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Dell’educare. 72
“Dall’abisso delle storie personali …“
Aldo Ettore Quagliozzi
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E’ come un prosieguo della paginetta precedente, paginetta come quella tratta da “Solo se interrogato” di Domenico Starnone. E a dire che quando essa fu scritta si era ancora ben lontani dallo stato attuale di perdurante stato emotivamente confusionale nel quale vivono, o meglio lasciamo sopravvivere a nostra immagine e somiglianza, le nuove generazioni, i giovanissimi innanzitutto. E’ il loro mondo un mondo fagocitato da quello degli adulti, che lasciano inconsapevolmente –forse nei casi migliori- ben poco spazio ad una crescita che deve avvenire con ben altri parametri; l’ansia degli adulti di oggi è che i loro figli rassomiglino il più presto possibile ad essi. Anzi mi è toccato di scoprire come alcuni adulti, che privilegiano ed adorano per il profumo dei soldi e del successo che le circonda certe pubbliche figure proposte dai mezzi di comunicazione di massa – cantanti, veline, calciatori -, restino delusi allorquando un loro figliolo si sottrae alla loro ansiosa invadenza tutta tesa a che, tramite il giovane, possano realizzare quelle aspirazioni non realizzate nella loro fase giovanile: i figli, per l’appunto, come mezzo di realizzazione di proprie non realizzate aspirazioni. Lo spaesamento giovanile, il disincanto dei nostri preadolescenti inizia all’interno delle famiglie, per concludersi nell’aridità dei tanti rapporti informali instaurati nella pubbliche scuole.
“(…) Dall’abisso delle ‘storie personali’, dei ‘precedenti’ dei nostri allievi, ci ritraiamo con fastidio. Invece di affondarvi, impastoiandoci in essi con la nostra ‘storia personale’, coi nostri ‘precedenti’, preferiamo che i ragazzi si celino dietro la forma dei buoni comportamenti. Gli studenti troppo piagati, troppo visibilmente ‘disonorati’ dai castighi subiti, ci facciamo un dovere di seguitare a punirli; poi, dopo esserci rifatti alla loro ‘storia scolastica travagliata’, li spazziamo via. Invece premiamo per quieto vivere soprattutto i buoni costumi dell’impersonalità, perché la moralità diffusa dalla scuola si riassume appunto nell’ostentazione del garbo. Dietro il garbo, poi, può celarsi di tutto; l’essenziale è che niente di perturbante si mostri tra i banchi mettendoci a rischio. L’unico approdo etico che volenti o nolenti indichiamo è l’abitudine ad occultarsi per risultare graditi, per ottenere successo. (…) Tutti i ragazzi hanno dei ‘precedenti’. Ogni ‘storia personale’, infantile e adolescente, è storia di castighi, è traccia di ferite e di disonore, malgrado il cosiddetto permissivismo imperante di cui parlano a ondate ricorrenti soprattutto i rotocalchi. Permissivismo di facciata. Ciò che di fatto è stato ampiamente permesso ai bambini, ai ragazzi, ai giovani è consumare mode d’ogni tipo, diffuse attraverso lo schermo tv. Ma la cosa ha solo allungato enormemente l’elenco dei loro ‘precedenti’. In classe arrivano ragazzi con una fedina penale interiore lunghissima. Celano da qualche parte un numero sterminato di bisogni indotti e continuamente, autoritariamente, soddisfatti nell’insoddisfazione; quando uno si estingue, già un altro li incalza. Sono giovani prigionieri di desideri grezzi, che non hanno il tempo (…) e gli strumenti per raffinare. Vivono infanzie, adolescenze e giovinezze stritolati fra tre fonti di comando, tutte adulte: la famiglia, la tv, la scuola. Certe volte obbediscono alla tv per disobbedire alla famiglia che ha obbedito alla scuola. Certe volte disobbediscono alla tv per obbedire alla scuola che ha obbedito alla famiglia. Certe volte disobbediscono alla scuola per obbedire alla famiglia che ha obbedito alla tv. Cercano parole per formulare domande, ma approdano a quiz con premio finale o a test o alle domande programmate dei giochi elettronici. Vivono in un carosello di falsi premi e di veri castighi. A volte riescono persino a considerare premi quelli che in realtà sono nient’altro che castighi. Intanto come al solito crescono furtivamente. Imparano presto, già intorno ai tre anni, a mentirci, a nasconderci i loro pensieri, per conservare spazi minimi di deviazione e di autocostruzione. Li bracchiamo per catturarli dentro la sfera adulta e così li rendiamo o subdoli o cattivi. Presto o tardi riusciamo a prenderli. E’ la solita vittoria di Pirro: li abbiamo solo quando, con un ultimo abbraccio – (…) – gli abbiamo spezzato il cuore. ( … )“
ottobre 2009
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