fant)a(smatico - anno XXVIII - n.120 
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Giulio Dello Buono
 
UNA NOTA SU TERRORE E ORRORE
come tecniche narrative e fatti sociali
 
I. - La paura, a livello individuale, scaturisce da un incontro inaspettato con l'altro ed é indice di un rapporto conflittuale con la realtà che ci circonda, concepita come minacciosa per il nostro equilibrio e, infine, per la nostra esistenza. L'esperienza perturbante, come nel celebre saggio di Freud, non é necessariamente l'incontro con l'altro da sé in uno scenario ignoto, ma può anche interpretarsi come la proiezione, da parte del soggetto, di paure profonde, e perché tali rimosse, sullo sfondo di uno scenario noto, un ribaltamento, dunque, così come la particella "un" anteposta all'aggettivo "heimlich" (confortevole, da "heim", casa) lo trasforma in "unheimlich" (perturbante), "quella sorta di spaventoso che risale a quanto ci é noto da lungo tempo, a ciò che ci é familiare"(1).
L'esperienza della paura non può essere considerata solo in senso negativo, bensì anche come fattore della perfettibilità umana, una prova del nostro equilibrio nel rapporto con noi stessi e con il mondo che ci circonda; e allora la paura può essere una esperienza essenziale del vivere umano, quando essa ha la capacità di "mobilitare i nostri centri nervosi"(2) e spingerci all'azione, ad un superamento della situazione paurosa verso il raggiungimento di un nuovo equilibrio, oppure costituisce una subitanea rottura dell'equilibrio che ci paralizza e ci annichilisce. Siamo di fronte alla dicotomia tra 'paura primaria' e 'paura secondaria', laddove la prima stimola l'individuo a reagire controllando ed infine superando la minaccia, mentre la seconda individua una situazione di paralisi del soggetto, con conseguente passività di fronte all'altro. Queste due tipologie della paura non attengono al fatto pauroso in sé, quanto alle diverse reazioni (anche di fronte allo stesso evento perturbante) del soggetto, dovute sia alla sua situazione interiore sia al suo rapporto col mondo esterno. Di fronte all'evento pauroso, é in gioco l'identità del soggetto, la sua riaffermazione (anche modificata dall'esperienza) o la sua perdita (sopraffatta dall'altro da sé).
Paura primaria e paura secondaria entrano nella sfera artistica soprattutto nella letteratura fantastica, nei racconti del terrore e dell'orrore. Questi due sostantivi sono spesso considerati sinonimi. Nel dizionario Garzanti si legge: "Terrore: sentimento di forte sgomento, di intensa paura [sinonimo: orrore]; Orrore: sentimento di forte paura e di ribrezzo [sinonimo: terrore]". L'elemento distintivo é quel "ribrezzo", che accosta l'orrore ad una situazione più strettamente fisiologica: il terrore viene visto come prevalentemente psicologico, l'orrore stimolerebbe in più reazioni fisiologiche (disgusto-ribrezzo-vomito). Sulla stessa linea le definizioni dell'Oxford English Dictionary: "Terror: great fear; an instance of great fear. Horror: a powerful feeling caused by a great fear mixed with disgust". Più utili ci sembrano le definizioni dello Zingarelli: "Terrore: grande paura, forte spavento, timore che sconvolge; Orrore: violenta sensazione di ribrezzo, ripugnanza o raccapriccio; timore profondo e quasi incontrollabile". Queste ultime definizioni ricalcano le precedenti, riconducendo l'orrore alla fisicità, ma introducono quel "quasi incontrollabile", legato all'orrore, che ci aiuta a distinguere tra i due. Il terrore ci sembra più l'amplificazione di quella paura primaria che forza l'individuo alla reazione; l'orrore appare più legato alla paura secondaria, che annichilisce l'individuo, il quale non riesce più a controllare le sue reazioni, subisce l'evento e compie il primo passo verso la follia. L'esperienza dell'orrore ci sembra esemplificata dell'episodio di Giovanni Castorp nella sezione intitolata "Neve" in La Montagna Incantata di Thomas Mann:
"Due femmine grigie, mezze nude, dai capelli arruffati, coi seni pendenti da streghe e i capezzoli lunghi un dito, erano intente, fra recipienti di fiamma, ad una crudele bisogna. Esse straziavano sopra una bacinella il corpo di un bambino, lo squarciavano con la mani, in un silenzio selvaggio (Giovanni Castorp vide tenui fili biondi misti a sangue) e ne inghiottivano i pezzi, così che le ossa scricchiolavano nella loro bocca dalle cui labbra orrende gocciolava il sangue. Un gelido orrore teneva legato Giovanni Castorp. Egli avrebbe voluto fuggire, ma gli sembrava di essere inchiodato al suolo"(3).
Castorp é soverchiato dall'orrore e, anche se in sogno, non riesce a fuggire; soccombe, e il risultato é una 'rottura di livello': manca a sé stesso e passa, sconfitto, dal sogno alla veglia.
Nell'ambito della letteratura fantastica, terrore e orrore rinviano da una parte a specifiche tecniche narrative (strategie della paura), dall'altra a due differenti tipologie del rapporto tra scrittore e società. La paura é sì un fatto individuale, ma anche un fatto sociale, un sintomo del rapporto tra scrittore e società che, per la letteratura fantastica, oscilla tra terrore e orrore, tra accettazione critica (superamento, utopia) e rifiuto (passività, letteratura del terrore/orrore).

II. - Nella letteratura fantastica, le strategie della paura si focalizzano intorno all'evento fantastico pauroso. Non é però l'evento pauroso in sé a rientrare nel campo del terrore o in quello dell'orrore, secondo la nostra distinzione. Questi due 'effetti' scaturiscono dall'incontro di tre campi simbolici: 1) l'evento fantastico; 2) l'economia simbolica del racconto; 2) lo spazio simbolico del personaggio. L'evento fantastico é quell'evento che, al suo verificarsi, contraddice una concezione del mondo generalmente accettata (dall'autore implicito, dal personaggio, dal lettore). Per 'economia simbolica del racconto' intendiamo indicare il rapporto che si viene a creare tra la poetica del racconto e le sue singole parti, e in particolare con l'evento fantastico: così l'apparizione di una creatura soprannaturale ha una funzione in un racconto del genere 'meraviglioso' ed una tutta diversa in un racconto di quel genere che Todorov chiama 'fantastico puro'(4). Nel primo caso l'evento non contraddice le norme che reggono l'intera impalcatura simbolica della narrazione (e che sono diverse dalle nostre: la fiaba, il Fantasy); nel secondo caso, il timore sorge dall'irruzione, in una narrazione 'realistica', di un evento che contraddice le regole del mondo quale noi lo conosciamo(5). È per questo che Freud nega che le fiabe possano produrre alcun effetto perturbante; stessa la tesi di Roger Caillois, per il quale "nella fiaba il soprannaturale non spaventa e non sorprende poiché costituisce la sostanza stessa dell'universo"(6). L'effetto pauroso deve avere dunque come sfondo una impalcatura simbolica che dia all'evento stesso le caratteristiche di uno 'scandalo', la messa in discussione delle leggi che regolano il mondo reale, o più precisamente, di quelle leggi che, in un dato momento storico e culturale, sono assunte come base di una concezione del mondo largamente condivisa e scientificamente convalidata.
Evento fantastico ed economia simbolica del racconto incontrano lo spazio simbolico del personaggio, che si può definire come l'immaginario individuale: una costellazione di simboli, cognizioni, valori, conoscenza che connotano il personaggio. La paura, come tecnica narrativa, sorge dunque dallo scontro di due campi simbolici: quello dell'evento (da ricordare che anche l'evento occupa il centro di un campo simbolico formato dai sistemi simbolici a cui l'evento singolo rimanda; ad es.,: Apparizione dello spettro < credenza negli spiriti > animismo/spiritismo) e quello del personaggio; più precisamente, sorge nel momento in cui l'evento contraddice la concezione del mondo del personaggio(7).
La differenza tra terrore e orrore va studiata su due fronti: 1) se l'evento fantastico in sé non può definirsi 'terribile' o 'orribile', questa definizione può essere applicata ai rapporti che il campo simbolico dell'evento instaura con un dato sistema simbolico; 2) la reazione (ed il perché della reazione) del personaggio di fronte all'evento (occorre però ricordare la centralità del terzo elemento, lo sfondo, l'economia simbolica del racconto, che, semplificando, può essere ricondotto alla nozione di genere letterario). Allora, l'evento che crea terrore é un evento che o non contraddice le leggi del nostro mondo, condivise dal personaggio, oppure, anche contraddicendole, rientra nelle leggi di un mondo soprannaturale sempre condivise dal personaggio; il personaggio prova terrore, ma inizia a reagire nel momento in cui incasella l'evento in uno schema che accresce il suo campo simbolico, viene acquisito, superato: l'incontro con l'altro diventa esperienza. L'evento che crea orrore é un evento che contraddice le leggi del nostro mondo ma che o non viene spiegato neanche col ricorso alle tradizionali cognizioni sul soprannaturale, o comunque non trova posto nello spazio simbolico del personaggio. Da qui l'annichilimento e la sconfitta dell'individuo, il dissolvimento del suo spazio simbolico: l'incontro non é esperienza, bensì shock.
Nella prima parte del Faust di Goethe, Faust evoca uno spirito: "che vista tremenda", esclama il mago, "non ti sopporto". Ciò nonostante lo spirito ha ubbidito ad una sua invocazione: "debbo io cedere davanti a te, figura di fiamma? Sì, sono io, sono un tuo pari [...] come mi sento vicino a te!". E quando Mefistofele dice a Faust di non poter andare via, perché una emanazione del campo simbolico di Faust (il pentagramma) gli sbarra la strada e non può uscire dalla finestra perché "é legge dei diavoli e degli spiriti che per dove sono entrati di lì devon sortire. La prima via sta a noi sceglierla, l'altra siamo obbligati", Faust esclama: "Anche l'inferno, dunque, ha le sue leggi?"(8). L'apparizione di Mefistofele non incute orrore; essa rispetta almeno 'le leggi dell'inferno', e comunque trova posto nello spazio simbolico del personaggio, nella sua concezione del mondo(9).
Per meglio evidenziare la dicotomia terrore/orrore citiamo come esempio un racconto di E.T.A. Hoffmann, "Il Maggiorasco", limitandoci a due passi significativi. Il castello dove il vecchio V. e suo nipote (il narratore) risiedono temporaneamente é infestato da uno spettro, conseguenza di un fatto di sangue avvenuto nel passato. In questa prima scena, testimone dell'apparizione é il giovane nipote, ignaro dei fatti accaduti:
"[...] la porta che dava sull'antisala si aprì con un gran colpo. Saltai su terrorizzato, il libro mi cadde dalle mani. Ma nello stesso momento tutto tornò silenzioso e io mi vergognai della mia infantile paura! Era probabile che la corrente d'aria avesse spalancato in un modo o nell'altro la porta. Non era nulla... La mia fantasia sovreccitata trasformava in un che di spettrale ogni fenomeno naturale! Così tranquillizzato raccolsi il libro da terra e ricaddi nella poltrona. Piano e lentamente, a passi cadenzati, qualcosa attraversò la stanza sospirando e gemendo, e in quei sospiri e in quei gemiti c'era l'espressione del più profondo dolore umano, della più sconsolata disperazione. Ah! Deve essere un animale malato, rinchiuso al piano di sotto. Le illusioni acustiche della notte sono note, tutto ciò che risuona in lontananza sembra vicino. Chi potrebbe spaventarsi per una cosa simile? Così mi tranquillizzai di nuovo, ma a questo punto dal muro nuovo vennero dei forti, profondi sospiri, come emessi nella terribile angoscia della morte e si udì grattare, "Sì, é un povero animale rinchiuso - adesso griderò, picchierò forte col piede sul pavimento e tutto tornerà tranquillo oppure quell'animale là sotto si farà sentire più chiaramente con la sua voce naturale!""(10).
Il Personaggio cerca ripetutamente di riportare l'evento a cui sta assistendo all'interno del suo spazio simbolico: all'aprirsi della porta, risponde con una corrente d'aria; ai gemiti, con l'ipotesi di un animale malato; con la stessa ipotesi al "grattare": sono tutti tentativi di autocontrollo, sforzi per non cedere all'orrore, operati nel tentativo di inglobare l'evento perturbante nella propria sfera cognitiva, in questo caso riconducendolo alla dimensione naturale. Ma la frattura tra il soggetto e la realtà diviene incolmabile, l'orrore ha il sopravvento immobilizzando il narratore nella poltrona: "Il sangue nelle vene mi si era fermato. Sudore freddo mi imperlava la fronte, rimasi seduto, immobile, nella mia poltrona, incapace di alzarmi e ancor meno di chiamare"(11). È il punto culminante dell'evento, l'apparizione dello spettro: tutte le difese del soggetto sono crollate, dissolto é il suo spazio simbolico, rivelatosi incapace di contenere l'evento fantastico. Alla fine, il narratore 'ritrova se stesso', stimolato dal contatto col prozio: "In quell'attimo sentii sospirare e gemere d'angoscia il prozio nella stanza vicina, ciò mi restituì la coscienza"(12). Dall'istante dell'apparizione fino a quando sente il prozio gemere, l'orrore blocca non solo il corpo ma anche le funzioni psichiche del narratore; la fine di questa situazione di shock coincide con il riappropriarsi della coscienza e della capacità di movimento.
Il giorno successivo ha luogo la stessa scena, stavolta in presenza sia del narratore che del prozio:
"Battè la mezzanotte. Con terribile fracasso la porta si spalancò e come il giorno precedente dei passi lievi e lenti aleggiarono per la sala mentre tornarono a farsi sentire i gemiti e i sospiri. Il vecchio era impallidito, ma i suoi occhi brillavano di un fuoco inconsueto, si alzò dalla poltrona, ed eretto nella sua imponente figura col pugno sinistro piantato nel fianco e il braccio destro teso verso il centro della sala sembrava un eroe in atteggiamento di comando. I gemiti e i sospiri si fecero sempre più forti e impercettibili e si udì grattare alla parete in modo ancor più orribile del giorno prima. Il vecchio allora avanzò dritto e con passo fermo, tanto da far rimbombare il pavimento, verso la porta murata. Vicinissimo al luogo da cui proveniva un raspare sempre più folle egli si fermò e disse con voce forte e solenne che mai gli avevo sentita: "Daniel, Daniel! Che fai qui a quest'ora!" Udimmo allora un grido orribile e spaventoso e un colpo sordo, come se un peso fosse precipitato al suolo. "Va' a impetrar grazia e pietà al trono del Signore, é lì il tuo posto. Sparisci dalla vita di cui non puoi più esser parte!" Così gridò il vecchio ancor più forte di prima e parve allora che un sommesso pianto attraversasse l'aria e andasse a spegnersi nel sibilo della bufera che cominciava a levarsi. Il vecchio andò allora alla porta e la richiuse con forza tale che l'antisala, vuota, rimbombò. Nelle sue parole e nei suoi gesti c'era qualcosa di sovrumano che mi riempiva di profondo terrore. Quando tornò a sedersi nella sua poltrona il suo sguardo era come trasfigurato, congiunse le mani e pregò dentro di sé"(13).
Perché la reazione del prozio é tanto diversa di fronte allo stesso evento, tanto da spingerlo all'azione e non costringerlo alla passività? Non che il prozio non provi un forte spavento, prova ne é il suo appello alla 'fede' ("il mio coraggio fondato su una salda fede") e la preghiera con cui si conclude la scena. Lo stesso evento provoca reazioni così diverse perché nel primo caso esso distrugge il tentativo di razionalizzare l'apparizione, di contenerla in uno spazio simbolico troppo esiguo; nel secondo, lo stesso evento é inglobato in due spazi simbolici concentrici: 1) l'appello alla fede, che non é una semplice convenzione narrativa, bensì un modo per inserire l'evento soprannaturale in una rete di riferimenti simbolici sull'aldilà fortemente strutturata, fondata sulla tradizione cristiana; 2) il prozio, a differenza del narratore, conosce il fatto di sangue avvenuto nel castello; questo evento fa già parte del suo immaginario. È dunque la ricchezza del suo spazio simbolico (il suo basarsi su una tradizione che accetta il soprannaturale e la sua conoscenza dell'evento passato causa dell'apparizione) che permette al prozio di reagire e superare l'orrore. Il suo immaginario assorbe l'urto simbolico e reagisce rifacendosi a schemi (esorcistici) convalidati dalla tradizione simbolica cristiana.
Lo stesso evento pauroso può dunque ingenerare terrore o orrore non per una sua qualità intrinseca, ma solo in base al rapporto che l'evento viene a creare con lo spazio simbolico del soggetto, con le sue cognizioni e il suo 'sapere', il suo immaginario. Ovviamente il caso citato ha solo la funzione di esempio: la ricchezza del campo simbolico del prozio non comporta alcun giudizio di valore sulla tradizione cristiana in sé; essa é qui concepita solo come campo di riferimento simbolico neutro. Nell'esempio che segue, il superamento della situazione perturbante non é più legato all'accettazione passiva di una tradizione, ma alla riaffermazione del principio di identità.

III. - Nella fiaba "La Vecchia Scorticata" del Basile, all'evento fantastico il protagonista reagisce esclamando: "Sto sognando o sono sveglio? Sono in me o deliro? Sono o non sono io?"(14). La prima dicotomia é quella tra sogno e realtà: é il primo meccanismo di difesa del soggetto che, di fronte al fatto inspiegabile, esita se situarlo nella realtà, negando così il suo codice, o nella sfera del sogno, dove tutto é possibile senza perciò destabilizzare il soggetto. Il secondo stadio é un passo avanti verso il cedimento: se, nel primo stadio, sogno e realtà fanno parte della vita psichica equilibrata del soggetto, e il patologico risiede nel non saper distinguere tra i due, qui il cedimento é ulteriore e l'alternativa é fra la realtà effettiva del fatto e della sua percezione (sono in me) o la caduta nel patologico (deliro). Il terzo e ultimo stadio pone il rischio, di fronte all'evento, della perdita dell'identità, perdita sentita come ancor più grave di una identità dissociata. È l'io che si trova di fronte al rischio di soccombere, di non riconoscere più se stesso di fronte all'oggetto, di smarrire la propria identità.
Sogno Vs. Realtà
Ragione Vs. Delirio
Io Vs. Non Io
La strada che porta al terrore (paura primaria - stimolo - reazione) percorre la prima colonna, situando il fatto nella sfera del sogno (quindi razionalizzandolo), negando la realtà del fatto, riaffermando la ragione e l'io (identità). La strada che porta all'orrore percorre la seconda colonna, accettando il fatto come una realtà (veglia) che precipita il soggetto verso il 'delirio' ed infine verso la perdita dell'identità. Combinando le tre domande, si potrebbe dire: A) se sto sognando (spiegazione razionale) sono in me e sono io (riconosco il fatto); B) se sono sveglio (spiegazione irrazionale) deliro e non sono io (perdo me stesso, non riconosco il fatto).
La ricchezza simbolica del soggetto nel primo caso non si basa dunque su alcuna tradizione: lo spazio simbolico del soggetto é capace di assorbire il colpo perché la sua concezione di 'spiegazione razionale' non esclude il fascino del sogno. Semplificando, si potrebbe dire che il soggetto fa uso di una 'ragione' non chiusa in se stessa, ha una mentalità 'aperta'. È la povertà dell'immagine di realtà che nel secondo caso impedisce al soggetto di collocare l'evento in una sfera 'altra' della realtà (il sogno) che é reale anch'essa a tutti gli effetti. Ma terrore e orrore rimandano anche ad un rapporto col reale che può essere concepito come rapporto con la storia.

IV. - Terrore e orrore, in quanto tecniche narrative, costituiscono due aspetti del rapporto tra scrittore, tradizione letteraria/genere letterario e realtà storico sociale. La paura é oggetto di studio dello psicologo come fatto individuale, ma campo d'indagine socioletteraria quando appunto il gioco con la paura é espresso all'interno di parametri narrativi come rispecchiamento dell''esser nel mondo' dell'artista. La paura é vista così nella sua dimensione collettiva, un sentimento suscitato dall'incertezza di fronte al rapido mutarsi delle strutture sociali, al venir meno di solide coordinate, all'impatto col nuovo sentito come minaccioso nei confronti di un agire sociale consolidato nel tempo. La perdita di stabili coordinate, uno stato di perenne 'crisi di valori', una situazione di 'anomia', gettano ombre cupe sul futuro di una collettività, facendo così sorgere immagini paurose, vuoi come ritorno di un mito distorto e non più salvifico, vuoi come visione di una progressiva degenerazione della realtà politico-economica, ambientale, tecnologica. Come l'evento fantastico che ingenera timore, anche la situazione storica é la stessa per ogni osservatore; la differenza risiede non nella realtà, bensì nell''immagine di realtà' che opera una mediazione tra l'immaginario individuale e la realtà stessa. Le differenti opzioni letterarie, i generi, sistemi di riduzione della complessità, sono modalità differenti di rapportarsi al mondo che scaturiscono dal contatto tra spazio simbolico/immaginario individuale e 'immagine del mondo'. Un impatto distruttivo con la realtà, vista come totalmente estranea e mostruosa, é alla base della poetica del racconto dell'orrore alla Lovecraft. La paura circa l'influenza negativa della tecnologia sull'ambiente, delle tecniche informatiche sulla perversione del consenso, ecc., é alla base dell'accettazione critica del reale propria delle utopie/distopie e della fantascienza. Il genere utopico/distopico e la fantascienza, accettando come sfida la paura del futuro, riaffermano la possibilità tutta umana di modificazione del reale. Il racconto fantastico dell'orrore, assolutizzando l'esperienza della paura come parametro del rapporto dello scrittore con la realtà, esprime il rifiuto di un mondo sentito come estraneo, perduto:
"Delle due fasi esponenziali della paura, quella primaria, di allarme e incitamento all'azione, é direttamente inerente allo sviluppo diegetico dell'utopia, mentre quella secondaria, immobile e disorientante, investe [...] la struttura narrativa del fantastico"(15).
Nel genere utopico, la realtà, pur vista come paurosa, non é però totalmente estranea al soggetto, il quale riesce a inscrivere la paura del nuovo all'interno del suo spazio simbolico, ha la capacità di 'pensare il futuro' perché, come direbbe Jesi, (16) ha un rapporto genuino col passato. Nell'utopia, il terrore é una spinta positiva a vedere il modificarsi del mondo sì come una minaccia, ma anche quale luogo geometrico dell'agire umano. Seguendo la nostra terminologia,: la ricchezza del campo simbolico del soggetto, della sua immagine di realtà, e del suo rapporto con la storia, permette di vedere nella realtà sociale stessa non qualcosa di estraneo, ma conseguenze di un dato processo storico (umano), nel quale l'uomo può intervenire.
Nel racconto Fantastico dell'orrore, la realtà é vista come estranea e mostruosa; lo spazio simbolico del soggetto non riesce ad accogliere il nuovo, il diverso, e viene schiacciato. Il soggetto ripiega su sé stesso, diventa schiavo della 'reverie', instaura un rapporto non genuino con la storia (é posseduto dall'aspetto orrido del mito, per riprendere Jesi) e proietta il proprio malessere su immagini mitiche di orrore universale. La paura di questo genere letterario é un 'orrore' negativo, non una spinta all'agire, ma proiezione su un altro da sé mostruoso delle proprie incapacità di confrontarsi col reale, di agire, di essere nel mondo.

NOTE
(1) S. Freud, Il Perturbante, Theoria, Roma-Napoli 1984, p. 16.
(2) R. Runcini, La Paura e l'Immaginario Sociale nella Letteratura. I° Il Gothic Romance, Liguori, Napoli 1984, pp. 12-16.
(3) Th. Mann, La Mo