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Samizdat.
Stato e mercato: una soluzione o la soluzione?
Aldo Ettore Quagliozzi
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L’onda lunga di quello che è stato il liberismo della “dama di ferro“ nella terra d’Albione, e che è stato pure la stella cometa che indicò la via al pistolero d’America divenuto statista di prima grandezza, quell’onda lunga si manifesta ancora ed è pur sempre sotto gli occhi di tutti nelle verdi contrade del bel paese. I postulatori di quella ideologia sopravvivranno alla sua dipartita? Difficile pensarlo, ancor più difficile crederlo. Ché il capitalismo è proprio come il famoso gatto: ha sempre sette vite.
E’ che il mondo dell’occidente, edonista e materialista e scristianizzato, non potrebbe sicuramente sopravvivere al destino tragico che Giuseppe Tamburrano, in una Sua riflessione pubblicata di recente su “il Fatto Quotidiano“ preconizza per il capitalismo, al capitalismo nelle forme nelle quali si manifesta oggigiorno.
Il mondo dell’occidente è cresciuto col capitalismo, per il capitalismo: possibile che “Anche il capitalismo è morto“, così come titola l’illustre Autore nella Sua dotta riflessione? Non vedo all’orizzonte una simile eventualità, poiché non vedo nelle masse opulente dell’occidente, una tensione ideale, un superamento dell’egoismo di cui scriveva, con infinita lucidità e lungimiranza, il grande Saul Bellow nel Suo straordinario lavoro che ha per titolo “Herzog“:
“(…) La nostra è una civiltà borghese. Non uso questo termine nel senso in cui l’usava Marx. Fifone! Nel moderno lessico dell’arte e della religione, è borghese considerare che l’universo sia stato fatto per il nostro placido uso e consumo e per darci conforto, comodità e sostegno. La luce non viaggia a 300 mila Km al secondo per permetterci di vedere mentre ci pettiniamo o per leggere sul giornale che gli ossi di prosciutto oggi costano meno di ieri. Tocqueville considerava l’impulso verso il benessere come uno degli impulsi più forti di una società democratica. Non gli possiamo rimproverare d’aver sottovalutato i poteri distruttivi generati da tale impulso. (…).“
E pensare che Saul Bellow, nel Suo tempo, sapeva di un solo mondo, l’Occidente, rapito e confuso da quell’insano “impulso“: vedesse il mondo d’oggi come si è ridotto!
Di seguito trascrivo, in parte, l’interessante riflessione di Giuseppe Tamburrano.
“C’era una volta l’ideologia, un concetto difficile da definire. Grosso modo è una filosofia di parte: e cioè una concezione del mondo finalizzata a cambiarlo (o a conservarlo). I filosofi puri, gli scienziati la disprezzano (ma Gramsci diceva philosophus purus purus asinus) perché non è una visione oggettiva. Ma per chi vuole cambiare (o conservare) le cose è, un’ottica necessaria. Marx ne ha dato una definizione fulminante: - Fin ora i filosofi hanno interpretato il mondo, ora si tratta di cambiarlo - (tesi su Feuerbach). Il marxismo-leninismo si è sbriciolato come i macigni del Muro di Berlino. È la fine delle ideologie, proclamarono gli anticomunisti. E invece prese vigore una nuova ideologia che fu fatta propria dagli ex comunisti forse perché, vedovi, non poterono farne a meno essendo mitridatizzati e assuefatti. Mi riferisco all’ideologia del mercato senza limiti, unica ricetta per assicurare magnifiche sorti e progressive all’umanità (ruolo che si era assunto anche, dalla parte opposta, il comunismo!): una ideologia che apparve vincente dopo il fallimento dello statalismo comunista e che fu la crociata del capitalismo reaganiano fondato sui postulati di Milton Friedman e della Scuola di Chicago. Portata alle sue estreme conseguenze fu proposta come la fine della storia o il fine raggiunto dalla storia. Non diversamente dal comunismo, del resto, dal lato opposto: se la Storia è storia di lotte di classe, la fine della lotta con la vittoria del proletariato è la fine della Storia. In questi mesi un altro muro è crollato: quello di Washington. È crollata l’ideologia reaganiana del mercato senza limiti. Lo dice papale papale Massimo Gaggi sul Corriere della Sera del 9 maggio: - Affidarsi alla capacità dei mercati di autoregolarsi non è più possibile -. E Gaggi traduce una realtà: quella dello sconquasso che la libertà senza limiti delle forze che si muovono all’interno del mercato sta provocando. Questa constatazione si diffonde. Ne è convinto Obama che è dovuto intervenire con soldi dello Stato per salvare banche e industrie, fornendo liquidità ma anche prescrizioni alle banche (mi sembra con scarsi risultati) e alle industrie: alla General Motors (l'interesse della General Motors coincide con quello dell'America, disse il generale Eisenhower quando era presidente degli Usa). Obama ha fatto un altro discorso: ti do i soldi dello Stato ma tu non sei libero di usarli come ti pare: devi costruire automobili più piccole e che inquinano meno. (…) E in Europa, epicentro delle turbolenze, che cosa insegna la crisi attuale? Che la speculazione, cioè forze del mercato senza freni, hanno rischiato di mettere in ginocchio l’Europa. La quale ha finalmente deciso di intervenire contro i tanto esaltati spiriti animali. Non dà quest’ultimo gravissimo caso ragione agli europeisti secondo i quali l’Europa non può essere solo una unità monetaria ma deve essere un’entità politica con poteri propri? Eppure nel caos si vede la stella polare ma nessuno la segue. Sempre in più pochi sosteniamo che le soluzioni non sono due: il collettivismo statalistico o il mercato deregolato. La soluzione è una: il socialismo che promuove la cooperazione tra la mano pubblica e la mano nascosta del mercato. Aggiornare questa idea di fondo del socialismo riformista non è facile, ma è il compito esaltante di una sinistra alla ricerca della sua moderna identità. È la rinascita del socialismo, di quel socialismo che non vuole abolire il mercato, ma togliergli la sovranità e restituirla al popolo, il quale attraverso i meccanismi della democrazia discute e sceglie i fini generali della comunità e lascia al mercato – strumento e non fine – il più ampio spazio per realizzarli. Stato e mercato: Stato che orienta, mercato che realizza. (…)“
maggio 2010
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