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di Enrico Galavotti | |||
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Uno dei problemi che Eco secondo me non si pone è il seguente: la
memoria che un tempo veniva coltivata con la parola scritta e oggi coi
CD-Rom ha la stessa funzione della memoria che millenni fa si coltivava con
la trasmissione orale? In altre parole: oggi abbiamo bisogno di mezzi potentissimi per memorizzare l'immane conoscenza accumulata nel corso dei secoli, ma è davvero questa la memoria di cui abbiamo bisogno per sentirsi "vivi"? Quando la trasmissione della memoria era solo orale, c'erano poche nozioni oppure ce n'erano a sufficienza per sentirsi "vitali"? La realizzazione di sé dipende veramente dalla possibilità di accedere in poco tempo a una quantità infinita di conoscenze? Non stiamo forse rischiano un neo-illuminismo cybernetico? Se le conoscenze di cui disponiamo non hanno virtualmente limiti, come potremo sapere con sicurezza quando abbiamo trovato quelle indispensabili per l'autorealizzazione? Una volta gli esseri umani conoscevano di meno ed erano più felici perché idioti? È veramente così? Noi invece siamo più felici perché possiamo sapere subito ciò che ci serve? È veramente cosi? E soprattutto: siamo davvero sicuri che le conoscenze di cui possiamo disporre siano di per sé sufficienti a garantire una loro applicazione e, in particolare, una loro applicazione positiva? Non rischiamo forse di veder aumentare lo stress quando di fronte a tante possibilità cognitive (virtuali), l'esperienza pratica rimane priva di risorse adeguate, cioè senza un reale potere di gestione della conoscenza? In una parola, la memoria è una facoltà meramente tecnica o è una qualità dello spirito? È un fenomeno che riguarda il mero apprendimento individuale o è il principale deposito delle esperienze vitali di una collettività? Possono l'informatica, cibernetica, la telematica... aiutarci a recuperare, in maniera reale e non virtuale, il senso di una collettività perduta? Ora però, sempre a proposito della conferenza di Eco, voglio proporre altre riflessioni. Eco si preoccupa molto di non vedere i libri surclassati dagli ipertesti. Egli è anzi convinto che i libri dureranno in eterno, in quanto hanno qualità tecniche che nessun ipertesto potrà mai possedere. Con tutto ciò egli non è affatto contrario allo sviluppo degli ipertesti, anzi ne è entusiasta (il suo sul Seicento non è niente male). Tuttavia io mi chiedo: il crescente analfabetismo culturale cui stiamo andando incontro potrà davvero trovare un ostacolo nello sviluppo degli ipertesti? Come può un semplice mutamente di forma dell'acquisizione di conoscenze comportare un'inversione di tendenza così importante? Oggi abbiamo a che fare con tantissime persone che pur sapendo leggere e scrivere, si trovano, al cospetto della complessità della nostra società, sullo stesso piano degli analfabeti del Medioevo. Anzi, mentre quelli, nonostante il loro analfabetismo, avevano un background culturale abbastanza omogeneo in cui potevano, bene o male, riconoscersi, oggi invece i moderni analfabeti hanno come retroterra culturale il primato incontrastato del dio quattrino e una vita incredibilmente frantumata sia nell'esperienza quotidiana che nell'acquisizione stessa del sapere. Un telegiornale che mette continuamente sullo stesso piano notizie del tutto futili con altre di una gravità eccezionale, come minimo produce: 1. relativismo dei valori 2. disinteresse per la vita reale 3. curiosità da salotto 4. assuefazione a qualunque notizia. Se a una qualunque persona di cultura media, che si limiti ad ascoltare solo il TG per avere delle informazioni sul mondo, avessimo chiesto, durante quel martellamento di notizie che abbiamo avuto durante la guerra nella ex-Jugoslavia, di che religione sono i serbi o dove è situata la Slovenia o qual è la città più importante della Bosnia - siamo sicuri che ci avrebbero risposto correttamente? Cioè siamo sicuri che l'informazione veicolata dalle immagini faccia più presa sul nostro cervello? O non è forse vero che sono soltanto le immagini che fanno presa? E che l'informazione in realtà è tutta e sempre finalizzata a una determinata interpretazione delle immagini? Allora mi chiedo: in una situazione del genere la cultura multimediale e ipertestuale che valore può avere? Non stiamo rischiando di perdere del tempo prezioso? Non dobbiamo forse rimettere in discussione, in via preliminare, le modalità con cui un'esperienza si fa cultura? In una parola: Eco non sta facendo una gran confusione tra "Cultura" e "Nozioni"? Un aumento incredibile di nozioni ipertestuali e multimediali (come oggi accade, grazie anche alle reti) comporterà necessariamente uno sviluppo della "Cultura"? |