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Il dono riaccende la vita
F. Santangelo - V. Gravagna
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Vincenzo ha quindici anni.
È atletico, ama lo sport, gioca a calcio e fa lunghe passeggiate in bicicletta.
Mi piace vederlo giocare, e soprattutto vincere. Perché a lui capita spesso di vincere.
Quando è nato, ho dovuto lottare per dargli il suo nome. Non piaceva a nessuno della famiglia, dicevano che era antiquato e troppo meridionale. A me, invece, sembrava un nome dolce ed elegante, e poi volevo che mio figlio fosse vincentius, destinato a vincere.
Ieri pomeriggio, subito dopo pranzo, mi ha chiesto il permesso di fare una passeggiata in bici. Il cielo era scuro, ho tentennato, ma in fondo un po' di pioggia, a un ragazzo, non può far male. Gli ho detto di non attardarsi, lui ha risposto qualcosa, non so cosa, cerco di ricordarlo. Se n'è andato con gli auricolari già messi, a cavallo della sua bici verde e blu, sentivo la musichetta mentre si allontanava con quella sua pedalata sicura e veloce. Per fortuna non ha lo scooter, ho pensato.
Noi non glielo abbiamo comprato, lo scooter, ma lui non ha mai insistito, dopo la tragedia di Filippo. Era uno dei suoi migliori amici, il primo a prendersi il patentino. Era, perché a luglio la sua vita si è fermata contro un camion. So che Vincenzo si attarda spesso in quell'incrocio. Dice che lì riesce a ricordare il viso di Filippo. Io credo che non accetti questa cosa.
Hanno detto che si chiama Ramiro, che lavora in una fabbrica di tavoli ed è colombiano, che vive qui da un anno e guida il furgone delle consegne. Sta di là, nell'altra sala, piange. Ma io non voglio sapere di lui, non lo conosco, non c'è motivo che io lo conosca. La sua vita è entrata nella nostra, ma io non lo conosco, non voglio conoscerlo. Dicono che l’asfalto era viscido, che lui non aveva mai avuto incidenti, che non era ubriaco. Perché me lo dicono?
Un ragazzino mi passa accanto, succhia sereno da una lattina. A Vincenzo piace la cocacola, ma io non la compro mai, sto molto attenta alla sua alimentazione. Dovrò comprargliela, invece. Appena si rimette.
Dicono che quel furgone non andava veloce. Ma contro una bici, qualunque cosa è pesante, troppo pesante.
Forse Vincenzo era distratto, magari non l'ha visto arrivare, forse non ha nemmeno sentito dolore, e non ha avuto paura...
Ho la nausea, ma non voglio che mi passi, non voglio stare bene. Sono qui da ieri sera, non so chi mi ha portato qui, dopo quella telefonata. Mio marito non c'è ancora, gli hanno detto di fare presto. Ho sentito il dottor Lotto che gli parlava. Lotto segue Vincenzo da quando è nato, è bravo ma, confesso, l'ho scelto dalla lista dei pediatri per il suo nome, mi dava allegria. Ora la sua voce mi dà fastidio, dice cose senza senso, mi parla del cuore di Vincenzo, e dei suoi occhi.
* * *
È difficile la vita della mia Roberta. Ed è difficile la nostra vita, senza allegria e senza entusiasmi.
Il suo cuore non ha mai funzionato bene e le ha permesso di crescere poco, tra privazioni e timori. A noi ha dato solo angoscia.
Non ci siamo accorti subito della malattia. Era una bimba bellissima e paffuta, forse un po' meno rosea degli altri neonati, ma a noi sembrava perfetta. Poi, a poco a poco, i suoi affanni, i suoi torpori, i suoi pianti flebili, così diversi da quelli degli altri bambini...
In ospedale ci dissero che il suo cuore non avrebbe resistito fino all'adolescenza: mi sembrò di morire, che invece si stesse fermando il mio cuore. Suo padre si mise a piangere a dirotto, io restai impietrita, senza respirare, con un dolore sordo nel petto.
Non l'avrei vista da signorina, non le avrei mai regalato il rossetto... solo stupidi bambolotti. Pensai alla sua casina delle api, lei non aveva mai steso una mano per toccarle, quelle sciocche api.
Sentii di odiare il mondo, di odiare persino quel suo cuore che mi avrebbe costretta a pregare perché non smettesse mai di battere, a pregare attimo dopo attimo. Ed è così che vivo, pregando, anche se non so a chi mi rivolgo, a quale dio, o a quale uomo.
A volte li sento dentro di me i battiti del cuore di mia figlia, e li confondo con i miei. Le guardo continuamente il viso, il petto che si solleva senza un ritmo deciso, il suo corpo che trema a ogni piccolo movimento. La guardo e aspetto.
Sono molto stanca, perché sperare senza mai toccare un traguardo stanca, e toglie il sorriso.
Il nome di mia figlia sta scritto in una lista da diversi mesi, sta in cima a quella lista.... dovrei esserne contenta ma sono terribilmente spaventata.
Roberta è bellissima, sarebbe bellissima. Ha dieci anni, non sa cosa sia giocare con gli altri bambini, e non sa cosa sia giocare da sola, perché lei non sta mai da sola, e neanche io.
Da qualche mese non si alza più dal letto. Ho portato nella sua stanza il pianoforte, perché a lei piace sentirmi suonare. Credo che se potesse cantare, avrebbe una bella voce, come quella di sua sorella. Virginia ha quattordici anni... no, ne ha quindici, li ha compiuti la settimana scorsa. A volte, quando penso a lei, i suoi tratti si confondono con quelli di Roberta... Un po' me ne vergogno, e mi dispiace che stia crescendo da sola. Ha un ragazzo, l'ho capito dalle telefonate bisbigliate e dalle uscite sempre più frequenti. Non le chiedo ancora nulla, non saprei cosa dirle. Avremo tempo di parlare, quando Roberta... In fondo lei, la sua giovinezza, se la potrà godere.
* * *
Perché dici questo? perché? un padre non può dire questo, tu non devi parlare così. Non dar retta a Lotto, lui è solo un medico per bambini, e Vincenzo ha quindici anni, cosa vuoi che ne sappia dei ragazzi di quindici anni! Vincenzo è forte, ha il cuore di un atleta, resisterà vedrai, vedrete... Smettetela di dirmi queste sciocchezze... non ci credo, non è finita, non può essere finita... basta, silenzio, basta... per favore... vi supplico... voglio morire anch'io... fatemi andare da lui, fatemelo toccare... non toccatelo, non vi rischiate a toccarlo... si sveglierà... magari fra un mese, fra un anno, dieci anni... io lo aspetto... e tu pure lo devi aspettare... o Dio mio! Dio! Dio! no, no...
* * *
È arrivata con lo stesso suono delle altre. Una telefonata fastidiosa come le altre.
Pronto. Sì, sono io. Come? No, non so... ma, veramente... sì, sì, va bene... ma siete sicuri? dove?
La lascio con Virginia. Devo scappare in ospedale. C'è un ragazzo... la sua mamma non vuole lasciarlo andare... anch'io non lo lascerei andare... non è giusto, non voglio vedere quella donna, non voglio dirle nulla, non voglio niente da lei...
* * *
Ha i capelli rossi... Vincenzo direbbe arancione, a lui piacciono i capelli arancione. Lotto mi ha detto che sua figlia è in lista d’attesa, abitano nella nostra città. Io non l'ho mai vista. Una sconosciuta. Lasciatemi stare, mandatela via. Non la conosco, non l'ho mai vista, cosa vuole da noi! Si è seduta lì in fondo. Ha gli occhi bassi, le mani in tasca, le gambe strette. Ha i capelli rossi, sembrano naturali. Io li tingo, a Vincenzo non piacciono i capelli bianchi.
Voglio andare da Vincenzo, fatemi andare. Magari comincio subito a parlargli, come hanno fatto in tanti... e presto si sveglia…
Lotto gli accarezza la fronte, mi dice che non tornerà più, che non può più tornare...
Non lo ripetere, dottore, non lo ripetere... lo so, è così... è così. Ma non ripeterlo... ti prego...
Vi prego… chiedetele se la sua bimba ha i capelli arancione... così, prima, lo sussurro a Vincenzo.
Fulvio Santangelo e Vittorio Gravagna
alunni II D - S.M.S. "R.Sanzio", Tremestieri Etneo (CT)
gennaio 2011
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