SCUOLA DI STATO O SCUOLA DI MERCATO

Lettera aperta all'On. D'Alema

 

Onorevole Presidente,

non credo che il suo progetto politico per la scuola italiana del prossimo futuro sia tutto da buttare (d'altronde, se dovessimo valutare il sistema educativo cambogiano dei Khmer rossi, probabilmente potremmo trovarci dei lati positivi). Ciò nonostante, penso che alla scuola sia stata impressa una rotta relativamente inedita, se ci rifacciamo alle esperienze degli ultimi quarant'anni.

Fino a qualche anno fa, le direttive ministeriali ed i C.C.N. si limitavano a bastonare l'istituzione ed il suo personale sul piano meramente economico. Era evidente, infatti, che tutte le veline sulla riorganizzazione del tempo scuola, sulle sedi, sulle attività funzionali e via dicendo del precedente regime bianco, trasudavano volontà di risparmio da ogni parte.

Nondimeno tutto ciò era naturale e giusto!

Naturale, perché in uno stato deve pur venire il momento in cui un governo si comporta quanto meno come il buon padre di famiglia, che non spende più soldi di quanti ne abbia in portafoglio.

Giusto, perché, di fronte ad una classe docente imbelle e pecorona, che non riesce a reagire alle vessazioni dei sindacati, del governo, dell'opinione pubblica, che la espongono all'universale ludibrio, non si poteva che assumere un ruolo penalizzante e riduttivo della posizione precedentemente acquisita. Non esiste periodo storico in cui, in Italia, gli insegnanti siano stati additati con tanta sistematica precisione al discredito, se non ad un vero e proprio disprezzo sociale, della popolazione. Il linciaggio morale cui la categoria è stata sottoposta per anni, è riuscito a farci passare, agli occhi dell'utenza (sic…), come una massa d'assenteisti impreparati e pelandroni. Per pagare questi operai della cultura, uno stipendio da operaio è più che sufficiente, anzi troppo, visto che lavorano part time!

Ma il suo governo ha dimostrato grande originalità nella costruzione del proprio progetto educativo, facendo proprie e piegando alla sua ideologia, in modo singolarmente creativo, due idee politiche che non appartengono al suo bagaglio politico.

Mi riferisco alla riorganizzazione del sistema scolastico in senso anglo/europeo ed alla parificazione delle scuole private (per lo più confessionali) sul piano dei contributi economici. Idee che di sicuro non appartengono alla sinistra, ma che, opportunamente "lavorate" insieme, possono ugualmente servire la ragion di partito.

Ora, che si debba cercare di riorganizzare il sistema scolastico europeo in modo da rendere spendibili in circolarità i futuri titoli di studio, è lapalissiano. Altra cosa invece, è pensare di spianare la scuola dell'obbligo per portarla ad un livello fatalmente inferiore, sia dei contenuti, sia dei contenitori culturali. Non a caso le nostre istituzioni educative erano additate da mezzo mondo come esempio di struttura efficiente e realmente educante (non soltanto istruttiva). Perché dunque sradicare le proprie radici culturali in modo così netto e consapevole? La mente torna involontariamente, finché scrivo, al paragone con la rieducazione Khmer (ma lascio alla memoria di chi legge ogni considerazione o associazione).

Lei, Onorevole Presidente, potrebbe certamente spiegarci i vantaggi che deriveranno da questa riforma, ma sembra trascurarne un effetto, non so quanto collaterale: l'inevitabile caduta di qualità del sistema scolastico, dalle elementari alle superiori comprese. Alle Università è più difficile metter mano. Nondimeno, mi sembra che affermazioni di principio, fatte da esponenti del suo governo, sulla necessità di rendere più rapido il passaggio dei giovani dagli Atenei, facciano ben sperare…  La consiglio in ogni modo di esaminare coi propri occhi i programmi delle scuole di stampo anglosassone per valutarne la bontà (a confronto con quelli italiani).

Altro punto critico, è quello dei contributi alle scuole private. A parole, si direbbe che il suo governo non abbia intenzione di allentare la borsa. Nei fatti, non ricordo di aver mai sentito dibattere con tanta forza (neanche ai tempi della balena bianca) sulla necessità di garantire al cittadino la libertà di far educare i figli come preferisce, dirottando in modo anche rilevante i cospicui flussi di denaro spesi dallo Stato nell'istruzione. Se fossimo in uno stato di diritto non avrei forse motivo di preoccuparmi. Ma noi viviamo nel paese dei campanelli, si sa, dove un reato può essere interpretato come una provocazione, se lo commette un parlamentare, e dove anche la più seria delle affermazioni di principio può finire, se serve, a tarallucci e vino. Non posso fare a meno di chiedermi dunque, visti i precedenti, cui prodest? Se la scuola privata  di qualità riceverà, direttamente o indirettamente,  fondi dallo Stato, che scenario si presenterà sul mercato nei prossimi anni? Gli imprenditori resteranno a guardare o si ficcheranno nel piatto ricco? Non tenderanno forse a diventare private e laiche le scuole dove andrà formandosi l'intellighenzia della nazione nel prossimo futuro? Se vuole definirmi un paranoico, o semplicemente un onirico, provi prima a indovinare qual è l'unica Università italiana i cui laureati trovano occupazione entro tre mesi (la aiuto, comincia per Bocc…).  In tutto ciò, mi chiedo, cosa può finire col guadagnare il regime, il governo in carica? Ormai le scuole di partito non le fanno più neanche in Russia. D'altronde suppongo che neanche il "concorsone" per i meriti professionali, destinato al venti per cento degli insegnanti, possa essere messo in relazione col tentativo di creare un caporalato nella scuola per gestire  il consenso e l'omologazione della classe docente, in barba alla libertà d'insegnamento.

Non tema Onorevole, capisco che non dipende da lei: è il partito comunista che l'ha disegnato così!

Pavento soltanto che l'Onorevole Berlusconi, che annuncia il suo arrivo tra cinquecento giorni, una volta cacciati i cosacchi dal Tevere, possa far meglio ciò che voi avete iniziato.

Una cosa comunque è certa. La categoria di cui faccio parte, negli anni scorsi, ha scontato la colpa di non aver avuto una forte coscienza di classe, soffrendo molto per le angustie cui è stata costretta. Ma per maturare bisogna soffrire! Se oggi insegnanti come me decidono di passare dal mugugno dei corridoi alla carta stampata, è segno forse che abbiamo sofferto abbastanza e siamo pronti a rivendicare il ruolo che in molti paesi civili viene riconosciuto ai responsabili dell'educazione.

Distinti saluti.

Massimo Paggi
Maestro elementare