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Tra autostrade e sentieri di montagna
Antonio Limonciello
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Mi si chiede cosa intendo con parole troppo generiche come sperimentazione, quali sarebbero i soggetti che dovremmo prendere in considerazione, ecc...
Sinceramente non saprei cosa rispondere, per ora è solo una prorompente necessità interiore di uscire fuori, di trovare nuovi contesti, di sottoporre a verifica le certezze.
Comincio col chiarire i contorni.
La scuola, in quanto istituzione di uno stato chiamato a scelte che non possono sottrarsi alle compatibilità della globalizzazione, darà sempre meno spazio e risorse alle sperimentazioni e ricorrerà sempre più a format (sì, uso deliberatamente il termine che viene dai media) acquisiti sul mercato mondiale, dove chi ha più risorse sperimenta davvero e poi impone i suoi modelli culturali, nei quali sono compresi i modelli scolastici.
E qual è la logica che sta dietro alle riforme che in tutto il mondo si stanno attuando? La logica che vuole positiva la retta che unisce 2 punti: se sei in A e devi arrivare a B, la strada migliore è la più breve, cioè la retta che unisce i due punti.
È un pensiero economico, non importa cosa vuoi vivere lungo la strada, importa che tu arrivi nel modo più economico possibile.
È l'autostrada, ché forse ci sono strade migliori delle autostrade?
Ecco il punto, un sistema scolastico è sempre più solo un aspetto della capacità di essere competitivi a livello globale.
Dei bambini, degli adolescenti, di ciò che desiderano e vogliono vivere in quella età importa sì, ma solo per sfruttare le emozioni ai fini dell'economia del processo di apprendimento.
Non si può essere contro l'aziendalizzazione della scuola e poi assumere come base dei processi di apprendimento la pedagogia scientifica, il taylorismo scolastico, non si può essere contro la riforma e volere gli accertamenti INVALSI (a parte che sono di una schifezza unica).
La logica, e soprattutto la scuola che si realizza, sono le stesse.
Pedagogia rispettabilissima, ma per favore, capiamo da quale necessità è partita e per che cosa lavora.
Si dirà, ma se non rispondiamo al mercato, succederà proprio quello che si vuole esorcizzare, si chiuderà la scuola.
Questo è possibile solo se compatibile.
E se io voglio godere il panorama?
E se io voglio esplorare minuziosamente il territorio che attraverso?
E se io voglio andare a piedi?
La lotta per una sperimentazione vera, per esempio, è una lotta che prescinde dalle compatibilità economiche, è lotta per l'autonomia, per il pluralismo, per la diversità, per la creatività e la libertà culturale.
Sono 50 anni che noi corriamo appresso ai modelli anglo americani, io non li rifiutai, li usai, li sperimentai e li andai pure a proporre in corsi di aggiornamento in cui ero chiamato. Dunque non parto da un rifiuto a priori e non nego neanche che non ci sia del buono, ma il punto oggi non è questo.
Il fatto è che se io accetto il terreno INVALSI, vuol dire aver già accettato la scuola attuale come modello insostituibile.
Porsi le problematiche della riforma Moratti vuol dire rimanere impastoiati nel discorso delle compatibilità economiche della globalizzazione. Vuol dire rimanere nell'agenda delle priorità che la globalizzazione impone a tutto il mondo.
Ma la globalizzazione non è un evento naturale, è frutto di politiche, di interessi geopolitici.
Naturalmente voler operare in questo contesto, volersi misurare con la globalizzazione, non solo è legittimo ma merita rispetto. Purché non si creino quei mix incomprensibili dove si pensa di stare da una parte e invece, nostro malgrado, si sta da un'altra.
Io, che con questo mi sono misurato per tutti gli anni ‘80 e per buona parte dei ‘90, oggi vorrei occuparmi di altro, di un'altra scuola, quella che preferisce le strade tortuose ma panoramiche.
Ma questa scuola non c'è, e nessuno se ne occupa.
Non abbiamo tempo di ricercarla, siamo già da tanti anni assorbiti dalle priorità che ci hanno imposto.
E siamo così eterodiretti che quando è arrivata un po' di autonomia, l’abbiamo più o meno adattata alla stessa scuola che già facevamo.
È vero o no?
Siamo chiusi nelle nostre istituzioni, scuole, sindacati, associazioni, partiti. Il mondo, molto mondo, è altrove e non ci arriva, anzi noi ne ignoriamo l'esistenza.
Cosa potremmo fare nelle nostre scuole, nei nostri orari, nei nostri corsetti pomeridiani?
Ci imporranno sempre più tempistiche, ritmi, modalità, sarà sempre più regno di procedure, di standard.
Io credo che dovremmo cercare fuori dalla scuola.
Dovremmo essere umili e caparbi, dovremmo ricominciare da capo, non tanto perché dobbiamo rinunciare a tante cose buone che siamo, quanto come mentalità, come approccio al problema scuola.
Riguardo al didaweb e al suo ruolo.
Apriamo alla non scuola, se ancora ce n'è. Apriamo spazi per provare fuori dagli schemi, che non vuol dire automaticamente fuori dalle istituzioni, ma certamente anche fuori di esse.
Proviamo a promuovere e raccogliere esperienze e soggetti.
14 aprile 2005
in scuola "extra moenia": |
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