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Antonio Limonciello
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SENSO COMUNE
 
arruffando spauracchio imbrogli arrotola la spuma dal nord inconsueto il becco troppo avanti al suono del treno un cane scalcagnato sul bagnasciuga mi sbarra mezza pietra affronto ovunque umido bianco cielo dell'alba povera di vita rinseccolita non posso pensare, s'allenta l'onda al sole che sale ombra penombra arco palma in fuga crema protettiva per i dolori di cuore, al sole che scende, letto soffitto sbiancato pigolano razzolano dietro le sedie all'ombra del mare, wolf, wolf, wolf, aagrrr, agrrr, agrr, oee, oee, oee, celestegiallo passerà ancora, passerà, meglio cantarlo passero solitario alla via lattea oh passerà lo stesso, tenuto in vita vicino al focolare anche il mio fumo al cielo, in tasca il mondo guarda il soffitto la notte precipita addosso e ti chiude galleggia tra il pioppo e la magnolia, dietro le tendine musicante l'aria la massaia corre corre la madre dolcetti nipoti una grande spiaggia forse ballonzola la sera, o finge nel letto mi vergogno, mi vergogno farlo con lui pensando a te, dicendolo al mattino impasto con la lingua ad uno ad uno gli anni e gli uomini, eppure immobile no, non starò!
tutto fuori dalle sacre mura non cercare quello che non posso darti correva sempre avanti a pregare le genti il Camuso olivastro pettinato sempre avrà imposto le mani nello studio trappola sempre pronta a catturare galline così che sempre passò dal giorno alla notte depressione resuscitata o girerà questa volta l'angolo perché lei insipido letto diventò languida preda sveglia clitoridea vaginale le braccia alzate cavalcante oliva e senza peli nerchia orata tremante, finalmente abbandonata Arianna in cerca del cappio trilli notturni, corridoi, lune calanti, compiti in fila, saliscendi, senza rossetto, pigiando, la mano finta guida abbocca tristemente lo scoglio attende lì dove il Tirreno si spegne gira sotto vetro nero pensiero distratta mangiare, volgare, volgare incedere di voce e anche, spingi casta vieni che chiudiamo la partita cervellò alzando le gambe al petto e tirandolo a sé vieni che è ora, buio fuori guardingo beffa, vieni che è tardi, fare scudo chi lo sapeva, poco tempo, non così la prossima volta, magari tra altri 5 anni sapore divertente, sapore preveggente, sapore della scelta avvenuta, lì sanno tediarla tediata, forse inorridita scoperchiò la tenda posta sulla poltrona, così fuori il prima che passa al dopo parentesi chiusa, tristezza per ciò che fu solo promessa non mantenuta in fondo lui la vide, provvide, lei partì lasciando un piccolo mondo a crogiolar parole sullo schermo, nei fili, sui letti, poltrone, notturni ricordi, uffà quaderni.
allineate le mangrovie strizzate stanziate sul bianco blu celeste suoni disfatti giungono partono per l'Illiria prima o dopo si infrangono sull'Aspromonte
zi-zi-zi-zi-zi cicaleggia la calma ombre colorate cinguettano tra ombrelli e acqua fresca fredda addomesticata -non cercare in me quello che non può esserci, fai morire anche tu quello che io mortificai anni or sono
- credo che tutto questo avviene perché io mi sono allontanata
- vuoi dire innamorata di un altro?
-sì
volevo Finnegans wake, no, adesso so cosa come scrive e non va, non è tempo di giocare/ironizzare/cinicizzare l'umanità antico inutile passato tragediare piangere tofht, tofht mano alla bocca gambe accavallate al tavolo rotondo, no, lì c'erano ancora speranze e tutti potevano giocare, il gioco oggi ha sapore di morte, peccato non aver profanato gli occhi egizi dei Tolomei morti romani
Sì, calpesti la sabbia o l'acqua immersa dora le ciglia dietro al nero vetro nascondi tendi udito lunghe passeggiate solitarie cellulare controllo/desiderio/misurazione
-sono a 20 Km da te, albergo Cariddu stanza 15, felicità pianto dietro la duna shopping domani domami notte lunga nella veglia battente nel campo creato da te, folle, folle come volevo, corse per l'Italia l'uno dietro l'altro -flagello, io mi flagello strisce nere cartapelle pensiero, lembi divelti pinzati rosse le labbra e il dentro e il profondo anche flagello il gioco della vita- blu lavato granito profondo tutto ninnananna lì sullo scoglio sparavano tuoni ballava piccola storia umana 1984 il mondo passò ruzzolando sul blu vergato dalla pioggia quella nicchia è una vita possibile perché sbriciolarla alle formiche con l'occhio bagnato e le mani tremanti, tran-tran sulla sdraio nascosto il baratto concede mesto ricordo vago smarrimento lascia andare la mattina, lui leggeva al mare la giornata di ieri, controllerà i listini scambierà con il figlio di pallone mentre argentea gambe aperte silenziosa si fermerà al primo vestito vetrina stanza 15 il signore l'aspetta primo piano, prende l'ascensore le gambe tengono meglio e non si suda, non mi piace così bicolore una veneziana accostata Camuso leggero assente in automatico pene illustrato lustrato allenato punta fessa falsa fissa la fessa non capisce neanche quando la pelle asciutta velluto scivola sull'occhio per l'occhio al collo brivido? la statua mi consente di toccare il fondo le viscere rumbleggiano più di sempre abbassare la luce per confondere il mondo così universale mi prende di più, toccò il neo -non lo dimenticherò-, piovono dal cielo culi di mamme pazienti in fila mano al seno conoscenze occasionali danzatrici piangenti tiptapt tamburellanti piripirì tra bonghi e piatti il naso scende di più, calano lenti gli strati di pelle, gocce perlacee, strascichi napoletani rituali appresi e esportati nella terra di nessuno, chi sei oggi nella numero 15, ammutoliti, sospiri fuori tempo, lei solo trema nel vuoto chiamami Giovanni in questo tempo dove l'amore non fa tragedia -quando l'ha detto, come ti ha preso, cosa ti ha fatto?- insopportabile sciatteria gioco caduta imbecille, proprio come una lettera io supino ad aspettare gira il mondo gira, gira e penso a te, solong- magneticamente respinti nell'aria condizionata il sudore estivo lo stesso perla le ascelle le cosce, gli addominali, sgnacchete, rutilante sgnacchete, sciuvn, sciuvn, tira la pelle chiudi gli occhi invernale seno non mi guarda, non sono io ma la paura, non lo capisce, adesso banalizzo dove la pongo questa? nel sogno dei banali, degli acuti, dei mercanti, dei mangiavacche, vuoi bere qualcosa? si un po' di vino frizzante, uno spumante, porti due coppe di champagne; è proprio la storia che volevo corro avanti, no trattengo questo, glielo chiedo? sono prigioniera e non ho paura, non fa parte di lei, quegli eccessi accaparratrice quelle parole sfuggite sebastiani ai legni tenuti in attesa museo - Olga? Dora? Marie Theresa?- dite affilate e puntute trasformate in rotonde salsicciotte, passare dall'uno all'altra, semplice, lento, morente, sostituzione.
L'albergo dietro le spalle lui per l'aereo, lei per il villaggio al volante, cadrà il pomeriggio? vestito nuovo, racconti pronti, naturali, sciorinati come sempre, rossetto perfetto mani al volante pochi fuscelli di paura di schianto cadrà il pomeriggio, cadrà maschera da me incollata sagoma nuova, cadrà nudo il corpo tanti difetti rotolati davanti allo specchio in ginocchio fruscio di seta la vestaglia ripeterà il gesto ancora? era già vecchio? strada già tracciata sogni televisivi, film, sogni sul divano al soffitto schermo, vorrei sotto le stelle con te sulla spiaggia davanti casa mia, dopo la mezzanotte lascio la casa per passeggiare, tu mi aspetti tra gli scogli al cellulare guidando lo pregava di non partire non so se posso rinviare la partenza domani ho un appuntamento, prova a rinviarlo, ci provo, io ci sarò comunque stanotte, curve rosanero viste dall'infinito spense la macchina davanti casa, ripassò felice il gioco, avete preparato il pranzo? tutto prendeva il posto giusto, il marito, i figli, la casa, il lavoro ha un neo in fronte, chissà come sta, gli sarà passata, forse sta già pensando a un'altra, ho fatto la cosa giusta, come sempre! staccò i sandali, piedi nudi bagno controllo viso, vestiti, giù la punta dei piedi, come possono non capire? non si capisce niente? è tutto normale, no, proprio non capiscono splendida splendente!
tirati i capelli sulle labbra tumide pulita viso -non capiscono- cos'ha? perché dovrebbero chiedersi di un altro contorti avvinghiati agli sterpi della vita bucano le sagome, non capiscono? non vedono, basta trattenere le parole, ma anche queste non sentono, la voce, la voce è morbida, disponibile, di gola, l'appagamento della voce, le dispute sono ovattate, umanizzate, come possono non capire? - vorrebbe che capissero, non i fatti, ma la sua felicità, serve a qualcosa quello che non si sa?- qualche messaggio di abbandono di tanto in tanto, esaltazione di un impegno extra, non ce n'è bisogno, questa volta non ce n'è bisogno
dietro al nero fissa il ventre pieno, tremante, pieno, larghe le gambe, mi sento piena il mondo è diventato piccolo i semi neri sciorinati sulla ghiaia baccelli vuoti piena anche il seno è pieno come le labbra e gli occhi swappavano sul vuoto, non si accorgono proprio di nulla, stupida, stupida, 20 anni stupidi, stupita dalla semplicità, stupita dalle possibilità, posso trovarne un altro, e un altro ancora, è semplice, è alla portata di tutti, posso andare via, rimanere, sono contenti di me, e di che? la mia presenza fisica e loro sono contenti, io non ci sono e loro mi vedono lo stesso, posso essere ovunque e per loro sono qui, migliaia di notti insonni senza motivo per essere sveglia, questa notte sotto le stelle dietro gli scogli voglio misurare la distanza infinita
grigio trasparente, nero trasparente, bianco alluminio, giallo limone blu mare, la notte sullo scoglio restò sola per lungo tempo, non era importante che lui arrivasse ma lui arrivò, silenzio, il mare, non parlarono, silenzio il mare li guardava guardarsi, silenzio lei seduta appoggiata alla roccia lui allampanato tra lei e la luna lo cercava nel buio del viso, dietro gli occhiali in fondo all'anima, non si lasciava prendere, inquietare dal suo scrutare sapeva solo pregarla di non parlare, le parole, troppo lente, incerte, come un dio sorto dal mare, Ulisse alla sua Nausica non naufragio ma approdo voluto, da lei si lasciava adorare, prima di imporre la mano sul capo gesto solenne col volto al cielo Brando che attacca la cicca prima di crollare davanti ai piedi di lei assassina avevano già danzato, nella sua casa pomeriggio di pioggia, blues avvinghiati e tristi non quanto il tango, ma lenti come gli occhi pecorapreteschi che si ritrovava quando voleva comunicare commozione, blues facili per donne semplici, colonna sonora da consegnare al ricordo, lui dispensatore di bene guaritore di anime, un rito per ogni dolore, ora impersonava il mito del dio che lei avrebbe reso uomo, questo poteva guarirla non senza cadere in amore, era prevedibile e previsto, mi domanderò di me questa notte marina? la prese per mano in pellegrinaggio al tempio tra erba secca tagliente, sulla pietra il sacrificio per la sua redenzione, la prese in braccio la depose e gestuò un rito al firmamento, poi sempre in piedi si denudò le aprì le gambe, l'attirò a sé, la penetrò come Zeus Europa, la luna testimoniò, lei pregava che il seme fosse fecondo per una nuova stirpe di eroi, assisteva al rito di quel dio che oscurava la luna, persa in una voluttà non vaginale ma divina, quando si accasciò su di lei la luna si rivelò bianca immensa consenziente, dispensatrice disponibile di quinte universo dalla pelle bruna di Giovanni ai mari scuri della tranquillità, un belato lontano aprì il ritorno sulla terra lei pose la mano nei capelli di lui ed osò carezzarlo fino a quando le stelle diminuirono nel cielo, allora ruppe il silenzio, andiamo alla spiaggia voglio vedere il sole sorgere dal mare, lui coprì il suo corpo e andarono, si fermarono allo scoglio nero gigante, davanti il cielo imbiancava e il mare diventava di latta, il sole si affacciò che erano appoggiati alla roccia, lei si mosse a baciarlo sul collo, per il petto, giù sul pube umido riconobbe se stessa, si piacque, si portò a cavalcioni e lo portò dentro, lenta, lo sentiva prendere corpo, lenta, lo teneva stretto e profondo, ferma a donare dimora, lenta, qualcosa avveniva, poi ferma, qualcosa avveniva, ferma ancora, portò le mani alle natiche di lui e lo fissò, dentro lo fissò, avveniva, avveniva, assolutamente ferma venne l'orgasmo, un grido muto quanto il creato, si lasciò andare su di lui restituendogli il sole nel cielo, Giovanni chiuse gli occhi e lasciò scendere una lacrima, lei scivolò nell'inconsapevole, è venuta l'ora della mia partenza, l'alzò e la depose al suo fianco, si ricompose nella sua altezza, alzò gli occhi al cielo, strizzò il viso e andò
il sole saliva dentro di lei saliva e non acquetava il turbine di quel nuovo sentire, il piacere da sotto le viscere fino al cervello, si alzò e così vestita si immerse nella latta dorata maresolato il cotone si attaccò alla pelle portò le mani alle gambe e le strinse, si piegò e le strinse e si carezzò, voleva che il piacere provato rimanesse lì tra le gambe per sempre, voleva ancora sentirlo, a lungo si carezzò fino a venire di nuovo, languidamente venire, con il corpo che si allungava sull'acqua immobile, pianse anche lei, più a lungo pianse.