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Una storia vera ovvero Regina si nasce
Mario Amato
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Sono stato sempre restio a scrivere di me o della mia famiglia, ma sento il dovere di raccontare questa storia per un omaggio ad alcune persone che in questo episodio dimostrarono la loro eccezionalità. Una di queste persone è mio padre. Era tornato dal campo di prigionia dell’Australia dopo la seconda guerra mondiale. Era stato antifascista, era andato in giro in quegli anni con la cravatta all’anarchica, ma pure quando, appena laureatosi in medicina, la nazione lo aveva chiamato alle armi (ma egli non sparò mai) partì con il malandato esercito di Mussolini per l’Africa. In quel continente fu fatto prigioniero dagli inglesi e deportato in Australia.
Tornato al piccolo paese trovò la casa occupata, ma non da un esercito straniero, bensì da alcuni compaesani che forse lo avevano dato già per morto o per disperso. Non trovò più il padre e la madre, i miei nonni, erano morti da tempo. Trovò la povertà, case diroccate, la lotta contro la fame, insomma il dopoguerra. I pazienti di mio padre erano per lo più contadini ed operai della piccola cartiera del paese. Mio padre non era in grado di chiedere denaro per le sue prestazioni, davvero preziose, ed il suo onorario era spesso costituito da poche uova e quando possibile da un pollo.
In quella cartiera lavorava una donna abbandonata dal marito con ben nove figli, di nome Norcia Maria. Naturalmente mio padre, medico condotto ed ufficiale sanitario, non aveva orari, era medico ventiquattro ore su ventiquattro e malato di diabete era soggetto a crisi ipoglicemiche, ma Norcia Maria riusciva sempre a presentarsi quando papà mangiava. Un giorno mia madre le disse in dialetto “Possibile che non fai mai mangiare in santa pace quell’uomo”; la donna che teneva in braccio un bambino piccolo e un altro per mano senza guardarla le rispose “Tu sai parlare, tu sai il tuo ed io so il mio”. Un po’ divertita dalla risposta, un po’ timorosa della reazione di mio padre, mia madre raccontò l’episodio. Mio padre non si alterò, ma disse di prendere un po’ di spaghetti – allora si vendevano sfusi – e di darli alla donna, perché lui non capiva come faceva a sfamare tutte quelle bocche.
Il tempo passò ed il marito richiamò Norcia Maria in Belgio. Giunta in quella terra straniera, l’uomo svanì nuovamente e la donna finì con i suoi figli in un sottoscala. Disperata scrisse, con l’aiuto di una donna che conosceva la lingua francese, alla allora Regina del Belgio Fabiola. Incredibile, la Regina lesse la lettera, si recò di persona in quel sottoscala, condusse nel Palazzo Reale Norcia Maria, che fu fra il novero delle sarte di corte.
Il nome di battesimo mio padre era Giuseppe ed ogni 19 Marzo, giorno di San Giuseppe, giungeva un pacco dal Belgio con cioccolata, caramelle, tè, caffè, giocattoli per mio fratello e per me, doni per mia madre e per mio padre e soprattutto con una bellissima sgrammaticata lettera. Era il nostro personale Babbo Natale, anche perché Norcia Maria era ormai un personaggio del mito.
I suoi figli erano cresciuti, avevano trovato lavoro e vivevano orami in condizione più che agiata.
Anche mio fratello ed io eravamo cresciuti. Un giorno eravamo appena rincasati e nostra madre ci chiamò dicendoci “Voglio presentarvi una persona speciale”. Era Norcia Maria! Ambedue gridammo “Esiste!” e senza pensare l’abbracciammo.
Anche quella meravigliosa donna ci ha lasciato, come mio fratello, mio padre e mia madre, ma spesso penso a tutti e nella mia memoria Norcia Maria ha un posto speciale. A volte, al mattino recandomi a lavoro, penso a lei e recito i versi di Giuseppe Ungaretti
E forse io solo
so ancora
che visse
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