Pasolini trentanni dopo 
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Alfonso Cardamone
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RICORDANDO PASOLINI
PREMESSA AL FASCICOLO
 
2 novembre 1975. Un eretico è stato “giustiziato” al piazzale dell’idroscalo senza il rituale pubblico del rogo. Il boia-sicario, consapevole o inconsapevole, è senza il coraggio del volto. La paura del diverso oggi fa impazzire i torquemada del mondo a una dimensione. Raccapriccio e speranza. Chi uccide ha paura. È vulnerabile. La verità del diverso passa attraverso le cancrene del razionale folle. La morte di Pier Paolo Pasolini ne amplifica la credibilità”.

Così recitava, in una sintesi estrema, l’editoriale della rivista dismisura, nell’anno 1975, ancora sotto choc per l’assassinio del Poeta. Oggi, a trentanni di distanza da quel luttuoso evento, possiamo chiederci che cosa resta delle intuizioni contenute, o anche solo accennate, in quella sintesi.
Tutto.
Il mondo ad una dimensione ha perfezionato il volto raccapricciante della globalizzazione neocapitalistica e della decerebrante comunicazione massmediatica, intuite, denunciate, smascherate, con lucidità e passione, da Pasolini, in tutti i loro orrori.
I torquemada del mondo a una dimensione non solo non sono stati sconfitti dalla democrazia, ma di essa si fanno beffe, vaneggiando di guerre preventive e scatenandole sotto il pretesto dell’esportazione di quella stessa democrazia che essi riducono a larva pietosa.
Il diverso ancora fa paura, anzi terrorizza ed è pretesto di crociate ingloriose e di repressioni vergognose. E qui occorre chiarire, pur nella stringatezza che ci siamo imposti, che quando parliamo di diverso, non intendiamo riferirci affatto ad aspetti particolari del mondo affettivo personale di Pasolini, ma ad un concetto ben più vasto, che investe le diversità culturali, ideologiche, esistenziali di modi di essere e di pensare incompatibili con l’omolagozione del Potere e ad essa non riducibili. Penso al popolo articolato e diverso del movimento noglobal; penso ai diseredati del Terzo e Quarto Mondo; e penso anche alla tribù residuale degli intellettuali non integrati e, più specificamente, dei poeti, ricordando, a chi fosse distratto o immemore, quanto scriveva Pasolini nella rubrica del “Caos” del 14 dicembre del Sessantotto:

… l’opera di un autore è come la faccia di un negro. È con la sua stessa presenza, con il suo ‘esserci’, che è rivoluzionaria. E ciò, secondo me, non avviene affatto a livello sovrastrutturale, ma strutturale [e qui, sia detto tra parentesi, è, più che altrove, la chiave del suo allontanamento, della sua solitudine rispetto all’interpretazione marxistica volgare ed ortodossa]. Infatti l’intera struttura è messa in ballo e in pericolo, dal solo ‘esserci’ della faccia di un negro o dell’opera di un autore”.

E questo perché la diversità è sostanziale: la poesia “Non è merce”! “La poesia infatti non è prodotta ’in serie’ [ed ecco, sia detto sempre tra parentesi, la ragione profonda della sua avversione radicale alla neo-avanguardia]: non è dunque un prodotto”.
La poesia, inoltre, “non è valore metastorico”… Essa è se mai iperstorica, perché la sua carica di ambiguità non si esaurisce in alcun momento storico concreto.

È in omaggio a questi principi e a questi valori, oltre che per una non rituale “celebrazione” della ricorrenza della scomparsa del Poeta, che pubblichiamo questo fascicolo speciale di Dismisura costituito da interventi appositamente dedicati e da relazioni svolte (e g. c. per la pubblicazione) nel corso della rassegna “P.P. Pasolini - proiezioni, riflessioni, testimonianze” organizzata dall’ Assessorato alla Cultura del comune di Frosinone dal 20 gennaio al 24 febbraio 2005.