Insegnante di sostegno? Si, grazie!

di Antonio Luigi Rinaldi

Sono più di venti anni che la scuola italiana ha inserito gli alunni portatori di handicap nelle classi della scuola dell'obbligo e, con essi, una nuova figura professionale: l'insegnante di sostegno.

La normativa richiede a questi insegnanti, rispetto ai colleghi delle materie curriculari, una "marcia in più", ovvero, accanto ai titoli che tutti i docenti normalmente hanno (diploma o laurea e abilitazione all'insegnamento nella propria disciplina) la frequenza ed il superamento di un corso, per poter insegnare ai portatori di handicap psicofisici, non vedenti e non udenti.

Questo corso biennale polivalente di specializzazione, organizzato dai Provveditorati agli studi o da alcuni enti, scuole o università, che si interessano di problematiche relative ai portatori di handicap e che devono fornire una serie di garanzie qualitative, deve essere autorizzato dal Ministero il quale, da qualche tempo, sembra essere molto selettivo al riguardo. Ogni corso ha un numero limitato di posti: da 40 ad un massimo di 80, cioè 10 o 20 corsisti per ogni ordine di scuola (materna, elementare, media e superiore).

La durata è di due anni, prevede lo studio di varie discipline: pedagogia, psicologia dello sviluppo, psicologia e sociologia dell'educazione, metodologia didattica, ed. linguistica, ed. logico matematica, ed. psicomotoria, clinica delle minorazioni, sussidi tecnico-protesici, tecniche terapeutiche e riabilitative, quasi tutte suddivise nella parte generale e nei settori specifici delle minorazioni visiva ed uditiva.

A queste discipline si affianca un congruo numero di ore di tirocinio, indiretto e diretto, con i portatori di handicap psicofisico, visivo ed uditivo. Il tutto ha la durata di circa 900 ore, la cui frequenza è obbligatoria, con esami alla fine di ogni anno e tesi finale. Per chi lo fa seriamente è un corso molto duro che richiede impegno, studio e non pochi sacrifici.

Ma è sufficiente tutto questo per preparare seriamente un docente di sostegno? Io penso che sia una buona base di partenza per incominciare, certo due anni, anche se ben fatti, sono un po' pochini per districarsi agevolmente nella galassia dell'handicap ma permettono di acquisire le nozioni indispensabili per poter poi approfondire, sul campo, le tematiche necessarie per svolgere bene il proprio compito; il tempo e soprattutto l'esperienza completeranno l'opera.

Ma, come per ogni attività, non basta essere preparati dal punto di vista delle conoscenze per essere efficaci, ci sono ben altre caratteristiche, di natura personale, che aiutano molto che sono sì comuni a quelle che dovrebbero avere tutti gli insegnanti ma che, per svolgere questa attività, sono ancor più indispensabili.

Molto si acquisisce con l'esperienza, con il rapporto con tanti alunni, tutti molto diversi tra loro. Ho pensato spesso a quali fossero gli aspetti costanti e più importanti di questo lavoro e confesso che a distanza di anni ancora adesso non riesco a definirli con assoluta certezza. Sono tante diverse piccole e grandi cose, comportamenti e atteggiamenti da tenere (che però non sono standardizzabili ma che devono necessariamente variare a seconda della persona con cui interagiamo), una serie di punti di vista di cui tener conto, ecc. Comunque si possono fare alcune considerazioni che dovrebbero essere valide in molte situazioni:

Ambito in cui si opera: Quello che va sempre tenuto presente è il settore specifico in cui si opera. Questo è fondamentale perché delimita e circoscrive l'intervento al campo di nostra competenza, che è quello dell'educazione, ne definisce i limiti ed evita sia fraintendimenti che l'assunzione di compiti e ruoli che non competono e che appartengono ad altri (famiglia, riabilitazione, medicina, psicologia).
Ciò, comunque, non vuol dire che non si debba tenerne conto, però è evidente che non è né opportuno né corretto tentare di sostituirsi ai genitori, agli psicologi, ai medici, ai riabilitatori ecc. non solo per il fatto che è un compito che non spetta ma anche perché non si hanno le competenze necessarie. Con queste altre figure, corresponsabili della crescita dell'alunno, bisogna sempre integrativamente collaborare e, al limite, in caso di eventuali latitanze, sollecitarne l'intervento.

Luogo di lavoro: è naturalmente la scuola, il gruppo classe in cui il portatore di handicap è inserito, ma anche il contesto scolastico e l'ambiente che lo circonda (quartiere, città ecc.). A seconda dei casi in cui dobbiamo agire si può restare all'interno della classe o espandere l'intervento didattico al suo esterno, non intendo solo l'aula di sostegno ma anche gli altri luoghi della scuola e del quartiere.
Per contestualizzare e dare un senso reale all'apprendimento della lettura si può aver bisogno di contestualizzarla e di ritrovarne esempi nella realtà quotidiana: le insegne, le tabelle, i cartelloni ed i manifesti se ben utilizzati motivano molto meglio di un bel voto o di una lode e danno un senso pratico e reale a quanto si impara. Lo stesso discorso vale per l'orientamento ed altre attività.

Rapporti interpersonali: È un argomento importante ed al contempo delicato in quanto ci coinvolge personalmente e riguarda i nostri rapporti non solo nei confronti del ragazzo ma anche con chi gli sta intorno. La base di tutto penso sia il rispetto reciproco, vale la pena soffermarsi per considerarlo nei rapporti con i soggetti con i quali interagiamo più frequentemente: l'alunno portatore di handicap, i colleghi, la classe e la famiglia.

L'alunno portatore di handicap: Non bisognerebbe mai dimenticare che l'alunno che ci sta di fronte è un'altra persona, un cittadino per il quale la Carta Costituzionale riserva maggiori diritti, ed il rispetto nei suoi confronti, proprio per la sua particolare situazione, è più che un obbligo stabilito dalla legge. Oltretutto è lui il soggetto principale ed il motivo del nostro lavoro.
Per poter lavorare serenamente ed efficacemente è fondamentale guadagnarsi la sua fiducia ed il suo rispetto, non solo da un punto di vista affettivo. Il proprio ruolo deve essere ben distinto da quello dei genitori: è opportuno ed umano stabilire relazioni che poggino su convinte basi affettive però queste devono sempre restare nei limiti della propria funzione.

I colleghi: È importante avere il rispetto delle persone che operano quotidianamente con noi, ma questo, come sempre avviene nei rapporti interpersonali, non sempre è automatico, spesso dipende dai nostri atteggiamenti. Sembra esserci nella natura umana un meccanismo automatico che porta ciascun individuo a pensare che il proprio lavoro sia più oneroso e più difficile di quello che svolge il suo vicino e gli insegnanti non si sottraggono a questa regola, per cui è opportuno non alimentare tali errate convinzioni. Un docente di sostegno che cerca di svincolarsi dagli oneri che la gestione di una classe collegialmente comporta, che non vede l'ora di lasciare la classe o le riunioni, che sostiene che i gli altri ragazzi in difficoltà non lo riguardano e che spesso, quando il ragazzo non c'è, sparisce non si sa dove, difficilmente sarà tenuto in buona considerazione sia dai colleghi che dagli alunni. E se non si gode della stima dei colleghi, difficilmente si riesce a conquistare la fiducia ed il rispetto degli alunni e non si instaura certo un buon clima collaborativo all'interno del Consiglio di classe.

La classe: È essenziale un buon rapporto con tutti i ragazzi che spesso sono i nostri principali collaboratori. È difficile realizzare una positiva interazione del portatore di handicap se non c'è la collaborazione degli altri ragazzi; il rispetto guadagnato nei confronti della classe è una tappa fondamentale per raggiungere gli scopi che ci prefiggiamo. Per giungere a questo occorre lavorare paritariamente con i colleghi curriculari e guadagnarsi sul campo l'appellativo di insegnante della classe. Per fare ciò si possono utilizzare delle ore di supplenza in cui si può continuare il lavoro iniziato dal collega e talvolta, quando possibile ed opportuno, prendere il suo posto, magari mentre lavora col nostro ragazzo o con un gruppo in difficoltà. Per una sorta di proprietà transitiva l'atteggiamento nei confronti del docente di sostegno si trasmette automaticamente nei confronti del ragazzo che egli segue, sia nel bene che nel male.

La famiglia: Essendo la componente fondamentale nello sviluppo e nella crescita del ragazzo, è importante che i rapporti tra l'insegnante di sostegno e la famiglia siano positivi ed improntati ad una serena collaborazione. Purtroppo non sempre questo avviene, sono poche le volte in cui si ha a che fare con genitori disponibili al confronto, spesso questi sono già molto provati dalla vita ed affrontano quotidianamente tutti quei seri problemi che la gestione di una famiglia con un portatore di handicap comporta, con serie difficoltà relazionali. Spesso capita di imbattersi in persone che non hanno, non vogliono o non riescono, a rendersi effettivamente conto della situazione di difficoltà in cui si trova il figliolo e questo capita spesso, nei casi di handicap psichici, si fa fatica ad accettare una situazione di handicap. Inoltre queste famiglie sono spesso già a lungo provate sia dalle problematiche che i loro figli comportano che da una serie di ansie e malcelati rimproveri che vengono loro mossi da ogni parte. Il risultato è una certa diffidenza nei confronti degli altri, specie se questi fanno parte di una istituzione. È essenziale non porsi in contrapposizione ma far comprendere che si è dalla parte del ragazzo che si sta operando per far sì che egli cresca, impari e maturi nel migliore dei modi, in fin dei conti un alleato della famiglia nella lotta che sostiene affinché il figlio abbia un futuro sereno.

Ed è effettivamente così perché l'insegnante di sostegno è, e deve essere, dalla parte del bambino che è sempre l'anello più debole della catena, quello più esposto, quello che non sa difendersi adeguatamente, quello che più degli altri ha bisogno di sicurezza e serenità. Sì serenità una parola importante affinché possa utilizzare al meglio le sue capacità, forse la chiave di volta di qualsiasi intervento educativo, ma questo fa parte di un altro argomento.