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Frenzifré e il labirinto
Mario Amato
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Molti anni or sono accadde che gli uomini cominciarono a considerare inutile la pratica delle madri di raccontare storie: dapprima essi deridevano quelle donne che narravano favole ai pargoli, poi le beffe scemarono e subentrarono i rimproveri e le scenate d’ira, infine qualcuno che si era assunto l’onere del comando vietò ogni forma di racconto.
Tutti i personaggi delle storie piansero, ma sapendo di non essere più graditi alla maggioranza dei potenti, fuggirono e si nascosero in antri, boschi e spelonche. Forte era il timore di essere trovati ed allora posero fra i loro nascondigli e gli uomini mille e mille labirinti, in modo che chiunque li avesse cercati si sarebbe perduto e avrebbe girato all’infinito.
Nel mondo dunque più nessuno raccontava storie, ma i bambini non sorridevano e le madri erano tristi e sempre accigliate.
Oh certo, in fondo al cuore ardeva sempre una fiamma che spingeva le donne ad avvicinarsi ai loro cuccioli, quando costoro a sera non riuscivano a prendere sonno, ma la lingua rimaneva muta e soltanto le mani si prodigavano in carezze.
I bambini sollevavano i grandi occhi, li spalancavano nell’attesa di quelle prime parole che esistono in tutto il mondo, che sono parole d’amore, ma le donne avevano paura di pronunciare la frase “c’era una volta…”.
La notizia della tristezza dei bambini attraversò tutta la terra, entrò in tutti i labirinti e giunse fino ai personaggi delle fiabe, i quali si riunirono e compresero che era necessario il loro ritorno.
Come fare? Nessuno di loro poteva lasciare il proprio rifugio, perché la cattura era probabile e la sorte incerta e poi nessuno era sicuro di ritrovare la strada attraverso i cunicoli delle caverne e poi nel dedalo di sentieri e le intricate strade dei boschi.
Il concilio di quei fantastici personaggi era alquanto tumultuoso: re e regine, principi e principesse di ogni colore, fate cattive e streghe buone, maghi e gnomi, elfi e spiritelli, lupi e orsi, insomma tutti gridavano la loro idea, e le voci si confondevano, si coprivano a vicenda, creando un ulteriore labirinto di suoni e rumori che saliva fino al cielo, importunando la quiete del firmamento.
Il sole, la luna, le stelle, i pianeti e tutti gli altri esseri celesti tesero l’udito, ma non riuscivano a comprendere una sola parola, ed allora chiesero al tuono di intervenire.
Costui fu ben felice di esprimere la sua disapprovazione a quelle creature terrestri ed emise il boato più fragoroso che mai si fosse udito: SILENZIO!!! Naturalmente soltanto i personaggi delle fiabe poterono udirlo e tacquero all’istante.
“Parlate uno per volta” disse il tuono, ed ognuno di quegli esseri iniziò a parlare. Il tuono comprese allora di dover nuovamente dire la propria e gridò più forte della volta precedente “Parli il re se è re!”.
Un re con tanto di mantello, corona e scettro avanzò al centro dell’assemblea, ma subito altri re di altre fiabe avanzarono a loro volta, perché ognuno di loro si sentiva re di quel consesso.
Il tuono stava perdendo la pazienza: “Che tacciano tutti! La prossima volta farò un tale rumore da far tremare la terra e da farvi diventare tutti sordi e muti. Che tutti i re tornino al loro posto. Che parli quella bambina”. Una nuvola fece cadere una goccia, una sola goccia, di pioggia su una bambina.
La bambina –forse si chiamava Alice- prese la parola: “Credo che nessuno di noi possa andare nel mondo reale e riportare le storie, ma credo che sia possibile il contrario”.
Gli astanti chiesero quasi in coro ed ognuno nella sua lingua “Che significa?”.
“Vuol dire” spiegò la bimba “che un essere del mondo reale deve venire a prenderci e portarci con sé nel viaggio di ritorno”.
“E c’è un eroe simile? Non è forse trascorso il tempo degli eroi e delle leggende? E come si fa a comunicare con questa creatura reale?”.
La bambina sospirò “Non siamo forse noi esseri delle fiabe, nati dalla fantasia e dall’amore. Se dubitiamo noi delle possibilità della fantasia, non abbiamo più speranze e non le hanno neanche i bambini veri”.
Alice s’intendeva certamente di meraviglie!!!
“E allora, sapientona, come si fa?”.
La bambina guardò verso la nuvola dalla quale era caduta la goccia: “Guardate quella nuvola. Mettiamo il nostro messaggio dentro di essa ed il vento lo porterà ad un bambino”.
Tutti gli altri personaggi si guardarono a vicenda con aria stupefatta ed incredula e qualcuno obiettò, perché c’è sempre qualcuno che obietta. “E come facciamo a mettere un messaggio in una nuvola”
La piccola replicò ancora “È una fiaba anche questa! Un po’ di fiducia”
Ed un altro che aveva qualcosa da ridire “Come facciamo a salire fino alla nuvola? Non esiste una scala così alta”.
Intervenne una cicogna “Volo io fin lassù!” e prese il messaggio, aprì le sue grandi ali, raggiunse la nube e lasciò scendere l’ambasciata, senza dimenticare di raccomandare la massima prudenza, affinché nessuna parola cadesse nel viaggio.
Tutti i personaggi avevano gli occhi rivolti verso il cielo ed anche pieni di lacrime e speranze.
La nuvola tuttavia non si muoveva, perché non tirava un alito di vento.
La cicogna planò vicino ai sette nani e si rivolse a quello che portava il nome del re dei venti “Eolo, tocca a te. Parla al personaggio da cui hai preso il nome e spiegagli tutto”.
Eolo, l’amico di Biancaneve, si recò dentro una caverna e quando ne uscì molto tempo dopo fu rimproverato
“Quanto tempo hai impiegato? ”
“Mi sono recato fin dove nascono i venti” disse soddisfatto e annunciò “La nuvola è in viaggio. Il mio omonimo ha chiamato tutti i venti: Tramontana, che soffia da Nord e attraversa le gole montane, Grecale che proviene da Nord-Est e reca il ricordo di antiche civiltà, Levante che nasce da Est e porta con sé il colore dell’aurora, Scirocco che giunge da Sud-est e riscalda le sere di primavera, Austro che arriva da Sud e si sente soprattutto a mezzogiorno ed a mezzanotte, Libeccio che perviene da Sud-ovest ed ha il profumo di terre remote, Ponente che ha il nome del luogo ove nasce e si sente soprattutto quando si guardano i bei tramonti, maestrale che arriva da Nord-ovest ed è fratello di Ponente” e non contento di questa spiegazione Eolo si mise a disegnare la rosa dei venti sul terreno con i relativi nomi e tanto altro.
“Va bene, va bene. Forse avrai finito di disegnare quando questa storia sarà terminata” disse Brontolo, fratello di Eolo, e tutti risero.
Anche nelle situazioni difficili un po’ di buon umore non fa male!
La nuvola, sospinta da tutti i venti suddetti, aveva iniziato il suo difficile viaggio, sorvolava oceani, catene montuose, boschi, città e campagne, villaggi e paesi e tendeva l’udito per scoprire se al mondo vi fosse ancora un solo bambino capace di credere alle storie e vola, vola, vola infine udì qualcuno che raccontava una fiaba, la prima fiaba inventata al mondo.
Pian piano la nuvola scese e vide un bambino che, solo solo (come dicono proprio i bambini), raccontava a sé stesso.
Ascoltiamo la conversazione tra la nube e il piccolo:
“Come ti chiami, bambino”
“Mi chiamo Frenzifré”
“E chi sei? ”
“Sono anch’io il personaggio d’una e più storie inventate, anche se non sono famoso come altri, ma questo non ha alcuna importanza. È importante invece che le storie siano belle da raccontare”
“Che cosa fai? ”
“Lo sai, bella nuvola, nessuno racconta più storie ed allora io me le narro solo solo (come dicono proprio i bambini) ”.
“Ho un messaggio per te” disse la nuvola, lasciò cadere tutte le parole e svanì.
Non era un messaggio scritto, né si poteva udire come si odono normalmente le voci, ma Frenzifré ascoltò il battito di tutti i cuori dei personaggi delle fiabe che speravano in lui ed anche di tutte le madri che desideravano raccontare storie.
“Bisogna mettersi in viaggio” pensò “Ma verso dove?”; non aveva ancora finito di formulare questo interrogativo nella sua mente quando ecco che la nuvola apparve di nuovo
“Ti guiderò io, ma non per tutto il viaggio. È un cammino lungo e lungo le strade troverai altre indicazioni ed altre guide. Bada! Ho detto strade e non strada! Hai paura?”
“E chi non ha mai paura? Andiamo” rispose Frenzifré.
La nuvola chiamò una venticello di primavera, un amico di tutti i poeti e Frenzifré iniziò l’impresa seguendo quell’immagine a volte grigia, altre bianca, altre ancora rosa.
Il cammino fu dapprima facile, poi però cominciò una serie di colline e poi montagne, e ancora Frenzifré attraversò boschi, guadò ruscelli e costeggiò grandi fiumi fino a quando giunse vicino alla linea dell’orizzonte – non dimentichiamo mai che si tratta di una fiaba – sotto ad un grande arcobaleno, vale a dire sotto all’arco formato da sette fasce concentriche con i colori dello spettro solare che si forma nel cielo quando la luce viene scomposta dalle gocce della pioggia sospesa nell’atmosfera.
Il bambino non aveva mai visto l’iride tanto da vicino e restò a bocca ed occhi spalancati nel vedere quei sette colori: porpora, indaco, blu, verde, giallo, arancio, rosso.
L’arcobaleno non aveva la facoltà di parlare, ma prolungò i suoi sette colori e Frenzifré comprese che doveva oltrepassare la vivace curvatura e così fece, con l’animo in apprensione.
I variopinti prolungamenti lo accompagnarono fino a quando apparve un altro arcobaleno.
“Che strano” pensò Frenzifré “Ho appena varcato l’orizzonte e lo trovo nuovamente di fronte” ed ebbe la tentazione di guardare indietro, ma non lo fece, memore di una leggenda che proibiva ad un eroe di girarsi. Questo divieto non riguardava Frenzifré, ma era inutile rischiare.
Il bambino comprese di trovarsi davanti ad un riflesso e pensò che dinanzi a lui c’era uno specchio; le strisce colorate che lo avevano guidato sparirono e Frenzifré scorse un labirinto fatto di mille e mille specchi, come si trovano nei parchi dei divertimenti.
Mille e mille immagini di sé stesso stavano di fronte a lui, ma non riflettevano la sua figura reale, piuttosto la deformavano ed egli si vedeva ora altissimo, ora magro o grasso, o spezzettato e così via.
“Chissà se uno di questi specchi sa parlare” rifletté (non nel senso di riflesso, ma nel significato di meditare) ed entrò.
Dopo aver molto vagato, Frenzifré stava per abbandonare ogni speranza, quando chiese “Specchi, c’è qualcuno di voi che sa dov’è l’uscita”
Una voce – è difficile dire da quale di quelle lucide superfici provenisse – parlò “Rifletti!” e le altre specchiere risero a quella esortazione “Quando troverai te stesso, allora sarai giunto all’uscita”.
Frenzifré girò ancora e ancora fin quando non gli parò innanzi la sua immagine reale e poté finalmente uscire all’aria aperta, proprio all’aria aperta in un bel prato verde, ma chiuso in fondo da un bosco, il quale era ad un tempo ordinato e caotico, poiché anche questo era un labirinto.
“Ancora un guazzabuglio” rimuginò Frenzifré “Si deve continuare”.
Come erano belli quegli alberi, alti, verdi, maestosi. I sentieri fra le piante erano ora stretti, ora ampi come strade maestre, ma Frenzifré ricordò che aveva sentito affermare che non sempre la via più comoda e più facile è quella giusta.
Molto vagò nel rigoglioso dedalo tra viottoli e stradine e spesso si ritrovò all’entrata, ma l’ennesima volta che tale circostanza si verificò, il bambino ricordò la fiaba di Pollicino e raccolse molte pietruzze lasciandole cadere, in modo da non percorrere mai una seconda volta lo stesso itinerario. Grazie ad una fiaba il bambino rinvenne l’uscita.
E qualcuno tempo fa’ ha affermato che le fiabe non sono utili né ai bimbi, né ai grandi!
Erano forse finiti i labirinti? Macché!
Frenzifré era ora giunto all’entrata di una caverna, che appariva oscura e scendeva verso il basso. Non si poteva lasciare una scia di pietre, perché si sarebbe confusa con gli altri sassi e poi era troppo buio.
Frenzifré ricordò la prima storia che aveva udito sui labirinti e tirò un filo di quello che era – prima del viaggio – il suo bel vestito nuovo. Fu così che il bambino giunse alla strada giusta, fra quei tenebrosi cunicoli.
“Questa caverna faceva proprio paura. Forse il viaggio è finito” sperò dentro di sé Frenzifré, ma mentre diceva queste parole fra sé si rese conto di trovarsi dentro un altra intricata trama di strade.
“Non ho neanche visto da dove sono entrato. Come farò adesso?” si domandò in bambino e s’appoggiò ad una parete, lasciando il segno della sua mano.
Egli capì che quel nuovo groviglio era costruito sul disegno di una sua impronta.
La studiò attentamente ed uscì, anzi entrò.
Si! Entrò in un nuovo viluppo, fatto questa volta con le lettere dell’alfabeto. Era certamente il più complesso labirinto che si potesse immaginare, perché quei caratteri non solo si trovavano uno ad uno, ma formavano tutte le parole esistenti in tutte le lingue del mondo.
Qual era dunque la soluzione a questo nuovo enigma? Essa doveva trovarsi in una storia molto antica. Frenzifré riesaminò tutte le storie che conosceva e ricordò di una porta, in qualche luogo, sulla quale era inciso il motto “Conosci te stesso”.
Il bambino raccolse le lettere che formavano il suo nome, uscì e finalmente non fu più solo, perché si trovò in mezzo ai personaggi delle fiabe, a quelli che cercava e che lo avevano aiutato in questa strana impresa. Non fu più solo, perché nessuno vive soltanto per sé stesso.
In tal modo le storie tornarono ad essere raccontate, per la felicità delle madri e dei bambini…
Ed anche per il divertimento di chi le scrive…
settembre 2005
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