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Dell’educare. 76
“Ho trovato, tra i miei appunti, ciò che mi disse il collega C.B. …“
Aldo Ettore Quagliozzi
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E’ solo pensabile, ipotizzabile, poter ascoltare, magari origliando il vicino di tavolo o che so io, un colloquio come quello di seguito trascritto e che è tratto dallo splendido volume di Domenico Starnone “Solo se interrogato”? D.S. sta proprio per Domenico Starnone; C.B. è un non meglio identificato insegnante italiano, ma ha tanta importanza scoprirne le generalità, o piuttosto in quelle iniziali non è rintracciabile e rinvenibile il tale collega, la tale altra collega, un tale consiglio di classe, un tale altro collegio dei docenti addirittura?
A questo punto, e disvelatane da parte mia la provenienza, quel leggiadro ed illuminante colloquio riacquista una sua veridicità, una fisicità quasi, che è possibile riscontrare nel quotidiano in un corridoio, in un’aula o nella sala dei professori di una qualsiasi scuola pubblica italiana. E’ il famoso “metodo di insegnamento“ che si sostanzia e trova corpo nelle mille forme che ha potuto verificare chiunque abbia fatto parte di quell’immensa schiera costituita dagli insegnanti italiani; un “metodo“ che si fa beffa di tutti gli altri metodi che albergano nelle aule del bel paese, che abbiano o non abbiano questi ultimi un minimo supporto di scientificità, ma con il grosso inconveniente di non soddisfare a pieno l’ego dell’insegnante italiano, al cui estro ed alla cui grande e furbesca improvvisazione sono legate le sorti di tutte le riforme scolastiche, dall’oggi sino al termine della vita umana e non umana sulla faccia della Terra. 1, 10, 100, 1000 … metodi: una babilonia didattico-pedagogica nella scuola disastrata del bel paese!
“Ho trovato, tra i miei appunti, ciò che mi disse il collega C.B. qualche anno fa a proposito della sua arte di insegnare. ( … )
D.S. Quando hai cominciato a insegnare, avevi in mente un modello?
C.B. Nessun modello. Ho fatto quello che mi pareva necessario e ho seguitato a farlo. Io non mi sono mai lasciato incantare da esperimenti all’avanguardia. C’è un unico modello di insegnare che davvero funziona.
D.S. Quale?
C.B. Tu spieghi sinteticamente, ma con chiarezza, l’argomento che i ragazzi devono studiare. Poi indichi con altrettanta chiarezza le pagine del libro di testo dove l’argomento è esaurientemente affrontato. Quindi assegni un certo numero di esercizi che gli studenti sono tenuti a fare a casa per impadronirsi praticamente dell’argomento. Il giorno dopo scegli un paio di ragazzi a caso e li interroghi. Metti un buon voto se hanno imparato la lezione, un cattivo voto se non l’hanno imparata, senza incertezze. E vai avanti così, fino alla fine dell’anno e del programma ministeriale.
D.S. Ma se qualcuno resta indietro, se non ce la fa, se ti vengono dei dubbi? ( … )
C.B. Mai lasciarsi coinvolgere troppo. Quello che faccio basta e avanza. E poi quali dubbi? Io non sono pagato per occuparmi dei problemi esistenziali, sociali, psicoanalitici dei miei alunni. Lo stato mi paga per insegnare e per accertare chi ha imparato e chi no. Faccio questo accuratamente da venticinque anni. Alla fine dell’anno promuovo o boccio. E’ un lavoro di responsabilità, ma lineare. Sono le chiacchiere inutili e gli sperimentatori a tutti i costi che lo stanno rovinando.
D.S. Ma tu insegni esattamente come insegnavano i tuoi insegnanti!
C.B. Beh? Io sono venuto su bene. Vuol dire che il metodo ha funzionato. Perché dovrei cambiare? Cambi chi pensa di essere cresciuto male. Io sono contento di me.”
gennaio 2010
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