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Se il divino diviene il problema
Aldo Ettore Quagliozzi
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In tempi difficili e perigliosi alquanto, nella contrapposizione interessata e senza più freni delle fedi su scala planetaria, quando ritorna alle narici il puzzo antico di bruciato di corpi innocenti lasciati morire in nome di un dio, uno dei tanti, e quando sembra di veder di nuovo mulinare spade, e sciabole e scimitarre benedette dal proprio benevolente e misericordioso dio, ebbene è proprio in tempi come questi che la trepidazione assale forte con l’angoscia di una domanda alla quale ben difficilmente, se non nell’obnubilamento assoluto della ragione, potrebbe trovarsi per darsi una risposta: “ma di quale dio si parla?“
Io non ho risposta sicura, che se ce l’avessi proverei paura immensa, una risposta sicura grande e confortevole, se non la miserevole personale esperienza, maturata dolorosamente negli anni che or sono tanti ma non tantissimi, in un agnosticismo sempre trepidante ed in ansia di ricerca, per la qualcosa abdico prontamente all’ardua impresa ed avverto che la rubrichetta è senza pretese escatologiche ed introspettive ed è lasciata alla libera riflessione degli incauti navigatori della rete, fortunati al pari di colui che ritrovò il vello d’oro.
14 - Da “La Chiesa, la carità e la verità“ di Gustavo Zagrebelsky
“( … ) 2. L’etica cristiana è etica della carità o della verità? Per Gesù di Nazareth, non c’è dubbio, la carità predomina. La sua predicazione è l’amore concreto. Non risulta che egli abbia mai parlato dell’umanità, né che, in campo etico, abbia mai fatto uso di verità generali e astratte.
Il suo atteggiamento è tutto compreso nel volgersi ai tormentati da malattie e dolori ( … ), nell’indirizzare parole salvifiche concrete: ‘Fanciulla, alzati', alla piccola figlia del capo della Sinagoga ( … ). Le sue parabole parlano tutte di esseri umani, in carne e ossa, con i quali si è in rapporto; parlano del ‘prossimo‘ ( … ).
Il ‘più grande comandamento‘ è il comandamento della carità concreta, da cui tutta la legge dipende: ‘Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente; amerai il prossimo tuo come te stesso‘ ( … ).
All’adultera che, secondo la legge, avrebbe meritato la morte, Gesù, voltosi intorno e, visti i suoi accusatori che, non avendo potuto ‘scagliare per primi la pietra‘, se ne erano andati via, dice: ‘Neanch’io ti condanno‘, e aggiunge un’esortazione, non una minaccia: ‘Va e non peccare più‘ ( … ). Il Padre nostro, infine, il testo dove più facilmente avrebbe potuto annidarsi un discorso teologico sulla verità, è al contrario una commovente espressione di spirito filiale. Cosa c’è di più concreto e personale di un dialogo padre-figlio? Su questo non c’è da aggiungere altro, se non per notare, ( … ), che in effetti Gesù parla bensì talora di verità. Ma questa verità ( … ) non è un corpo di dottrine teologiche, filosofiche o sociali. E’ il Cristo stesso: ‘Io sono la verità‘ ( … ). Dunque, si è nella verità quando si aderisce fedelmente a lui, perché la verità, in senso evangelico, è la vita secondo il Cristo veritiero, è imitatio Christi; è la trasformazione della esistenza umana secondo Gesù di Nazareth. Il Dio dei cristiani, infatti, è il dio che Gesù ha raccontato in verità attraverso la sua vita con gli uomini.
3. Fin qui il messaggio cristiano evangelico. E la Chiesa cattolica? La domanda non solo non è impropria ma è anche perfino doverosa. La fedeltà della Chiesa e della sua azione all’annuncio del fondatore non può sottrarsi a questa verifica permanente, nel corso dei tempi che mutano.
Ora non possiamo fare a meno di osservare l’impressionante complesso dottrinale venutosi a produrre nel corso dei secoli. All’imponente edificio dà oggi nuovo impulso la rinnovata alleanza fede-ragione, riproposta in termini inversi a quelli d’un tempo: non più la ragione e, al di là dei suoi limiti, la fede, ma prima la fede e poi la ragione che, sulle verità della fede, costruisce e costruisce ancora, deduttivamente e induttivamente, con pretese di validità razionale generale.
Operando così, non c’è più limite: potenzialmente, ogni aspetto dell’esistenza, solo che lo si volesse, potrebbe essere ricondotto a una qualche prescrizione teologicamente imperativa. Non dalla carità, ma dalla dottrina della verità, l’etica cristiana predicata dal magistero è così venuta a dipendere.
Nella ‘nuova alleanza‘ di fede e ragione, l’etica della carità resta soverchiata e l’etica della verità si trasforma in precettistica, in codici di condotta non molto diversi da quelli giuridici. E difatti essa non prova alcuna ripugnanza, anzi mostra una naturale propensione a volersi imporre attraverso l’ordinamento delle leggi civili. In questo può scorgersi l’oblio dello spirito originario evangelico, e averlo detto non è affatto un’offesa …
( … ) Si è detto, ( … ): attraverso la difesa dell’astratto ( … ), la Chiesa protegge l’esistenza di milioni di persone: le vite dei più deboli, i nascituri, i bambini, i moribondi; la natura integra delle esistenze future; l’ordinata vita nella società. La distinzione astratto-concreto, verità-carità, sarebbe perciò illusoria. Ma non è propriamente così. Ogni impostazione astratta dei problemi etici sacrifica necessariamente posizioni concrete, le quali, secondo la carità, troverebbero anch’esse ragione di essere riconosciute e sono invece disconosciute, spesso con grandi sofferenze personali. Questa dialettica, anzi questa contraddizione, tra idea e realtà è ben conosciuta da chi vi è immerso e non trova nella fredda norma astratta l’aiuto per affrontare le roventi circostanze dell’esistenza, anzi vi trova ostacoli e motivi per rifiutarla. Il fenomeno del cosiddetto ‘scisma sommerso‘ in tema di etica, col quale la Chiesa cattolica si deve confrontare particolarmente al tempo presente, nasce da qui: dalla domanda di carità cui si risponde con parole di verità e legalità.
( … ) 6. Giunti a questo punto, il discorso sull’etica pubblica potrebbe proseguire costruttivamente in un discorso sulla democrazia. E’ addirittura intuitivo che la democrazia è inconciliabile con la pretesa di una parte, quale che essa sia, di possedere la verità e di imporla a chi non vi si riconosce. Questa pretesa sarebbe non democrazia ma autocrazia. La carità ci introduce in un campo in cui la verità retrocede, in un campo che, per sua natura, non è quello delle certezze assolute e necessarie, ma quello delle possibilità.
La democrazie è per l’appunto il regime delle possibilità da esplorare, attraverso discussione e confronto e secondo la logica del male minore o del bene maggiore nelle condizione date. In certo senso, carità e ( è ) democrazia. In questa dimensione pratica, essenzialmente relativa, nessuno può pretendere di possedere la verità. Anzi, l’idea stessa di verità non ha luogo. ( … )“
15 - Da “Il senso del paradiso“ di Umberto Galimberti
“Non difendo la religione "come valvola di sfogo dell'irrazionale" perché considero l'irrazionale come il costitutivo dell'umano che la religione, con la sua simbolica potente, cerca di contenere, e la ragione, con i suoi mezzi modesti, cerca di governare. Tra i mezzi potenti della simbolica religiosa c'è che la vita umana ha un "senso" dove alla fine si adempie quel che all'inizio era stato annunciato. Quando è iscritto in un disegno (di salvezza), il tempo non è più un'insignificante successione di giorni, ma, accadendo in vista di un "fine", è portatore di un "senso" e, in quanto portatore di un senso, è "storia". Noi oggi non viviamo più nella storia, perché non possiamo chiamare "storico" un tempo senza direzione. Noi viviamo nella "pura accelerazione del tempo", scandita non da progetti umani, ma dagli sviluppi tecnici, che, consumando con crescente rapidità il presente, tolgono anche al futuro il suo significato prospettico, quindi il suo "senso". Non si può infatti parlare di "senso" di fronte a un processo evolutivo che si definisce tale solo in riferimento agli stadi precedenti, senza alcuna prospettiva rivolta, non dico a un "regno dei fini", come chiedeva Kant, ma almeno a un orizzonte di significato che non sia il puro e semplice sviluppo tecnico. A questo punto è gioco forza congedarsi dalla categoria del "senso" perché tentare di conservarla, come fanno gli uomini di religione nel "mistero" significa dichiararla inconoscibile, mentre tentare di sostituirla, come fanno gli scienziati con il fascino dello "sviluppo", che ha preso il posto lasciato vuoto dal progetto divino, significa dichiarare che non c'è alcun senso che sia davvero reperibile.
E in effetti il senso è come la fame che si avverte non quando si è sazi, ma quando manca il cibo. È l'esperienza del negativo a promuoverne la ricerca, è la malattia, il dolore, non la felicità, sul cui senso nessuno si è mai posto domande. Lamentare la mancanza di senso significa allora lamentarsi del dolore, della malattia, della morte, per cui "senso" è una parola nobile che nasconde solo il rifiuto da parte dell'uomo dell'esperienza del negativo, la non accettazione della propria finitezza, del proprio limite, a cui la religione risponde rinviando all'essenza "creaturale" e perciò "finita" dell'uomo, mentre l'ateismo risponde in termini di scienza e di tecnica, pensate come "rimedio" al negativo. In entrambi i casi è l'esperienza del negativo a promuovere la domanda intorno al "senso", che dunque ha una matrice del tutto antropologica. Essa nasconde il rifiuto da parte dell'uomo dell'esperienza del dolore, che gli antichi Greci accettavano come componente imprescindibile della vita, mentre i seguaci della tradizione giudaico-cristiana rifiutano o accettano solo se in prospettiva c'è una compensazione in paradiso. La ricerca del paradiso, artificiale o soprannaturale che sia, è la prova provata che la nostra vita non ci appare davvero piena di senso.“
16 - Da “Questioni etiche/Nuovi comportamenti“ di Umberto Galimberti
“( … ) Dal disincanto del mondo, che libera ogni evento come assoluta e continua novità perché non c’è una trama di sensatezza che ne pregiudichi l’immotivato accadere, dall’instabilità di tutti i principi etici che prima lo definivano e lo governavano, nasce un paesaggio insolito, simile allo spaesamento, in cui si annuncia una libertà diversa: non più quella del sovrano che domina il regno, ma quella del viandante che al limite non domina neppure la sua via.
Il posto lasciato vuoto dall’etica viene subito occupato dalla religione. Non dalla religione che, sulla traccia del ‘Discorso della montagna‘ si prende cura degli afflitti, dei miti, di quelli che hanno fame e sete di giustizia, dei misericordiosi, dei pacificatori, dei perseguitati, ma la religione che si propone come ‘agenzia morale‘ che in modo ‘non negoziabile‘, come a più riprese ci ricorda Papa Ratzinger, dà le sue prescrizioni in ordine alla morale sessuale, alla contraccezione, alla fecondazione assistita, all’impiego delle cellule staminali, all’aborto, al divorzio, ai patti civili di solidarietà, al testamento biologico, all’eutanasia, fino alla richiesta di finanziamento alle scuole private.
Proponendosi come agenzia morale, e parlando comunque in nome di Dio, l’etica promossa dalla religione non ha più in vista ‘il primato della persona‘ (come nell’indicazione di Gesù che aveva cura dei pubblicani e delle prostitute ancor più dei giusti, del figliol prodigo ancor più del figlio fedele), ma la ‘difesa dei principi‘, dimenticando il monito di Kant che a più riprese ci ricorda che ‘i principi sono fatti per l’uomo, non l’uomo per i principi‘.
L’etica promossa dalla religione non può diventare un’etica da tutti condivisa. E questo non tanto perché esistono anche i laici che seguono condotte morali a prescindere dall’esistenza di Dio, ma perché la cultura religiosa, come vuole l’insegnamento di Agostino, subordina la ‘città terrena‘ alla ‘città celeste‘, per cui all’individuo va il compito di conseguire la propria salvezza ultraterrena, allo Stato, a chi lo governa, il compito di ridurre gli ostacoli che si frappongono a questa realizzazione.
Nel pensiero cristiano morale individuale ed etica pubblica divaricano, perché la destinazione dell’individuo non ha più parentela con la destinazione della società. Questa è la ragione per cui Rousseau scrive: ‘Il cristiano è un cattivo cittadino. Se nella società fa il suo dovere, ciò è un dato di fatto ma non di principio, perché per il cristiano è essenziale il paradiso‘.Quando poi verrà meno la fede nel paradiso, non per questo si resuscita la morale civile mai coltivata. ( … )“
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