Professionalità e Docenti

di Anna Balducci

In principio furono i sofisti, parlarono di efficacia come misura del valore dell'educazione, di successo, di lavoro e ... furono cacciati dal tempio. La pedagogia socratica prevalse, si diffuse la tipologia dell'insegnante povero di mezzi e ricco di saperi.
Poi ... arrivò la scolarizzazione di massa e i cardini del sistema educativo vennero scossi dalle pressioni e dalle pulsioni di una società che voleva e vuole realizzare se stessa anche attraverso la scuola.
Il sistema ha accusato i colpi e un po' alla volta si è dimostrato logoro e incapace di dare risposte ai bisogni emergenti.
Impossibile reclutare una folla di "missionari", di intellettuali geniali ma votati al sacrificio di una vita ricca di sola libertà di pensiero.
E allora ? Ci dissero che potevano bastare dei dilettanti di buona volontà in perenne bilico tra volontarismo e intellettualismo inquadrati in una gestione burocraticamente rigida e controllati amministrativamente in modo quantitativo.
Impiegati di concetto, istruttori, lavoratori del pensiero e via elencando, mai responsabili gestori dei loro progetti.
Grandi lacerazioni divisero il mondo della scuola tra chi si vedeva elitariamente portatore di una tradizione e chi invece operaisticamente contava i minuti delle sue prestazioni. Nel mezzo la Scuola, l'istruzione, i ragazzi sballottati tra modelli troppo elevati per essere esempi e modestie troppo misere per essere antagoniste.

Analisi, ricerche, discussioni a non finire, nessuna conclusione perché ci si ostina a guardare al passato: in una scuola di massa non è realistico immaginare l'avvento di numerose individualità eccellenti che forse non sarebbero neppure utili.
Ciò che serve è invece riaffermare i connotati essenziali del docente: specifiche competenze, autonomia di giudizio, alto senso di responsabilità, affidabilità deontologica. Una individualità in grado di corrispondere ai nuovi bisogni e alle istanze qualitative espresse da una società avanzata che esige dalle istituzioni efficienza e propone patti fiduciari. Una cultura della responsabilità che necessita di una nuova organizzazione del lavoro: da un lato la formazione iniziale e il reclutamento collegati alle specifiche competenze, dall'altro l'assetto gestionale fondato su un'autonomia individuale inserita nel quadro di una rigorosa deontologia professionale.
Ed eccoci al punto: la rilevanza assunta dalla conoscenza teoretica nella società post-industriale ha posto le fondamenta per superare il precedente concetto di professionalità come espressione del libero scambio e di autorità professionale intesa come capacità di decidere nei confronti del committente .
L'idea di professione nella società postindustriale presuppone al contrario un elevato concetto fiduciario in cui l'etica della responsabilità individuale garantisca l'effettiva realizzazione dei fini cui si tende piuttosto che l'autoconservazione della struttura organizzativa in cui si opera.
Esattamente quello che viene oggi richiesto al docente, e come in qualsiasi altra professione "autonomia" e "responsabilità" devono delineare i processi distintivi dell'azione individuale in un contesto strutturato e collegiale che renda inutili i ritualismi delle riunioni burocratiche e al contrario favorisca le sollecitazioni e gli scambi culturali in modo da valorizzare le capacità migliori, motivare e gratificare il livello medio mentre si recupera quanto è andato disperso o sommerso.
Un atteggiamento da comunità scientifica che permetta al docente la gestione piena dei processi formativi nel rigoroso rispetto delle individualità degli studenti e della validità dei percorsi educativi e cognitivi proposti.

Un atteggiamento che individui l'insegnamento come un processo fondamentalmente "sociale" le cui azioni, relazioni e risultati rovescino l'idea di un'educazione tutta preoccupata di VERITA', di paternalismo, di rigidità burocratiche, di una malcelata didattica di stato che ha soffocato e depresso ogni curiosità giovanile tanto che al momento "scolastico" è diventato sinonimo di inutile, barboso, verboso, inconcludente.
Una scuola così concepita, disinteressata al ragazzo, visto sempre come soggetto passivo e non come individuo in crescita dotato di coscienza morale e civile in formazione, non può non essere oggetto di aspre o rituali contestazioni che inutilmente si tenta di arginare con strumenti vertistici o proposte surrettizie.
Non saranno le concessioni ministeriali o le programmazioni protagoree caldeggiate da Confindustria a ristabilire il giusto equilibrio tra interesse, motivazione e applicazione individuale.
Analizzati i problemi dovremo essere in grado di creare un nuovo equilibrio che presupponga legami con i dati dell'esperienza ma sappia coniugarli con le attese per un futuro che chiede risposte diverse dai modelli ricavabili nella tradizione filosofico.pedagogico-economica.
Mai nella nostra storia si sono proposte le condizioni socio-ambientali attuali: una diffusa anche se confusa richiesta di "preparazione" collegata ad un incerto ma sentito diritto di partecipazione che non può dirsi compiutamente democratico ma che ne comincia ad assumere i contorni e come tale scardina ciò che resta della concezione elitaria dell'educazione.
Oggi infatti, divenuto dubbio il rapporto socratico docente-alunno, si nega anche la valenza del modello mastery learning dentro cui si sono mosse le riforme e gli aggiustamenti organizzativo-didattici dal 1963 in poi.
Ed il docente, iscritto in una rigida programmazione, si è tramutato da intellettuale, un po' fuori dalla realtà ma severo conoscitore del proprio disciplinare, in piccolo operatore sociale volto a coordinare istanze eterogenee. E' diventato una figura utile solo a fungere da parafulmine: certamente non è funzionale al sistema scuola o a quello che il cittadino si attende dalla scuola.

Giusto la scuola: non più solo luogo di trasmissione della tradizione culturale codificata ma anche ambito relazionale in cui si coltivano e si attivano le intelligenze secondo il modello socratico del "lasciar essere" e nel contempo si organizzano le informazioni che permetteranno al cives di inserirsi nel tessuto sociale non già come modello conforme a quanto programmato e richiesto dalle aziende ( per questo scopo saranno più idonei brevi corsi di formazione professionale mirati ad esigenze specifiche) ma come soggetto creativo in grado di valutare e scegliere secondo criteri di tolleranza e flessibilità.
Indubbiamente
  • un cives difficile da blandire o controllare quindi politicamente poco appetibile secondo le regole del momento,
  • un cives consapevole che non si inchina alle regole del mercato ma le analizza criticamente,
  • un cives responsabile che assume il suo ruolo è ha il "piacere" di condurlo in porto perché ha imparato che è gratificante "far bene ciò che si fa",
  • un cives che ha il gusto del vivere "insieme agli altri" e con "gli altri" costruire un ambiente umanamente valido.
Un cives competente non per i diplomi che può esibire ma per le consapevolezze che è in grado di attivare.

Una scuola siffatta si porrà quale vera istituzione dello Stato perché, ci piaccia o meno, la nostra società terziarizzata non potrà prescindere dal fatto che "la scuola, a lungo andare, sia più importante del Parlamento, della Magistratura e della Corte Costituzionale" *.(Piero Calamandrei, in Prefazione, da Ferretti, Scuola e democrazia, Torino 1956)

Tutto ciò ripropone la questione centrale: gli insegnanti, chi e come ?
La complessità e le competenze richieste da un'istituzione scolastica moderna non si conciliano con funzioni impiegatizio-burocratiche e rifuggono da dilettantismi e volontariato. L'unico modello proponibile resta quello professionale i cui cardini siano ben delineati:
  • un rigoroso e selettivo reclutamento iniziale,
  • una accurata formazione post-universitaria con specifici momenti di tirocinio,
  • un ricorrente aggiornamento che preveda anche momenti sabbatici prefissati e in stretta relazione con le università,
  • una organizzazione del lavoro talmente geniale da strutturare un ambiente culturalmente stimolante dove ogni docente abbia ampia autonomia individuale,
  • possa fruttuosamente impegnare la propria esperienza nell'interscambio con i colleghi,
  • trovi spazio per accedere ad ulteriori responsabilità.
E' noto infatti che per realizzarsi professionalmente ogni individuo debba concentrarsi su uno specifico progetto che preveda il riconoscimento delle competenze e delle esperienze acquisite attraverso la collocazione sociale e professionale in specifici spazi di attività*( J. Aubret, F. Aubret, C. Damiani "Les bilans personnels et professionnels, Collection orientations, Paris 1993)

Si tratta di strutturare la promozione professionale attraverso l'istituzione di figure di sistema capaci di guidare o sostenere la progettazione didattica, la valutazione, la ricerca, la formazione iniziale e in servizio oltre che di affiancare l'organizzazione e la gestione.
Il problema fondamentale sarà quello di definire adeguati criteri e modalità di valutazione.
Si dovrà partire dall'analisi
  • delle "competenze",
  • delle "responsabilità professionali" verso i discenti assunti come attori attivi del processo formativo,
  • del principio dell'autonomia professionale che non può essere intesa come autoreferenzialità.
A questo proposito è indispensabile chiarire che "libertà di insegnamento" non è mai presupposto di arbitrarietà, ma "autonomia didattica" è sicuramente possibilità di scegliere un proprio metodo e un proprio indirizzo di pensiero così come propri parametri di valutazione e giudizio. In definitiva libertà di "esposizione di argomenti fatta con metodo scientifico". Dunque libertà di metodo. Ma ancora una volta non arbitrarietà: l'insegnamento deve essere efficace e dunque il metodo sarà libero nella misura in cui risulti idoneo a conseguire il suo scopo.
Si può quindi sostenere con V.Crisafulli (La scuola nella Costituzione italiana, Rivista trimestale di diritto pubblico, 1957) che "non sembra si possa affermare che la libertà del metodo possa e debba, anche, significare libertà di non farsi capire o, peggio, di non conoscere quello che si ha il dovere di insegnare".
Altro l'ambito della funzione educativa intesa quale contributo alla "elaborazione culturale e stimolo alla partecipazione degli studenti al loro processo di formazione umana e critica" (D.P.R. 417/74) , là dove per insegnamento si intende non solo la trasmissione culturale ma anche la creatività culturale che la scuola deve stimolare. In questo caso il limite certo è il rispetto che si deve alla "coscienza morale e civile degli alunni" (art 2 TU 297/94) dunque un limite deontologico professionale che chiama in causa la capacità relazionale del docente nei confronti dell'allievo soggetto attivo di formazione.

In conclusione: l'insegnante chi e come ?
Un professionista che sa, che sa insegnare, che sa intessere corrette e buone relazioni con gli allievi, che agisce in piena autonomia secondo l'etica della responsabilità individuale e quella di una rigorosa deontologia professionale. Un vera risorsa-investimento per la società post-industriale che intenda chiamare tutti i suoi membri a costruire il tessuto civile .