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Mediaculturapotere.
“Cosmonauta“ e “l’equivoco del mito americano”.
Aldo Ettore Quagliozzi
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Sono riuscito finalmente a vedere su DVD il bellissimo film “Cosmonauta“ della regista esordiente Susanna Nicchiarelli. Film delicato e dall’intreccio sorprendente, tanto da avere incantato la platea di Venezia nel ’99 e di aver vinto a mani basse il premio per la sezione “Controcampo italiano“.
Lo segnalo e lo raccomando.
Con una precisazione; chi all’epoca dei fatti rappresentati – dal 1957 in poi - non avesse ancora messo piede su questo angolo d’universo chiamato Terra, ben poche emozioni ne potrà cogliere. Altrimenti, è tutto un susseguirsi di emozioni e di nostalgie. Poiché lo scenario storico rappresentato nel magnifico lavoro cinematografico è quello della contrapposizione dura e pura tra l’Occidente, capitalista e consumista agli albori, e l’Oriente, rappresentato, almeno a quel tempo, dalla esperienza e dalla speranza, per altri milioni e milioni di uomini e donne di tutto il pianeta, della Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Ed in quello scenario delineato, la gara tra i due contrapposti schieramenti, le due superpotenze, con l’iniziale vantaggio conseguito dalla ricerca sovietica nella esplorazione dello spazio.
E ritornano, tra le bellissime immagini del film, gli interessanti spezzoni televisivi, della televisione di allora, a documentare lo sforzo di quegli uomini per vincere una gara con i più ricchi avversari. Gagarin, la cagnetta Laika, è tutto un rincorrersi di ricordi, di carissime memorie. E di grandi, grandissime illusioni. E delusioni.
E sullo sfondo storico, la storia di Luciana, una bimba inizialmente, divenuta un’adolescente nel prosieguo della storia, che arriva alla vita segnata dal dolore grande della perdita del caro genitore, comunista militante ed impegnato assai, e che in quello scenario storico diviene adolescente impegnata al pari del carissimo genitore.
Un film che è film di iniziazione politica e sentimentale; di affetti cari tenuti in gran conto, di disperazioni e sogni. Un film che inneggia alla solidarietà familiare, alla solidarietà in ragione di una scelta politica; un tutt’uno, che è divenuto difficile ritrovare oggigiorno nelle quotidiane esperienze dei nostri adolescenti.
Il film si chiude con uno scenario imprevisto. Il piccolo schermo trasmette le immagini del trionfo, ahimè, dell’odiato impero capitalista, ovvero la discesa sulla Luna degli astronauti americani – 1969 -. Astronauti e non cosmonauti. Ché anche in questo il film consegna piccole perle d’immagini, suoni – come non dire della magnifica colonna sonora che lo attraversa tutto con le più belle canzoni di quegli anni – parole: “astronauti“ loro, gli odiati americani, i capitalisti, “cosmonauti“ i proletari, quelli che stanno dall’altra parte.
Un piccolo capolavoro – 83 minuti – da vedere, da assaporare, da amare, per quel che quella esperienza ha rappresentato, nel bene e nel male, per milioni di giovani di allora. Voglio dirlo: “c’ero anch’io“. Un mito che si infranse da un lato. Un mito, quello americano invece, che avrebbe di lì a poco investito, come una potente valanga, l’universo mondo. La Terra, le coscienze. Un appiattimento globale. Uno stordimento generalizzato.
Ne ha scritto di recente, sul quotidiano l’Unità, Goffredo Fofi. Titolo del Suo lavoro, “L’equivoco del mito americano“.
Di seguito lo trascrivo in parte.
“ (…) …nel film Nel corso del tempo (…) Wim Wenders, (…) narrò di due sbandati reduci on the road di quei movimenti ( anni sessanta e dintorni n.d.r. ), uno dei quali diceva una grande verità: «Gli americani ci hanno colonizzato l'inconscio». Ma non si trattava solo dell'inconscio, si trattava di quasi tutto. Gli americani hanno imposto al mondo quel che forse il mondo voleva: l'idea di una servitù consolata dal benessere e distratta dai media, i quali, in modo ossessivo e ridondante, onnipresente e diciamo pure schifosamente totalitario, hanno invaso il pubblico come il privato, hanno fatto dell’american way of life un pensiero unico, gradito a tutti. L'individuo sparisce, anche gli si dice che è ancora individuo soltanto nell'atto del consumo. Questo modello è entrato nell'inconscio di tutti, nessuno se ne può dichiarare indenne. Perfino la Chiesa è scesa amorevolmente a patti con il modello capitalista, che è a ben vedere il più laico e anzi ateo di tutti nonostante le frenesie fondamentaliste delle sue sette e di tanti suoi governanti, dopo aver furiosamente lottano contro quello comunista e non abbastanza contro quello fascista. Ha resistito qualche istituzione nata dalla seconda guerra mondiale, forse, presa a picconate oggi dal più americano degli italiani, il caro Berlusconi. (…) Qualche anno fa, in un lucidissimo intervento, Susan Sontag disse che gli Usa avevano diffuso nel mondo la peste, e che probabilmente di questa peste il mondo sarebbe morto. Nonostante tutto l’amore e i nostri debiti di riconoscenza per tante minoranze etiche Usa, religiose sociali artistiche, nonostante le speranze democratiche (il sogno) di John Dewey o Hannah Arendt, nonostante la capacità della federazione di assorbire e integrare, alla lunga (ma dopo quanti dolori!), le sue minoranze etniche, se si allontana l’obiettivo e si guarda in campo lungo o lunghissimo, mi pare impossibile non rendersi conto che il modello americano - e le banche e le multinazionali e gli eserciti che lo hanno diffuso prosperandone - restino un nemico o non un amico della democrazia. Al posto dell’individuo il consumatore, al posto del pensiero l’abbuffata mediatica, al posto delle aperture solidali l’egoismo e anzi l’autismo, al posto della libertà la pubblicità. (…)”
aprile 2010
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