![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
di Alfonso Cardamone | |||
![]() | |||
Agli inizi fu -indubbiamente- un Convivio di Sogni. A nessuno mai fu dato di conoscere l'inizio degli inizi. Ma noi sappiamo che non poté essere che così. Circondato da forze inesplicabili (scrive Anita Seppilli in "Poesia e Magia"), e perciò potenzialmente ostili, visibili o non visibili, l'uomo, all'alba -come suol dirsi- della civiltà (o anche prima...), indifeso nell'ambiente di natura, povero di mezzi per agire nell'ambiente, si sente circondato da forze inesplicabili... Forze inesplicabili. E tra tutte una è quella che, più di ogni altra, lo angoscia: la coppia terribile di Potenza rappresentata da Morte e Tempo. Distesa tra essere e non-essere, martoriata dal tripalium inarrestabile del divenire e dalla cupa coscienza della miserabile durata, l'avventura umana appare ben fragile e miserabile cosa. Ma l'uomo, animale tra tutti strano, e infelice e presuntuoso, è nativamente segnato dalla condanna e dal privilegio di essere dotato di s/ragione (e si confronti, a questo proposito il Morin di "Il paradigma perduto"). Dai documenti che etnologia e storia -continua la Seppilli- offrono a profusione risulta che i sogni o le visioni...vengono...valutati come mezzi per conoscere queste forze, e rappresentano perciò una fra le più importanti vie per mettersi a contatto con esse ed agire su di esse. Lo strumento attraverso cui principalmente si manifesta e agisce, in questo suo compito prometeico, la s/ragione, è esattamente il Linguaggio. Ma qui bisogna essere chiari e precisare subito che il Linguaggio a cui intendiamo fare riferimento è quell'unico linguaggio universale che la specie umana abbia mai creato, di cui discetta il Fromm di "Il linguaggio dimenticato", e che è il linguaggio simbolico, quello delle immagini e dei simboli, in cui si realizza il rapporto primigenio tra Parola e Sogno, e che detta la propria particolare grammatica e sintassi sia ai miti che alle fiabe e ai sogni. Il Sogno è l'inquietante fantasma dei confini, il dubitoso ponte che poeti e visionari gettano sull'infinito. E non è senza ragione se -agli inizi-, il sistema della Letteratura si assesta e si definisce proprio mentre si definisce e si circoscrive il sistema del Sogno come sistema fondamentalmente votato alla veggenza, o pre-veggenza della Morte. Incernierandosi sul confronto con la Grande Ombra che sovrasta e assedia e stringe il Tempo umano nella tenaglia della diversa e inconcepibile Durata, i due sistemi si incontrano, facendosi l'uno metro e paradigma dell'altro, in una metaforica "tavola dei segni", tavola dei simboli fondanti la Poesia e la Letteratura, in cui i Sogni, le ombre che abitano individualmente l'uomo, sembrano estroflettersi e codificarsi in paradigmi, a futura memoria di tutti i successivi navigatori dell'oceano delle lettere, per farsi piste labirintiche e fantasmatiche verso l'Altra e più Grande Ombra. Questa "tavola dei segni" è la settemplice rassegna di sogni di Kessi il Cacciatore. All'alba della "civiltà", e forse prima se facciamo riferimento alla probabilissima origine orale del racconto, Kessi, eroe protagonista di un'antichissima epopea ittita scritta oltre quaranta secoli fa, sogna e, sognando, segna e stabilisce, attraverso la registrazione di sogni che sono labirintiche metafore oniriche della Morte, le fondamentali metafore degli Inizi e, contemporaneamente, i paradigmi degli sviluppi successivi della Letteratura e della Poesia. Già Gaster, lo studioso che quella storia ha riportato (completandola) nella sua opera "Le più antiche storie del mondo", nel commentarla sostiene che I sette sogni di Kessi debbono probabilmente venir considerati come tratti da una "lista modello" a cui gli antichi narratori attingevano ogni qual volta il racconto lo richiedeva". L'inizio degli inizi resta oscuro, confinato nella spessa nebbia che avvolge le narrazioni orali, ma ciò che interessa qui è aver individuato un limite post quem da cui fare iniziare i successivi sviluppi tematici. Chi era, dunque, Kessi il Cacciatore e quali i suoi sogni? Nella parte della storia che è giunta fino a noi (la parte iniziale dell'originale ittita e un breve frammento di versione accadica), Kessi è descritto come un cacciatore così abile nell'arte della caccia che "persino gli dèi giunsero a fare affidamento su di lui per il loro cibo quotidiano". Ma un bel giorno tutto cambiò. Kessi si innamorò di una fanciulla dagli occhi splendenti e dalla voce melodiosa, Shintalimeni, la più giovane di sette sorelle, e, allora, addio caccia! Occhi negli occhi, le giornate trascorrevano tutte impegnate negli smemoranti ozi d'amore. Quando, infine, spinto dalla madre severa, fece ritorno sulle colline, a caccia, la ruota del destino ormai volgeva in tutt'altro senso per il Cacciatore. "Quando un uomo dimentica gli dèi, gli dèi dimenticano lui; e quando Kessi raggiunse le colline, trovò che tutta la selvaggina si era nascosta nelle tane e, per quanto egli girasse e si affannasse, le sue fatiche furono vane". Sfuggito a stento alla furia ed ai sollazzi crudeli degli gnomi delle montagne che, mentre era addormentato, molto avrebbero gradito farlo a pezzi, ma infine si erano accontentati di rubargli il mantello lasciandolo esposto al gelo notturno, qualche notte dopo "ebbe strani sogni". I sogni di Kessi sono sette ed ognuno, come commenta Gaster, "ha un significato che la tradizione popolare associa generalmente alla morte, o al regno dei morti". Leggiamoli nella versione, appunto, di Gaster.
"In primo luogo Kessi è un cacciatore. In secondo luogo, in uno dei suoi sogni, egli si era visto legato e incatenato, e anche questo doveva essere un presagio di ciò che lo attendeva. In terzo luogo, il nome della moglie di Kessi è Shintalimeni e nella lingua degli Hurriti (Horei), alla quale questo nome appartiene, la parola shint significa "sette". Combinando queste indicazioni, ne deriva la seducente possibilità che Kessi altri non fosse che Orione e ciò per le seguenti ragioni: a) Orione era un cacciatore; b) fu incatenato al cielo; c) fu rappresentato nell'atto di inseguire le sette sorelle, e specialmente la più giovane, che divennero poi le Pleiadi". Così scrive nel suo commento Gaster, a cui l'identificazione Kessi/Orione serve specificatamente per facilitare la ricostruzione della parte mancante della storia: "Se questa identificazione è giusta, è facile trovare la fine della nostra storia. Incapace di ritornare nel mondo dei vivi, il cacciatore fu trasportato tra le stelle e, poiché egli desiderava ardentemente di essere riunito alla propria sposa, anch'essa fu trasportata in cielo assieme alle proprie sorelle: come chiunque può constatare con i propri occhi in una notte limpida e serena...". A noi, in verità, quell'identificazione vale, in particolare, a chiarire la natura e la portata dei Sogni di Kessi, nonché a conferire certificazione di maggiore attendibilità a quei particolari titoli di "fondatore" paradigmatico di cui gli abbiamo appena fatto credito. Kessi che, come Cacciatore, sogna il regno dei morti, in quanto ipostasi di Orione, di quel regno diviene egli stesso l'ingresso stellare. Kessi come Orione; le Pleiadi come reti da caccia celesti: tutti segni di morte. In cielo (insegnano de Santillana e von Dechend), al "piede" di Orione (cioè Rigel, beta Orionis, e "rigl" in arabo significa "piede") si apre il "gorgo", il mitico gorgo che "rappresenta, ovvero è, il collegamento fra il mondo dei vivi e il mondo dei morti", la porta a cui conduce la via celeste dell' Ade, l' Eridano, "l'umida tomba di Fetonte (che) veniva visto come un fiume stellato che conduceva all'altro mondo". Sempre dagli Autori del Mulino di Amleto apprendiamo che nel mondo antico l'osservazione dell'avvenuto spostamento del coluro equinoziale causato dal fenomeno della Precessione degli Equinozi avrebbe introdotto sulla scena di questa fondamentale cosmogonia Eridano, la babilonese "confluenza" dei fiumi dell'oltretomba (e cioè, Eridu, la mitica città di Ea, proiezione terrestre della Canopo celeste) a sostituzione della Via Lattea nel ruolo, che questa aveva avuto fin "dai primordi delle civiltà superiori", di "strada che conduceva i morti all'aldilà". Il mito è così lo specchio di un rispecchiamento inquietante ed ambiguo: dal cielo alla terra, all'oceano è un dislocare continuo, che è anche un continuo ricercare per eludere e un eludere per continuamente ricercare. "La carta schematica terrestre venne tratta da quella celeste": ma il gorgo celeste è contemporaneamente il Maelstrom oceanico e la galleria solare, il vortice dei deserti marini e il pozzo di Ade che si apre sul fianco delle montagne. E la porta è situata ora ad ovest, ora a sud, ora all'estremo settentrione. Ma l'archetipo resta sempre l'enorme porta che non si può aprire che è al centro dei sogni di Kessi/Orione. Nella storia del Cacciatore ittita si realizza, per la prima volta e nella forma più chiara, la duplice natura del sonno, che è al tempo stesso oblìo e (pre)veggenza, oblio della vita vissuta come un incubo, e pre-visione onirica della morte, che è intuita come la vera vita, o comunque come l'estrema verità. Ma ciò che, soprattutto, colpisce è il cordone ombelicale che viene a stringersi tra questi sogni di Kessi e la Letteratura, che da lì sembra nascere e da lì sembra evolvere seguendo, sia ad oriente che ad occidente, i medesimi paradigmi, a conferma non solo di quella trasmissione culturale delle immagini oniriche di cui discute Dodds in I greci e l'irrazionale, ma anche di quell'altro fondamentale assunto, sostenuto dai citati de Santillana e von Dechend, secondo cui la poesia trova la propria gestazione già in grembo al mito. Nel Mulino d'Amleto possiamo leggere: "...l'idioma del mito porta con sé l'emergere della poesia... da questa zecca sono usciti tipi ben delineati (sopravvissuti fino ad oggi, per esempio, nei giochi dei bambini, nelle figure degli scacchi e delle carte da gioco) unitamente alle avventure loro destinate; e queste immagini orali sono sopravvissute al sorgere e al cedere di imperi, si sono accordate a nuove civiltà e a nuovi cambiamenti...". E ciò che è valido per le immagini orali, lo sarà ancora di più per quelle (anch'esse tipi ed avventure) scritte e, pertanto, codificate e normalizzate, contenute nella tavola dei Sogni di Kessi, che saranno Metafore e Segni di riferimento per tanta parte della Poesia Epica successiva. L'enorme porta che non si può aprire e che è guardata da draghi e da altre mostruose creature non solo trova corrispondenza nel "massiccio cancello (che) era difeso da creature spaventose e terribili, mezze uomini e mezze scorpioni" del Poema di Gilgamesh, ma anche nelle "larghe porte dell'Ade" e nelle Chere odiose e divoratrici del libro XXIII dell'Iliade, o, ancora, nelle "case putrescenti dell' Ade" dei libri X-XI dell' Odissea, che si situano nell'estremo Nord, la nebbiosa terra dei Cimmèrii, ai confini dell' "Oceano corrente profonda", anzi dell' "Oceano gorghi profondi", e cioè nel fatale gorgo di Orione qui riproposto, come Maelstrom, nella distesa marina piuttosto che in quella celeste! E ritorna nell' Eneide la porta dell' Averno, per cui "facilis descensus Averno... sed revocare gradum superasque evadere ad auras, hoc opus, hic labor est", poiché quella porta introduce ai "regna invia vivis", sorvegliati da Gorgoni, Arpie e quant'altre orride creature. Ma siano queste Gorgoni o Chere, Uominiscorpione o Centauri, tutte sono riconducibili all'archetipo della fatale porta che nel sogno di Kessi è custodita dalle dee Damnassara, le Arpie. Né è da trascurare che il Cacciatore -come mette in luce Gaster- è accompagnato, nel suo terribile viaggio, da una guida, quell' Udipsharri, suocero di Kessi, che viene introdotto nella narrazione dal frammento accadico, non diversamente da come lo saranno, in seguito, dalla madre Anticlea Ulisse, dal padre Anchise Enea e, in senso ancora più stretto, dalla Sibilla Cumana ancora Enea e da Virgilio Dante. Tutto questo per quanto riguarda il primo, il quinto, il sesto e il settimo sogno di Kessi, ma anche i rimanenti tre fanno capo al medesimo ambito di riferimento e si pongono come immagini archetipiche del rapporto tra Morte e Letteratura. Il secondo sogno, per esempio, quello dell'uccello che piomba improvvisamente dal cielo e rapisce un'ancella intenta al lavoro, altro non è (lo ricorda Gaster) che una visione di morte legata alla credenza, diffusissima non solo nella mitologia mesopotamica (si veda ancora una volta il Poema di Gilgamesh), ma anche in quelle iranica e ugro-finnica, che "gli uccelli trasportassero i defunti nel mondo dell'aldilà". I divini padri del quarto sogno, che sono visti nell'atto di attizzare un fuoco, non possono non richiamare alla mente il fuoco dell'inferno, la fucina dei fulmini e il mito dei Ciclopi. Il terzo sogno, infine, quello della folgore che investe un gruppo di persone, è anche esso una metafora della morte, anzi della premonizione della morte, come chiarisce e conferma il sogno analogo attraverso il quale Enkidu, in Le avventure di Gilgamesh, riferite da Gaster, riceve un primo presagio dell'approssimarsi della morte: "... ho sognato che il cielo rumoreggiava, e la terra era scossa da un sussulto, e il giorno diventava buio, e cadevano le tenebre, e la folgore fiammeggiava e il fuoco saliva divampando, e scendeva la morte. E poi, d'un tratto, la luce impallidì, il fuoco si spense e le scintille che erano cadute divennero cenere. Gilgamesh comprese benissimo che il sogno presagiva sventura per il suo amico". - A.Seppilli, Poesia e magia, Torino 1972 - E.Morin, Il paradigma perduto, Milano 1974 - E. Fromm, Il linguaggio dimenticato, Milano 1973 - G. Guidorizzi, Il sogno in Grecia, Bari 1988 - T. H. Gaster, Le più antiche storie del mondo, Verona 1971 - N. K. Sandars (a cura di), L'epopea di Gilgamesh, Milano 1986 - G. de Santillana - H. von Dechend, Il mulino di Amleto, Milano 1983 - E. R. Dodds, I Greci e l'irrazionale, Firenze 1959 - A. Cardamone - A. di Sora, Nuovi labirinti, Frosinone 1994 |