Il ragionamento proporzionale

Di Orazio Casella

Abstract

L’autore, insegnante di fisica nel primo triennio di un istituto professionale, esamina in questo contributo un'incapacità cognitiva piuttosto comune degli allievi alla fine dell’obbligo, il ragionamento proporzionale, e descrive la metodologia utilizzata per colmarla.

I risultati deludenti conducono l’autore alla conclusione che il livello cognitivo di questi allievi è inadeguato, rispetto alla loro età, e perciò l’apprendimento non produce risultati permanenti. Quali le cause dei ritardi?

Per quali motivi il sistema formativo non riesce ad aiutare gli allievi in difficoltà, così come si propone? Quali le possibili strategie? Domande che, attraverso questa rivista, l’autore rivolge ai colleghi nella speranza che siano fruttuosamente raccolte.

Introduzione

Il 90% degli allievi, dopo aver concluso il ciclo della scuola dell’obbligo, non riesce ad eseguire calcoli con grandezze direttamente proporzionali.

Un esempio tipico di questi ragionamenti potrebbe essere quello necessario a risolvere il seguente problema.

Esempio n. 1

0,35kg di merce costano 0,40£, qual è il costo di 0,1kg?

I numeri piccoli e con la virgola sono d'obbligo, ad evitare che l'allievo pervenga al risultato attraverso l'intuizione, piuttosto che attraverso un ragionamento esplicito e stabile.

Gli allievi più valenti (meno del 10% nel mio istituto) generalmente impostano e risolvono la proporzione, ma raramente si trova qualche allievo che risolve il problema con il metodo di riduzione all'unità, calcolando, cioè, prima il costo di un kg e dopo il costo degli n kg dati.

Negli esercizi come il precedente, consiglio loro di calcolare il costo di un kg, ossia:

Faccio loro notare che il risultato non è 1,14, ma 1,14£/kg e li invito a leggere 1,14 lire ogni kg; gli allievi, infatti, dimostrano difficoltà ad apprendere il significato del rapporto fra grandezze.

Insegno loro, quindi, che, conosciuto il costo di un kg, per conoscere il costo di n kg, basta moltiplicare il costo unitario per gli n kg, ossia:

Esempio n. 2

Dello stesso problema chiedo loro di calcolare, viceversa, quanti kg si possono comprare con 0,30£; suggerisco loro di calcolare, prima, la grandezza unitaria, ossia i kg che si possono comprare con una lira, vale a dire:

= 0,875kg/£

poi di calcolare i kg che si possono acquistare con le n lire di cui si dispone (0,30 in questo caso), ossia:

=

 

Esempio n.3

Un esempio più complicato, a causa delle grandezze poco usuali coinvolte, potrebbe essere:

Un'auto aumenta costantemente la sua velocità di 3(m/s)/s.

Qual è il tempo impiegato perché la sua velocità aumenti di 0,25m/s?

Anche qui suggerisco loro di calcolare inizialmente il tempo che l'auto impiega ad aumentare la sua velocità di 1m/s, ossia l’inverso del primo dato:

ed insisto nel far loro notare che il risultato non è 0,33, ma 0,33 s ogni m/s: cioè 0,33s è il tempo impiegato dall’auto ad aumentare la sua velocità di 1m/s; quindi suggerisco loro di calcolare il tempo che l’auto impiega ad aumentare di velocità degli n m/s dati dal problema, ossia:

Questo metodo dovrebbe essere alla portata anche di studenti che non hanno studiato la cinematica!

Ebbene con i miei studenti, dopo un intervento di due settimane di tre ore settimanali, ottengo mediamente un risultato discreto solo nel 30% degli allievi; un altro 30% risponde correttamente solo alle domande più semplici; il resto continua a rimanere a livelli non dissimili da quelli precedenti all'intervento didattico.

Qualcuno potrebbe pensare che i miei studenti sono poco interessati alle spiegazioni ed esercitazioni e i risultati scadenti sono una conseguenza della scarsa attenzione, ma ciò non è per niente vero; infatti, sottopongo agli allievi frequenti verifiche e, grazie anche a quest’attività, riesco a focalizzare molto bene la loro attenzione.

Gli allievi sono al corrente che settimanalmente sarà a loro sottoposto un’adeguata e completa serie di domande sugli argomenti studiati; sanno che per rispondere possono contare solo sulle loro forze, poiché il computer, tramite il programma che gestisce i test, bada a mescolare l’ordine delle domande e delle risposte possibili, impedendo loro di copiare dai compagni. Il programma inoltre provvede, mentre rispondono alle domande, a fornire loro il punteggio conseguito; ciò diventa occasione di una sana competitività, ossia di un gioco con il quale ciascuno si confronta e quindi l’attenzione, nel tentativo di vincere al gioco, anche durante l’abituale spiegazione generalmente non manca.

Torniamo all’oggetto della nostra discussione. Visti i risultati deludenti, ogni qualvolta nel corso dell'anno è possibile, insisto sul precedente meccanismo; ma, nonostante ciò, se, all'inizio dell'anno successivo verifico il possesso di tali schemi di ragionamento, debbo constatare che giungono alla sufficienza solo coloro che erano con un giudizio discreto, mentre il resto degli allievi regredisce a livelli di marcata insufficienza, segno che i suesposti schemi di ragionamento non hanno attecchito in modo definitivo nella loro struttura cognitiva.

Ritengo che questi ultimi allievi non abbiano ancora raggiunto il sottostadio di sviluppo cognitivo indicato da Piaget con IIIA, collocato dagli 11-12 ai 14-15anni. Si può purtroppo notare che il 30% di questi allievi dimostra di non raggiungere tale livello nemmeno in tutto il corso del triennio. Per tali allievi a mio avviso occorrerebbero delle classi di livello ove si possa stimolare lo sviluppo cognitivo tramite percorsi peculiari.

Queste osservazioni a mio avviso dovrebbero far riflettere sulla nostra azione didattica, specialmente su quella degli insegnanti di matematica; la capacità di risolvere questo tipo di problemi, possedendo in modo esplicito e cosciente i meccanismi del ragionamento proporzionale, è basilare per poi poter loro insegnare i primi elementi di modellizzazione e formalizzazione, indispensabili per incamminarsi verso le capacità d’astrazione tipiche dell’età adulta.

Gli allievi che hanno seguito un corso di fisica generalmente sanno risolvere i problemi, come l'ultimo esempio riportato, ma con l'uso della formuletta dell'accelerazione e solo quando la ricordano a memoria; ciò significa la mancanza di possesso dei meccanismi cognitivi adatti ad affrontare autonomamente simili problemi, mentre io ritengo che debbano essere in grado di risolvere tale tipologia di problemi anche senza conoscere la cinematica e le grandezze coinvolte nel problema.

Vediamo di riesaminare il quesito dell’esempio n.3 in termini più formali, tipici della scuola secondaria superiore.

Osservando che l’aumento di velocità D V è costantemente di 3m/s ogni secondo, si capisce subito che sussiste una relazione di proporzionalità diretta fra aumento di velocità D V e tempo t, chiaramente espressa dalla legge:

[1]

La costante di proporzionalità, indicata con a, rappresenta la variazione di velocità nell’unità di tempo e si chiama accelerazione.

Dalla precedente si ricava la formula inversa:

[2]

che risolve con un metodo più formale, ossia manipolando l’equazione di 1° grado [1], il problema dell’esempio n.3

Quest’ultima strada, molto più formale e astratta, è un percorso che seguo solo dopo aver adeguatamente insistito sul metodo di riduzione all'unità, non dimenticando di insistere su tale metodo elementare ogni qualvolta ne ho l'occasione ed effettuando dei confronti fra i due metodi.

Il metodo di riduzione all'unità dovrebbe essere padroneggiato ancor prima che l'allievo sappia manipolare le equazioni di 1° grado.

Non dobbiamo dimenticare che il linguaggio della matematica, espresso sotto forma algebrica con la simbologia oggi utilizzata, è il risultato di conquiste abbastanza recenti nella storia dell’evoluzione del pensiero umano. Basta leggere Galilei e si può vedere che le cosiddette formule, così come noi le conosciamo oggi, non erano allora per nulla conosciute. Si dovette aspettare ancora secoli prima di pervenire al linguaggio algebrico odierno.

La difficoltà nella conquista delle attuali forme di pensiero matematico dovrebbe far maggiormente riflettere noi insegnanti sulla necessità di una graduale introduzione di questi ragionamenti formali e astratti, attraverso una serie numerosa d’esempi applicativi, in modo che gli allievi apprendano ad individuare le variabili di un problema e le relazioni fra di esse.

A mio avviso, piuttosto che esercitazioni su espressioni aritmetiche o algebriche, l’allievo deve in primis apprendere a tradurre problemi reali in espressioni e viceversa dalle espressioni risalire ai possibili corrispondenti problemi; solo dopo aver acquisito tali capacità di tradurre in modelli matematici problemi reali e viceversa dal modello risalire ad un possibile problema, ha senso farlo esercitare sulle espressioni aritmetiche e algebriche così com’è consuetudine fare oggi.

Si rimane perplessi di fronte ai programmi svolti dagli insegnanti di matematica; nonostante carenze così basilari e disastrose, si continuano a svolgere espressioni aritmetiche prima e algebriche dopo, "a molti piani", non curandosi dei veri bisogni cognitivi degli allievi!

Il metodo di riduzione all'unità è introdotto fin dalla scuola elementare, eppure la gente, anche laureata, troppe volte, non riesce ad utilizzarlo.

Mi ricordo molti anni fa, quando insegnavo in Calabria, un collega di lettere mi chiese, non prima di essersi "vantato" di non capire niente di matematica, spiegazioni su come calcolare i misurini di pappa per il suo bambino a partire dalla dose e dal peso del piccolo. L'episodio evidenzia, ancora una volta, la frattura fra ciò che è utile nella vita e ciò che si studia a scuola; evidenzia che quanto si studia non è utile a soddisfare elementari necessità della vita quotidiana.

Catania

IPSIAM "C. Colombo" Catania