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L’assassinio del suonatore di cetra
Recensioni
R. Bracaglia - M. Cardamone
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È stato rilevato il fatto che i ragazzi non leggono, non amano la lettura. Quando ho cominciato a lavorare nella scuola, mi sono subito posto il problema in quanto ne percepivo tutta la gravità e le sgradevoli conseguenze e mi sarebbe piaciuto sia coglierne il motivo o i motivi, sia darne un contributo alla soluzione.
Ho avviato una ricerca scrupolosa attraverso la lettura approfondita dei testi di metodologia e didattica scritti da esperti, da psicologi, pedagogisti ed epistemologi ed ho scoperto perché i ragazzi non leggono: non lo fanno perché non hanno gli strumenti per gustare la lettura e, di conseguenza, non hanno gli strumenti per scrivere. La responsabilità, purtroppo, è da attribuire anche e soprattutto alla scuola che affida la lettura alla buona volontà e non insegna il metodo, non guida alla scoperta e alla conquista, all’amore per la lettura.
Quando ero una scolara, le maestre ci insegnavano a fare il tema indicandoci quello che dovevamo scrivere, praticamente il tema ce lo raccontavano, ci dicevano quello che avrebbero scritto loro e allora il bambino che era stato attento riusciva a fare un bel riassunto delle parole della insegnante e prendeva un bel voto pur senza aver espresso alcun pensiero personale. Quello più distratto o con meno memoria presentava un lavoro striminzito e veniva designato come “POVERO DI IDEE”. Magari, quel bambino, di idee ne avrebbe avute tante e originali se solo qualcuno gli avesse insegnato a metterle sulla carta. Questo problema mi assillava molto e così nel laborioso percorso di costruzione di una mia identità professionale e nella faticosa ricerca del “metodo” ho scoperto Alfio Zoi e le tecniche finalizzate alla conquista della capacità di scrivere un testo narrativo di spessore espressivo ed estetico, da lui individuate. Sulle sue orme ho capito che la grande difficoltà che bisognava superare era la disattenzione dei ragazzi verso tutto ciò che li circondava: non osservavano niente, non percepivano niente, per cui non erano in grado di descrivere ciò che vedevano; per loro un cielo era un cielo e basta, mai diverso, impossibile da descrivere proprio per il suo essere sempre uguale, statico, fermo, immobile.
Il primo lavoro da fare era quello di rieducarli all’osservazione attenta e minuziosa della realtà, attraverso l’uso degli organi di senso. Bisognava condurli ad esplorare la realtà circostante con gli occhi, ma soprattutto con l’olfatto, con il tatto, con il gusto, con l’udito; bisognava educarli a cogliere le luci, le ombre, i colori, i sapori, i movimenti, le sensazioni tattili, le forme delle cose, le loro posizioni. Osservare attentamente il cielo significava scoprire luci, ombre, sfumature, colori, primi piani, in uno spazio che era sempre diverso che si modificava continuamente. Allora scoprivano un mondo infinito di sensazioni, di emozioni, di sfumature che li arricchivano mettendoli in grado di descrivere in modo personale, armonioso e unico un ambiente, una persona, uno stato d’animo. In questo modo erano capaci di produrre testi brevi, concisi, coerenti, personali che non fossero il riassunto di idee altrui: erano in grado di osservare e descrivere ciò che osservavano, comunicando agli altri le proprie personali emozioni. Attraverso l’osservazione, inoltre, si arricchiva anche il lessico perché osservando luci particolari, sfumature nuove, i ragazzi scoprivano che le parole che conoscevano non riuscivano a descrivere quello che stavano vedendo, non rendevano bene l’idea, non bastavano, per cui nasceva il bisogno di termini nuovi, del significante più preciso. E proprio dal bisogno nasceva il gusto del vocabolario, della lettura del brano d’autore da cui estrapolare frasi, parole, tecniche, strumenti per farli propri. Scoprivano così che non c’è solo il bianco o il grigio, o il rosso, ma esistono anche “lattescente, fluorescente, fulvo, indaco, pallore, fulgore, opalescente, ceruleo, cinereo, cangiante, cristallino” ecc… La lettura diventava approfondita, veniva analizzata nella sua composizione, nella sua struttura più intima, il lessico acquistava peso, la punteggiatura aveva un significato, le pause, le esclamazioni, il punto e virgola, i due punti, il dialogo si giustificavano in un contesto espressivo e connotativo e il brano poteva essere compreso e colto in tutta la sua bellezza: dalla fase di fruizione si passava alla produzione e nascevano testi narrativi estetici, la poesia e l’amore per il libro.
Bene! Questo libro “L’assassinio del suonatore di cetra” si presterebbe ottimamente per la lettura approfondita e la raccolta dei dati in quanto lo stile narrativo rispetta proprio le più aggiornate tecniche descrittive.
Il linguaggio piano, scorrevole, attuale è ricco di espressioni soggettive, di sensazioni squisitamente propriocettive ed induce il lettore a fermarsi, a rileggere il passo per il piacere di gustare a fondo la descrizione.
Il vissuto, infatti, è reso attraverso l’uso attento e ricercato di dati visivi, olfattivi, tattili, uditivi, di movimento finalizzati allo spessore espressivo del testo e che coinvolgono il lettore dandogli la sensazione di percepire effettivamente i profumi, le luci, le ombre, i sapori, le sensazioni tattili che ne scaturiscono.
Leggo un passo in cui la descrizione, resa con l’utilizzazione di dati di movimento figurato e di forma e posizione, riesce a creare una situazione ansiogena inducendo in chi legge uno stato di timore, quasi fosse presente in prima persona:
… C’era in verità una quarta possibilità: un viottolo molto stretto e sconnesso dove la sua lettiga passava a stento. Il viottolo scendeva costeggiando i campi e gli orti posti lungo le mura occidentali e si tuffava poi in una serie di vigne per immettersi infine, dopo un’ampia curva e col fondo del sentiero sempre più sconnesso, nei quartieri occidentali della città. Nessuno passava, a quell’ora, per quel viottolo così propizio alle aggressioni ed agli agguati dei tanti tagliagole e malintenzionati che giravano di notte.
E poi:
… Per distogliere la mente da quei pensieri s’immerse nella contemplazione del paesaggio. Come sempre gli mozzava il fiato. La distesa apparentemente infinita del mare e del cielo era incantevole e struggente. Gli apparivano come la compiuta apoteosi di tutti i cieli e di tutti i mari possibili.
Ecco come l’uso sapiente dei dati visivi permette il passaggio da uno stato d’animo di tensione ad uno di piacere e di relax.
Ed è poesia :
…Il sole era tramontato da poco e la sera stava stendendo le sue dita scure sulla città …
E ancora uno stato d’animo sereno reso con dati visivi e olfattivi
… Si continuava a scendere. Ormai si erano lasciati alle spalle gli orti e le piccole vigne che correvano lungo le mura e di nuovo erano apparse le case basse della periferia occidentale. Lucrate notò che qui e là erano sbocciate le prime rose e per questo, in quella parte della città praticamente disabitata, si sentiva un profumo delicato così diverso dal puzzo stagnante che aleggiava un po’ ovunque. Lui aveva vissuto troppo tempo sui monti dove l’aria ha un odore diverso per non avere un rapporto col mondo anche attraverso l’odorato e per non apprezzare nella giusta misura il piacere di un’aria limpida e profumata.
Oltre a quel rinfrancante profumo di rose appena sbocciate, gli parve che fosse proprio per il riflesso di quelle rose che laggiù, in basso, scivolavano tenui luci rosate sulla superficie del mare tranquillo.
Sembra di sentire il profumo delle rose e di vedere il loro riverbero sull’acqua.
E altrettanto bella è la descrizione di un profumo, di un desiderio che sembra arrivare fino a noi:
… Era di nuovo mattino. Il sole entrava dalla piccola finestra aperta per tempo da Mayra e giocava sul suo volto e sulle pareti. Si girò ancora insonnolito nel letto. Gli avrebbe fatto piacere trovare il corpo caldo e morbido della sua schiava e amante accanto ma sfortunatamente non c’era. Mayra aveva già iniziato la sua lunga e faticosa giornata. Sulle coltri era rimasto l’odore della pelle di Mayra e lui lo aspirò profondamente. Era un odore forte, che gli piaceva da morire: dapprima gli arrivava al cervello e poi gli scendeva nel petto procurandogli lo struggente desiderio di stringerla a sé e di accarezzarla.
La lingua, in questo modo, diventa veicolo di atmosfere, di stati d’animo che attraggono il lettore stimolando la sua curiosità e impedendogli di abbandonare la lettura.
L’intenzione dello scrittore di catturare il lettore viene puntualmente soddisfatta attraverso un messaggio linguistico che accomuna emittente e destinatario in un codice comune.
La capacità di osservazione peculiare, la padronanza di un lessico carico di significato, il gusto del vocabolo esatto, individuante, consentono la condivisione dei vissuti del protagonista, la consapevolezza di ciò che egli sente e inducono il lettore ad una identificazione con lui.
La fabula si snoda attraverso spazi e tempi scelti accuratamente, in modo mirato, con l’uso di sensazioni statiche e dinamiche di ambienti, personaggi, stati d’animo che si alternano a dialoghi, ad argomentazioni, a flash-back, a montaggi paralleli. Il risultato è un testo letterario estetico, coinvolgente, sorprendente che comunica connotando impressioni, sensazioni, sentimenti.
Ancora un passo:
… Quella mattina sbuffi di vento secco proveniente dall’Oriente suggerivano un eloquente presagio della calda estate che stava per sopraggiungere. La terra già sembrava emettere il cupo lamento causato dalla siccità. Ma il colore del mare, di un azzurro intenso, faceva ancora sentire amici e sodali gli elementi della natura: sicuramente di lì a poco ci sarebbe stato un mutamento climatico che avrebbe ricondotto il tempo a temperature più consone alla stagione e ai bisogni degli uomini confermando l’Attica terra benedetta dagli dei. Voltò la testa e scorse alle sue spalle, lontano, dietro la sagoma scura dei monti, affacciarsi cumuli di nuvole bianche, avanguardia senz’altro di altre nuvole che avrebbero portato una pioggia ristoratrice per gli uomini e le campagne.
Sembra di sentire sul viso il soffio di vento secco e il profumo dell’estate mitigato dalla frescura del mare e della prossima, imminente pioggia.
Ancora un altro passo poetico:
…Ai suoi occhi si parò dinanzi una distesa di terra disabitata e prevalentemente incolta, di sterpaglie inframmezzata qua e là da piccoli boschi di querce e acacie che andando verso nord diventavano più fitti. Delle pecore, sullo sfondo, formavano chiazze di contrasto col verde della campagna. La costa era composta da scogliere contro cui il mare si frangeva rumorosamente disseminata, però, a intervalli regolari di piccole calette naturali dove abili marinai potevano trovare un approdo per quanto difficoltoso e problematico esso potesse essere.
Sembra veramente di vedere questa distesa di terra e la scogliera contro cui il mare si frange. Sembra davvero di trovarsi lì, di appartenere all’ambiente descritto. Ed è proprio questa sensazione di non estraneità, di appartenenza, che proietta il lettore in uno stato di benessere, di piacevolezza, di familiarità, che appaga, rasserena, rilassa, nonostante si tratti di un giallo, di un percorso misterioso in cui le morti si susseguono tra personaggi, di volta in volta, alteri, scontrosi, aggressivi.
Senz’altro un libro da non perdere, anche come strumento didattico.
Renata Bracaglia
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Bello l’inizio, che ci introduce, con pennellate brevi ed efficaci in un’Atene del 4° secolo A.C., e ci presenta il protagonista (Eucrate) come un antico 007, per cui entriamo subito in un’atmosfera strana ed avvolgente. Per un vicolo tortuoso e solitario veniamo condotti, attraverso luci ed ombre sotto un profondo cielo stellato, ad uno svolgere sereno degli eventi, fino…………. ad inciampare quasi nel CADAVERE DEL SUONATORE DI CETRA.
E allora seguiamo Eucrate, saggio e maturo per l’epoca in cui si svolge il racconto, ma giovane trentacinquenne per la penna dell’autore, che lo dipinge, nei comportamenti, proprio come un James Bond che, rientrando a casa dopo una serata alquanto pesante (ha trovato un cadavere!) si concede una calda notte d’amore con la donna che lo attende (è superfluo che Mayra sia una schiava). Ed è bravo l’autore a coinvolgerci attraverso la rappresentazione dell’ambiente, che filtrato dai sensi e dalle emozioni del protagonista, ci appare come una perfetta sceneggiatura cinematografica.
La storia, dunque, si svolge ad Atene nel 4° secolo A.C., ed il contesto storio è perfetto, grazie anche a frequenti e precisi riferimenti e ad alcune tradizioni dell’epoca (come la distribuzione di focacce e olive ai paria affamati che, la sera, stazionavano presso le abitazioni dei cittadini abbienti).
Belle le descrizioni degli ambienti che fanno da cornice alle emozioni. Quando, ad esempio, Eucrate va a trovare l’Etera Gongila, una straniera in Atene che riesce però ad entrare nelle grazie di Antipatro (pupillo di Alessandro), il luogo in cui è immersa la villa non può che essere quello, per esaltare il susseguirsi di emozioni di Eucrate: una zona di tranquilla periferia dove il mare fa da sfondo e, quasi da paravento ad un intrico di vialetti alberati dove stupende fanciulle intrattengono amabili conversazioni (vedremo poi, che il motivo di tanta riservatezza è anche un altro).
E ancora più attenta è la descrizione dell’etera, alta, ben fatta …
“aveva i capelli castani tendenti al rosso, la carnagione scura e un volto dai lineamenti regolari e vagamente duri, le labbra spesse e le guance un po’ troppo incavate. Ad osservarla superficialmente si sarebbe detto che la sua fama di bella donna era usurpata, sino a quando non le si guardavano gli occhi. Erano due occhi di un azzurro profondo, due occhi magnetici da cui restare incantati e vini … Era di età inclassificabile, poteva essere molto giovane o avere già superato la trentina”.
Già dal primo impatto ci si attende la conclusione maschile, traspare dalle righe l’imbarazzo, l’emozione, la timidezza, fino all’irrefrenabile desiderio di Eucrate.
Desiderio che non è risvegliato solo dalle grazie della donna (infatti egli ha detto che “…. la sua fama di bella donna forse era usurpata”), ma soprattutto dai discorsi che ella fa e che svelano un’intelligenza e un’ironia che catturano il nostro 007.
“… Si rese conto che gran parte del fascino di Gongila consisteva nella sua intelligenza brillante, nella sua profonda esperienza della vita che la rendeva melanconica e riflessiva, capace di stupire con i suoi discorsi anche il più sapiente degli uomini.
«Conosci il sommo Aristotele» chiese Eucrate
«Conosco Arisotele ed ho letto tutte le opere dei grandi filosofi, ma non vado alle sue lezioni pubbliche, a volte sono loro che mi onorano della loro presenza qui.
Tu lo sai, non è molto decoroso per una donna frequentare gli stessi luoghi che frequentano gli uomini e magari metterli in difficoltà con il proprio acume».
Ancora una volta Eucrate è costretto ad apprezzare le parole di Gongila, capace di dire cose di cui mai si sarebbe sentita capace una donna”.
Ma è quando Gongila lo prende per mano e lo porta fuori, sulla veranda, che si fondono insieme, in completa simbiosi, i sentimenti, le emozioni e l’ambiente esterno, cornice perfetta fatta apposta per esaltare il momento che si vive (o forse è il momento che si sta vivendo a rendere magica la cornice esterna).
“Gongila gli sorrise e lo prese per mano. Lo condusse fuori sulla veranda che dava sulla spiaggia. Li accolse la notte dell’Attica, li accolse quel vago tremolio di luci sull’acqua blu, lo sciabordio delle onde sulla battigia e quel vento soave, una sorta di brezza leggera che sembrava provenire direttamente dall’alto.”
Tutti i sensi di Eucrate sono all’erta e lui coglie l’invito delle luci sull’acqua, la musica della onde e del vento, e si lascia andare alle emozioni. Finché … finché la filosofia non sembra prendere il sopravvento e Aristotele trionfa.
“Quella mattina Aristotele avrebbe tenuto lezione. Era quell’atmosfera come di rito religioso che si respirava in quel luogo ad affascinarlo, quella cerimonia che aveva come movente e fine la ricerca della verità, il rinnovarsi del rito di Prometeo.
Per quanto lo riguardava, voleva arrivare a capire appieno il senso e l’apparente necessità della ricerca scientifica.”
Emerge l’amore e la fiducia nel ragionamento filosofico che si contrappone alla rozza reazione dei sensi: la testa contro la pancia.
“Aristotele sorrise – Io sono sempre qui, comunque – disse, e aggiunse – ricordati sempre il principio A è A o è NON A. Non esiste un terzo tra i due. Il modo di pensare di noi esseri umani è spietato. E’ come se fossimo prigionieri della nostra stessa mente . Troppo spesso fare emergere una comprensibile linea di condotta nelle vicende degli uomini significa dover spostare mucchi e mucchi di letame e di contraddizioni. Comunque rimane fermo il fatto che la capacità di scovare la ragione ultima delle cose è una nostra concreta possibilità.
E io sono sempre qui se sentissi il bisogno di un consiglio.”
Sono le leggi della logica, il meccanismo CAUSA–EFFETTO che guida l’investigatore, così come ha guidato l’assassino.
“Aristotele, con quel riferimento alle leggi del pensiero, aveva semplicemente voluto ricordargli che il delitto soggiace alle stesse regole che governano tutta la realtà. Quindi, per arrivare a un credibile meccanismo causa-effetto che desse conto degli eventi accaduti, fino ad arrivare alla loro radice ultima, aveva bisogno di elementi atti a creare un discorso inoppugnabile e conseguentemente vero. Nel suo caso questo discorso doveva prendere le movenze da fatti certi.”
Pare quasi che Aristotele sia qui un antesignano di Sherlock Holmes che indica ad Eucrate/Watson la via da seguire.
M .... c’è un ma, perché come contraltare l’autore pone il fascino femminile fatto non solo di bellezza esteriore, ma di intelligenza e sensibilità.
Così, malgrado Aristotele, il Nostro si avvicina sempre di più ad una concezione di donna persona e non più semplice oggetto di piacere.
Sarà vero? .... L’altalena continua e la conclusione, alla fine, riserva una vera sorpresa, della quale, chiaramente, non vi dirò!
Michela Cardamone
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Pietro Giuliano, L’assassinio del suonatore di cetra,, Edizioni Forme Libere, Trento 2010, € 15,00
in recensioni e presentazioni: |
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