fant)a(smatico - anno XXVIII - n.120 
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Mario Amato
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LA BOTTEGA DEI GATTI - 1
ovvero storia per un racconto a fumetti

Parte Prima
 
Il Gatto Murr(1) nacque nella fantasia del suo creatore nei modi consoni della natura.
La ragione dell'appellativo "creatore" risiede nel fatto che mi è sempre parso un dono degli Dei saper inventare storie che hanno tutte le parvenze di realtà per coloro che siedono a bell'agio in poltrona e s'immergono nell'attività sacra della lettura. Anche il sostantivo "Gatto" merita la lettera maiuscola, poiché Murr è erede degli animali delle favole antiche, dotati di parola; anzi egli fece ben più che limitarsi a parlare, poiché sostenne anche di saper leggere e scrivere, evento del tutto nuovo fra i personaggi bestiali, e di aver scritto l'autobiografia, intessendola con considerazioni filosofiche.
Il gatto Rino balzò fuori da quelle pagine a queste con un guizzo degno della sua specie.
Il lettore, se mai ce ne sarà uno, può chiamare questo gatto Mürrchen o Mürrlein, tuttavia per rispetto al creatore di Murr, preferiamo il nome Rino, anche in considerazione dello straordinario olfatto di cui era dotato, dote non limitata soltanto alla percezione degli odori, ma soprattutto esteso allo svolgersi degli eventi, vale a dire alla Storia.
Nato dal Gatto Murr, nel senso enunciato, ed a lui accomunato dalla presunzione, che esercitò in un campo nel quale essa non raramente riscuote credito, la politica, Rino si trovò a vivere un'esistenza randagia in una città di mare ed a girovagare prevalentemente nel bello e sporco quartiere del porto, che aveva notevoli vantaggi e presentava la possibilità di piacevoli attività.
Insieme ai marinai ed ai viaggiatori, sbarcavano anche alcuni topi che, non riuscendo immediatamente a trovare una tana sicura, diventavano una facile preda; c'erano le bettole da cui emanava un intenso odore di pesce fritto in un mare di olio; c'erano le corde ben legate dei bagagli da sciogliere; si poteva curiosare dentro i magazzini mettendo ogni cosa sottosopra e fuggendo velocemente appena si udiva il rumore di passi umani.
C'erano soprattutto le ore del crepuscolo, quando sembrava che il mondo rallentasse la sua corsa, ed in quel tempo Rino svolgeva il suo esercizio prediletto, preceduto da un rituale fisico non facile, almeno per gli umani: nell'angolo ove il molo s'incrociava con la via che conduceva fuori del quartiere, Rino si stiracchiava tendendo le zampe anteriori e posteriori il più possibile e stava per qualche minuto in questa posizione, poi si arrotolava su sé stesso fino a divenire una ciambella perfetta, ma senza spazio nel centro, poi lentamente si lasciava andare e finalmente metteva la testa fra le zampe e chiudeva gli occhi, ma non cedeva al sonno, bensì si lasciava invadere dal torpore, sebbene l'olfatto restasse ben desto.
Era certamente piacevole sentire fra i peli la brezza marina, ascoltare il monotono rumore del mare, aprire a metà un occhio ogni tanto e vedere lontano i colori del tramonto, ascoltare le sirene delle navi che annunciavano il loro arrivo o che gridavano il loro arrivederci, farsi invadere le narici dagli odori provenienti dai diversi luoghi e distinguerli uno ad uno; accadeva pure che qualche ratto, ingannato dall'atteggiamento assopito di Rino, si avventurasse a passare dinanzi al suo muso o che qualche uccellino andasse a posarsi proprio vicino a lui; bastava allora allungare una zampa ed estrarre gli affilati artigli per guadagnarsi un pasto senza l'eccessiva fatica degli appostamenti e degli inseguimenti.
Fra quegli odori tuttavia ce n'era uno che procurava a Rino brividi di terrore, faceva sì che il bel pelo grigio azzurro, come il mare, diventasse irsuto e ritto, che raggelasse il flusso del sangue nelle vene e nelle arterie, che immobilizzasse tutte e quattro le zampe, che facesse rizzare la coda, che rendesse duri e privi di sensibilità i bei baffi lucenti. Rino conosceva quell'odore, l'odore di morte che saliva dai topi, dagli uccelli, dalle lucertole, dai conigli, quando egli li uccideva o li trovava privi del respiro vitale per le strade, ma qui nel porto quell' atroce tanfo, che proveniva dalla via ad ondate, sembrava riguardarlo da vicino, aveva una indefinibile caratteristica personale, ma lo sgomento che lo invadeva non gli aveva mai permesso di fare poco più di pochi passi nella direzione della sorgente di quella malefica esalazione.
Venne ciononostante il momento di conoscere la verità, che confermò vieppiù la paura del gatto.
Una sera il fetore era acuto e, per così dire fresco, e con cautela Rino passò fra le gambe di molti passanti esitando ad ogni passo e pensando ad ognuno di tornare indietro, ma non cedette a questa tentazione e si trovò infine dinanzi al terribile spettacolo: dentro una vetrina illuminata sostava immobile, ma nell'atteggiamento di spiccare un salto decisivo, un bel gatto, uno che fino a non molto tempo prima vagabondava nella città e spesso si era lasciato vedere nel rione del porto.
È senza dubbio impossibile sapere se i nostri compagni a quattro zampe abbiano il concetto della vita e della morte, che è legato anche al concetto del tempo, e di certo nessun uomo ha mai chiesto ad un gatto o ad un cane se egli stia vivendo e se sappia che un giorno non sarà più su questa terra, ma è altrettanto certo che qualsiasi essere vivente possieda la percezione della morte e questa certezza deriva non soltanto dalla conoscenza che abbiamo delle bestie e delle piante e degli astri appresa dai trattati scientifici e dalle credenze religiose, ma anche semplicemente dall'aver guardato negli occhi un gatto alla sua ultima ora, un topo divenuto gioco crudele di un felino, una gallina che sta per essere sgozzata da una massaia, una mucca condotta al macello, un cane ormai troppo vecchio per il suo amato padrone. Le antiche religioni non erravano forse attribuendo ad ogni creatura un'anima, e chi è dotato di anima ha conseguentemente una qualche forma di conoscenza, sebbene noi umani nella nostra superbia non siamo in grado di comprenderla.
Il Gatto Murr pretendeva di saper leggere e scrivere e di aver scritto nientemeno la sua storia, in cui è esposta anche la sua visione del mondo. Il libro esiste e nessuno ha mai accertato che sia stato Murr in carne, pelo ed ossa a raccontare a colui che compare come autore la sua vita, e perciò ne consegue che Murr possedesse la capacità di memoria, e perciò la concezione del passato e quindi anche del futuro.
Sappiamo che Rino è discendente da quel letterario felino e forse oltre alla alterigia aveva ereditato anche le altre qualità ma non ci è dato di assicurarlo.
Rino era immobile davanti a quel terribile spettacolo, quando un uomo barbuto e vestito con un lungo camice grigio uscì dalla bottega e avanzò con un braccio teso e la mano aperta verso di lui dicendo con una voce che voleva essere suadente, ma sonava rauca << Guarda che bel gattino>>. Rino avvertiva il pericolo, ma sembrava che il sangue non circolasse più dentro il suo corpo e non permettesse alle zampe di cominciare a correre, sebbene l'impulso alla fuga fosse imperioso, e stava per subire quella feroce carezza, quando una gatta lo scosse dal torpore urtandolo e miagolando <>.
Ed insieme fuggirono attraverso la città, attraverso strade che Rino mai aveva visto, sfiorando nella loro corsa verso la salvezza i passanti, saltando su banchi di negozianti e rovesciando il contenuto di cesti colmi di prodotti per la vendita, entrando e uscendo da giardini di belle case, incrociando vetture e prendendosi più di una maledizione diretta a loro o in molti casi a tutta la loro specie. Finalmente le strade divennero meno affollate, ma non vi erano neanche più i bei marciapiedi lastricati e Rino sperimentò che le sue zampe erano molto più adatte a questo suolo piuttosto che ai pavimenti pietrosi delle città degli uomini e ancora di più provò piacere nel correre sulla soffice erba là ove oramai le case erano rare. Corsero ancora a lungo attraverso la campagna sino ad un enorme granaio, nel quale infine si distesero sicuri di essere in salvo, ma ancora intimoriti. Si annusarono a vicenda, si strofinarono i baffi e seppero in tal modo l'uno dell'altra, poi, stanchi, si assopirono. È vero che gli animali della loro specie non hanno resistenza agli sforzi prolungati, ma la paura era stata tanto grande da rendere possibile questa eccezionale impresa. Rino aveva ad ogni modo avuto il tempo di leggere l'insegna luminosa del negozio, poiché possiamo ben concedere questa capacità al gatto, essendo egli un discendente del famoso Murr: la scritta "La Bottega dei Gatti"danzava ancora dinanzi ai suoi occhi.
Il padrone del negozio era un vecchio noto a tutti come il Signor Wolfi, denominazione che deriva e dal fatto che uno dei nomi del creatore del Gatto Murr è Wolfgang(2) e dal suo odio verso la specie, per così dire, gattesca, poiché sappiamo quale inimicizia esista fra cani e gatti e i cani sono parenti stretti dei lupi.
Il Signor Wolfi, deluso dal non aver catturato Rino, stava in quel momento parlando nella sua bottega con il garzone <> Il garzone, che in realtà aveva da tempo i capelli bianchi, ascoltava a testa bassa l'arringa contro la specie felina del Signor Wolfi, ma la sua immaginazione errava in spazi ultramondani: si figurava che nella prossima esistenza il Signor Wolfi si fosse trasformato in un piccolo sorcio e che due bei gattoni lo avessero catturato e stessero giocando con lui al fatale gioco della vita e della morte e quasi vedeva questa scena e ne godeva e la bocca accennava ad un sorriso, ma senza aprirsi. << Tu sorridi alle mie parole, perché ti sembrano folli, ma io ti dico che quanto ti ho appena esposto risponde a verità e il tempo mi darà ragione. Ora smetti quello sciocco sorriso, prendi la ramazza e attendi al tuo lavoro, poi chiudi il negozio e vattene a casa a dar da mangiare ai tui maledetti gatti. Quanti ne hai?>> disse con rancore il Signor Wolfi e, smesso il camice, indossata palandrana e capello, uscì dalla bottega.
Il ragazzo di bottega e il Signor Wolfi non potevano supporre che un grande cambiamento stava per accadere nella loro storia ed in quella felina.
Nel fienile Rino aprì gli occhi e vide di fronte a sé il bel muso della gatta sua salvatrice, lo strofinò, si alzò, annusò l'occasionale compagna, e la elesse a sua convivente. Dopo aver atteso alle pulsioni sessuali, i due ripresero la via verso la città: superavano campi d'erba, colline, casolari, e Rino respirava con voluttà tutti gli odori per lui nuovi, e miagolavano<< Chi è mai quell'individuo? E che cosa voleva?>> <>. La sera spargeva già i suoi colori bruni quando giunsero in città e Rino ordinò alla gatta di radunare tutti i gatti sul tetto del magazzino del porto. Rino ordinò, come fanno i capi, poiché egli si sentì chiamato ad una grande missione, si sentì chiamato dalla Storia con la "S" maiuscola, ed il comando fu impartito con voce tanto perentoria che l'essere a cui era rivolto non poté non ubbidire. Alle pareti della sala da pranzo della modesta ma decorosa abitazione del garzone pendeva una serie di stampe raffiguranti scene campestri ed esattamente sopra il camino un bozzetto rappresentava un gatto ritto sulle zampe posteriori calzate con un bel paio di stivali lucenti ed ai lati dell'icona penzolavano due stivali del tutto simili a quelli dell'icona. Il ragazzo, allora veramente tale, aveva portato con sé dalla campagna quegli stivali, sui quali le donne della famiglia avevano inventato mille e mille storie e fra tutte a lui piaceva quella del famoso gatto con gli stivali, ma non aveva mai veramente prestato fede all'affermazione dei suoi familiari secondo cui quell'eccellente felino fosse appartenuto alla loro gente; nondimeno aveva voluto quegli stivali ed inoltre, grazie ai racconti tante volte ascoltati, si sentiva in qualche modo legato alla specie dei gatti. Ben presto avrebbe creduto alle fiabe delle vecchie donne di famiglia.
Egli aprì la soglia e chiamò la sua gatta, aspettò un lasso di tempo ragionevole, poi guardò sconsolato la ciotola di latte ancora piena ed esclamò << Ah! Non sei ancora tornata, amica mia!>>.
La sua bella gattina si trovava in quel momento sul tetto a terrazze del magazzino del molo insieme alla maggioranza dei gatti della città e attendeva. Rino arrivò infine, saltò sul punto più alto,guardò lentamente in basso, ma sempre tenendo la testa ben ritta, levò lo sguardo e il muso verso il cielo, lanciò un acutissimo miagolio di dolore, al quale seguì questo discorso << Fratelli di pena, il mio lamento è quello di tutti voi, i miei peli ed il mio cuore tremano di orrore, i miei occhi sono inumiditi dalle lacrime versate da tutti i fratelli caduti in assurdo sacrificio per i sollazzi di uomini malvagi. È vero, mie sorelle e miei fratelli, da tempo la nostra nobile specie è assuefatta all'uomo, ma non tutti gli esseri che camminano eretti sanno comprenderci, ed io il Gatto Rino so che sono venuto in questo luogo ed in questo tempo per liberarvi dal più malvagio degli uomini, da colui che espone in bella vista le salme di coloro fra noi a cui la sorte fu avversa, ma io sento, come tutti voi sentite, i loro miagolii che implorano non vendetta, ma Giustizia e Giustizia sarà per loro, Libertà per noi! I vostri occhi brillano nel buio come astri, che brillino da questa notte in poi per la Libertà!>> E l'ultima vocale si mutò in un più acuto miagolio, poi scese il silenzio, Rino attese. Il silenzio attraversò l'assembramento dei gatti, poi cominciarono sommessi miagolii, il cui tono lestamente si innalzò fino a divenire un chiasso assordante, almeno per gli uomini che in quella notte furono destati da tanta gazzarra e per chi, già insonne, vegliava, e fra questi era il Signor Wolfi; non poche furono le invettive contro i felini; ma per essi quel baccano aveva tutt'altro senso, poiché erano osanna a Rino, erano grida di speranza e libertà, erano propositi di fare giustizia, era lo scandire di un'ora storica nella loro Storia.
Rino ergeva ancor più il capo al cielo e drizzava i peli.
Era l'inizio di una guerra, era l'inizio dell'ascesa al potere del bel gatto venuto da chissà dove.
Noi conosciamo la genesi di Rino e sappiamo anche dai libri di Storia che nei condottieri la sete di giustizia, di libertà, di indipendenza si attenua proporzionalmente al consolidarsi dell' autorità.
Non è giusto tuttavia dubitare dell'ardore e della franchezza di Rino al tempo del discorso appena riferito.
La guerra era iniziata o meglio dobbiamo dire che era una guerriglia, poiché si limitò a scaramucce e scorribande nella aborrita Bottega dei Gatti consistenti nel mettere ogni cosa sottosopra, graffiare mobili, lasciare esalazioni di escrementi. Toccò al ragazzo di bottega riordinare tutto e ascoltare le parole irose del padrone.
Le prime azioni furono condotte da Rino in persona, che riusciva ad infuocare i suoi simili e a riempire i loro crini e le loro ossa di odio e al suo fianco era sempre la bella gattina, ma successivamente, poiché il Signor Wolfi più volte si era appostato ed aveva catturato qualche elemento della milizia a quattro zampe, lo stesso Rino aveva deciso di limitarsi alla preparazione delle imprese belliche - compito di certo faticoso- e di starsene ad attendere su un tetto vicino ad un caldo comignolo.
Non dobbiamo giudicare negativamente tale deliberazione, e perché la capacità critica non è facile da esercitare, e perché essa fu presa in considerazione del fatto che se Rino fosse stato accalappiato e giustiziato la lotta sarebbe forse cessata. È l'eterna diatriba intorno a chi siano davvero i soggetti della storia, se coloro che si assumono il peso dei vantaggi del comando o piuttosto coloro che sacrificano le loro esistenze per la causa nella quale credono.
La bella micina ottemperava ad ogni impero di Rino; si appostava a grande rischio nelle vicinanze del negozio ed attendeva al gelo che il mercante uscisse, vagava per la città ore e ore per portare messaggi o annunciare il prossimo raduno, guidava in carne, pelame e artigli gli attacchi e vedeva ogni tanto cadere qualcuno dei generosi combattenti, ma è storicamente necessario che le rivoluzioni abbiano i loro martiri. Rino se ne stava quieto da qualche parte con qualche bella gatta, ma qualcuno deve pur organizzare, ideare, dirigere, ed anche se si addormentava, anche questo sonno poteva essere utile alla causa.
Una sera non mancò molto che il Signor Wolfi catturasse la gattina: riuscì a bloccarla con la mano destra, abbassò velocemente il braccio sinistro la cui mano impugnava la retina, ma il colpo andò a vuoto, poiché in quel momento un aitante ed audace felino gli saltò con gli artigli sfoderati sul volto procurandogli non poche ferite. Tuttavia proprio questo episodio determinò un cambiamento nelle sorti della lotta: il Signor Wolfi riconobbe la gatta che aveva salvato quel bell'esemplare e non badò a medicarsi i graffi, ma attese che i suoi nemici uscissero dal negozio, si appostò e seguì la sua antagonista.
È senz'altro vero che per un ridicolo essere a due zampe è difficoltoso inseguire un agile animale che salta, si infila in stretti incunaboli, procede silenziosamente, ma il mercante in tutti quegli anni aveva sviluppato una capacità olfattiva sorprendente sì da saper riconoscere questo o quel gatto, per cui gli bastò seguire l'afrore che quella lasciava in ogni luogo in cui transitava. I sospetti del Signor Wolfi si materializzarono allorché vide la gatta entrare nella dimora del suo giovane di bottega.
Il giovane se ne stava seduto comodamente nella sua poltrona prediletta, che in verità era l'unica in casa, con un libro di fiabe in mano ed era un po' triste, poiché senza la sua amica a quattro zampe si sentiva solo, sì che non appena la vide diede in una calorosa esclamazione <> e così detto, andò in cucina a scaldare il latte e a tagliare dei bei pezzi di carne.
La gatta si acciambellò sulla poltrona lasciata libera dal suo buon padrone godendo del caldo della stufa. I suoi simili ora erano per strada, al freddo e al gelo oppure stavano nascosti nelle intricate puzzolenti gallerie delle chiaviche della città. Questa era tutt'altra vita! Il padrone tornò con il pasto caldo e copioso debordante dalla ciotola ed ella lo onorò in poco tempo, dopo il qual atto saltò sulle ginocchia di quell'uomo buono che si era riaccomodato felice sulla poltrona e si lasciò strofinare il pelo con un pettine dai denti d'acciaio e tuttavia morbidi e flessuosi. L'aiutante del Signor Wolfi teneva l'altra mano sotto la pancia dell'animale incurante che potessero esserci pulci o pidocchi fra le setole << Ma, ma io sento qualcosa muoversi dentro la tua pancia. Dunque...? Allora...? Ma sei... , aspetti..., e così hai trovato l'amore..., sono contento, avremo dei gattini>> disse proprio così " avremo ", quasi che egli stesso avesse partecipato alla concezione. Appena finito di dire queste parole, si udirono dei colpi veementi alla porta.
Era il Signor Wolfi; la gatta, che aveva odorato il suo nemico, andò a nascondersi sotto la poltrona, ma il negoziante se ne avvide << Lo so che sei lì sotto, bella gatta, ma non potrai sfuggirmi. Lo sapevo, ragazzo, che sei un maledetto traditore, ma dovrai consegnarmi la tua amica >>.
La gatta uscì lentamente, forse perché temeva che il Signor Wolfi facesse del male al suo padrone ed iniziò ad emettere dei miagolii, ma non di paura, bensì ben cadenzati.
Avvenne qualcosa difficile da spiegare: il giovane intendeva i miagolii come parole di un discorso ben ponderato. Non dobbiamo dimenticare gli stivali appesi sopra la stufa.
<>.
Il Signor Wolfi ascoltò questo discorso non meravigliandosi affatto che il suo garzone comprendesse il linguaggio della gatta, poi con una rapidità impensabile per un uomo di quell'età afferrò l'animale con una mano, lo portò dinanzi al suo viso e replicò << Certo bella gattina, che figura farà nella mia vetrina il tuo drudo!>>. Nelle sue mani il vecchio negoziante poteva sentire il battito del cuore dell'animale, il quale disperò di essere lasciato vivere, ma il Signor Wolfi lo depose accuratamente a terra.
Naturalmente egli aveva accettato solo apparentemente l'accordo, poiché nella sua mente già vedeva i due splendidi esemplari felini nella vetrina, imbalsamati l'uno accanto all'altro, con sotto un bella intestazione del tipo Romeo e Giulietta dei Gatti.
Certamente a noi può sembrare crudele il comportamento del bottegaio, ma se volgiamo il pensiero alla Storia, dobbiamo riconoscere che non vi è eroe che non abbia vinto le sue battaglie senza stratagemmi, espedienti, frodi ed astuzie.
Se ne andò soddisfatto attraverso la città deserta e se udiva un miagolio o intravedeva un paio di occhi fosforescenti balenare nell'oscurità, sorrideva soddisfatto e brontolava qualche parola <>.
Anche la bella gattina Giulietta - così la chiameremo ora, prendendo spunto dalla meditazione del Signor Wolfi - correva per la città alla ricerca dei suoi amici e soprattutto di Rino. È difficile dire i turbamenti da ella provati, colmi, da una parte, di rancore e compiacimento per la non tarda vendetta e dall'altra di pentimento. Quando si fermava a chiedere ad uno della sua specie ove potesse trovare l'amato capo, le pareva che quello indovinasse i suoi pensieri di tradimento e chinava lo sguardo, poi proseguiva verso la meta, ma le sembrava di ricordare che nell'ultima conversazione si fosse lasciata sfuggire qualche miagolio di troppo.
Giunse al rifugio, Rino era sdraiato, attorniato da belle gatte e da robusti esemplari di maschi. Credete forse che si rizzò sulle quattro zampe alla vista della sua Giulietta, di colei che lo aveva iniziato all'amore, ovvero ad una vita reale? Sì, alla vita reale, poiché gli amori letterari altro non sono che sogni! Sogni di notti insonni! Amori cercati fra le righe confuse dei libri e svaniti dietro il color rosa dell'alba lontana! Rino si limitò a volgere lo sguardo stancamente. Era stanco! La sua attività di capo era veramente spossante: pensare, decidere il giorno e l'ora dell'attacco, nominare gli individui opportuni.
E soprattutto attendere!

NOTE
1) E.T.A. Hoffmann Vita e considerazioni del Gatto Murr
2) Ernst Theodor Wolfgang Hoffmann cambiò il suo terzo nome in Amadeus per amore della musica di Mozar