblicò i suoi primi racconti a proprie spese. La casa editrice pubblicò undici copie, delle quali dieci furono comprate dallo stesso Kafka, ma egli non seppe mai chi avesse comprato l’undicesima.
Verrebbe da pensare che Kafka si sia adattato al mercato anche come compratore.
Rileggiamo “Un messaggio dell’Imperatore”. Nella infinità di pubblicazioni che il mercato ci offre, e che offriva anche all’inizio del Novecento, è difficile distinguere la buona letteratura dalle cosiddette pubblicazioni-spazzatura.
Il messaggero incaricato dall’Imperatore non riuscirà mai ad uscire dal palazzo imperiale, ed anche se vi riuscisse, non servirebbe a nulla, perché vi sarebbe un altro palazzo e ancora un altro e così per millenni.
E se pure alla fine di questi millenni il messaggero riuscisse ad uscire, a farsi largo fra la moltitudine, giungerebbe nel centro del mondo pieno dei suoi rifiuti.
Il messaggio è forse la stessa scrittura di Kafka, la moltitudine è forse l’infinità delle pubblicazioni. Du aber sitzt an deinem Fenster und erträumst sie dir, wenn der Abend kommt .(Ma tu siedi alla tua finestra e lo sogni, quando arriva la sera).
Chi è che sogna il messaggio? È forse il lettore, che sogna che qualcuno un giorno giunga e spieghi il senso della scrittura di Kafka. Ma la sera induce alla malinconia ed il lettore può solo sognare…
Contro questo interpretazione tuttavia c’è un segnale all’inizio: Der Kaiser - so heißt es (L’Imperatore- così si dice).. “Così si dice” “Così si racconta”: questa piccola frase richiama la letteratura orale.
Per ogni attento lettore di Kafka non è un mistero che ogni racconto sia scritto come un testo antico. In “Un messaggio dell’Imperatore” ciò è ancora più evidente: esso ha il tono e il ritmo di una parabola biblica, così come il racconto “Davanti alla Legge”.
L’Imperatore ha chiamato il più misero dei sudditi, l’ombra più lontana dal sole imperiale, per affidargli il messaggio dal letto di morte, un messaggio che non giungerà mai a destinazione, perché forse non c’è destinazione, o forse perché fra la moltitudine il messaggero si smarrirà.
Nel racconto c’è una voce narrante, ma che sa soltanto ciò che l’antica leggenda racconta.
La voce narrante non scrive il racconto, così come nessuno sa chi abbia scritto la Bibbia.
I talmudisti leggono e rileggono la Torah e danno infinite interpretazioni di ogni narrazione, di ogni frase, di ogni parola, perfino di ogni lettera.
Il popolo ebraico era un popolo di pastori ed è il primo che nella religione ha sostituito il Dio unico alla molteplicità degli Dei.
Era un popolo dunque che non aveva città, vagava nel deserto, lontano, come il messaggero kafkiano, da ogni autorità, era un’ombra rispetto agli altri popoli del Medio Oriente. Allora Dio scrive un libro per questo popolo. Ma il viaggio non termina mai, perché il popolo si disperde nella molteplicità del mondo, nella moltitudine dei popoli. Che fare? Aspettare che Dio invii un messaggio, aspettare che Dio invii finalmente il messia promesso o almeno un messaggio che spieghi infine il senso della vita o almeno di quel misterioso libro. Ma trascorrono secoli, anzi millenni, fra le moltitudini, nei ghetti pieni di spazzatura, e si legge sempre lo stesso libro e nel tempo il ricordo del significato si dimentica, si smarrisce. Non resta altro che aspettare o forse solo sognare che un giorno il messaggio giungerà, ma la sera induce alla melanconia e nella luce del crepuscolo vi sono soltanto ombre, come in sogno.


5 ottobre 2008