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Gradara, 8 ottobre 2010
Mario Amato
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“Questi, che mai da me non fia diviso/ la bocca mi baciò tutto tremante”.
Mentre guido, diretto a Gradara, al castello famoso grazie a Dante, recito mentalmente le parole che il sommo poeta mette nella bocca di Francesca da Polenta, passata alla storia come Francesca da Rimini. Natalino Sapegno afferma, forse non a torto, che “la bocca mi baciò tutto tremante” rappresentano le più belle parole d’amore della letteratura italiana. Il tremore di Paolo è forse quello del giovane alla sua prima esperienza d’amore oppure è suscitato dalla paura di essere scoperto o ancora dalla consapevolezza di essere nel peccato? Come in ogni grande opera, le parole di Francesca, in altri termini i versi danteschi, sono interpretabili in più modi.
La strada corre sotto la vettura insieme al Canto V della Commedia, che inizio a spiegare alla mia compagna di viaggio, la mia badante ucraina. Le racconto, brevemente, la vera storia di Paolo Malatesta e Francesca da Polenta: la giovane fanciulla credette di sposare il bello e giovane Paolo, ma questi era presente solo come procuratore del fratello Gianni Zotto (ossia “zoppo”) detto Giangiotto. Francesca si avvide dell’inganno soltanto all’alba, dopo aver adempiuto il suo “dovere coniugale”.
Quando iniziò l’amore tra i due cognati? Questo non si può sapere, ma poco importa, perché quella storia d’amore sarebbe restata nota soltanto agli abitanti del borgo, se Dante non l’avesse resa eterna.
Il borgo! Esso ci appare dalla strada, circondato da alte mura: meravigliosa immagine di storia e poesia che si sono intrecciate indissolubilmente!
La cittadina è accogliente e silente, poiché non è permesso alle automobili la circolazione nella parte antica e questo crea ancor più la sensazione di aver compiuto un salto all’indietro nel tempo.
Cerchiamo, prima di tutto, un posto dove mangiare. L’accento degli abitanti è romagnolo e non marchigiano. Ci rifocilliamo in un’osteria e rimandiamo la visita alla rocca malatestiana al mattino seguente, poiché la salita è ripida e le mie condizioni non mi permettono di percorrerla. Ottengo dall’ufficio “Pro Loco” di poter giungere al castello con l’auto.
Finalmente giunge il mattino. Siamo alla rocca e iniziamo a vagare per le ampie sale. Pensiamo ancora a Francesca, sacrificata da giochi di potere a un matrimonio senza amore. Parliamo sottovoce, immaginiamo le vesti fruscianti della giovane, gli sguardi tra lei e Paolo, i passi che li condussero fino alla stanza dove furono uccisi nel momento di massima felicità.
Spiego ancora alcuni versi alla mia badante: “Soli eravamo e senza alcun sospetto”: non sospettavano i due amanti cosa sarebbe accaduto oppure credevano che nessuno sapesse della loro relazione.
In realtà – questo dice la storia – Giangiotto, già da qualche tempo a conoscenza del tradimento, aveva incaricato il fratello minore di spiare i due cognati. Il piccolo obbedì e avvertì Giangiotto che Paolo e Francesca erano in camera.
Ebbero il tempo di amarsi? Dante non lo dice, ma usa ancora un verso ambiguo: “Quel giorno più non vi leggemmo avante”. Forse non continuarono la lettura perché Giangiotto li uccise, forse perché furono intenti a fare ben altro.
Un verso precedente potrebbe far protendere per la seconda spiegazione: “Amor, che nullo amato amar perdona,/ mi prese costui del piacer sì forte/ che come vedi ancor non m’abbandona”. Furono travolti dal piacere dei sensi! Fu amore completo? O soltanto vagheggiamenti, lievi toccamenti, sguardi colmi di desiderio?
Il bacio di Ginevra e Lancillotto non è casto, come non lo è quello tra Paolo e Francesca, tuttavia Lancillotto è amante della regina per lungo tempo, mentre l’amore tra i due cognati resta – nella poesia – misterioso.
Francesca insiste sulla colpa del libro: ella è stata spinta tra le braccia del cognato da quella lettura. “Noi leggiavamo un giorno per diletto”: nell’espressione “diletto” è il senso del verso. Dante condanna la letteratura cortese, che tende solo all’intrattenimento e non all’edificazione spirituale. Non possiamo essere d’accordo, e ce ne scusiamo, con il sommo poeta: i cavalieri della tavola rotonda avevano la missione di trovare il Santo Graal, il calice che avrebbe potuto sanare i mali fisici e spirituali dell’umanità, ma, come ha scritto Karl Vossler (1), Dante attraversò la vita rancoroso verso il mondo e con un perenne umor nero.
Pensiamo ancora a Francesca: l’unica letteratura che conosce è quella cortese, vive in una corte. Come poteva non sognare un grande e segreto amore? E vicino c’era il bel Paolo, il principe azzurro che tutte le adolescenti sognano, ancor più se la vita è pervasa da rimpianto e infelicità.
La visita termina nella stanza, dove furono uccisi i due cognati, la cui storia commosse Dante e impietosisce anche noi.
Nel borgo circola la leggenda: nelle notti di luna piena l’anima di Francesca vaga nelle stanze del castello alla ricerca di Paolo.
A sera partiamo, nel cielo c’è la luna piena, diamo un ultimo sguardo alla rocca. Chissà!
NOTA
1)La Divina Commedia studiata nella sua genesi e interpretata (Die Göttliche Komödie, 2 voll, 1907-10) alla quale fece seguito, nel 1942, la traduzione completa del poema.
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