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Memorie di un insegnante, ventitre.
Aldo Ettore Quagliozzi
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La bella e vivace prosa di Maria Corti, tratta da alcune pagine del suo volume “Il ballo dei sapienti“, introduce alle disumane vicende burocratiche cui si sono dovuti sottomettere i malcapitati cittadini che abbiano voluto intraprendere la fatica dell’istruire nella scuola pubblica italiana.
Le cose raccontate sembrano fuoriuscire dalla diabolica penna di un creatore di trame surreali, al limite quasi dell’inverosimile; in verità, tutta l’architettura burocratica della scuola pubblica italiana ha al suo interno un ché di diabolico e perverso, per le quali cose riesce sempre ad essere immodificabile nelle sue strutture e nei suoi perfidi procedimenti.
“( … ) A metà corridoio siede un vecchio usciere, pacifico.
"Scusi, il capodivisione?" chiede Beretta.
"Se vuole aspettare, prima o dopo viene."
"Mi riceverà?"
"Dipende. Se ha da fare, se ha l'umore. Comunque, tentare non nuoce."
Passa una bella ragazza ancheggiante.
"Eh, si vede un po' di mondo pure da qua" dice l'usciere.
Beretta si siede su una panca. Passano avanti e indietro professori in cerca del dottor Tizio, del dottor Caio, ma anche quelli non ci sono: o non sono venuti o sono "fuori posto", come dice l'usciere.
Svariati ministeriali con plichi e cartelle escono lemme lemme da un ufficio, chiacchierano nel corridoio, entrano in un altro.
"Ci vogliono anche i Ministeri" sospira fra sé Beretta.
Chi era quel tale che si domandava a che gli era servita Santippe a Socrate?
Il capodivisione balza dall'ascensore gridando con voce adirata all'usciere di non far entrare assolutamente nessuno. Capito? Nessuno, per nessuna ragione.
L'usciere richiude la porta, si gratta una spalla: "Avete sentito voi stesso. Provate a tornare domani".
"Ma domani riceverà?"
"Eh, come no?"
"Siete sicuro?"
"Sicuro no, ma è facile. Non ha ricevuto oggi."
Viale Trastevere, Ma l'incubo del Ministero accompagna Beretta in largo Argentina, al Pantheon, entra in lui nel letto dell'albergo Bologna, fissandosi nella regione addominale.
L'indomani alle dieci, ora d'ingresso, solito corridoio in direzione della solita panca.
"C'è" gli dice l'usciere appena lo vede "a mezzogiorno riceve."
"Ma se sono appena le dieci. Devo restare qui due ore?"
"Come gradite, Però se ve ne andate, perdete il posto, senza dire che può essere si liberi prima e vi riceva prima. Chi può sapere?"
Daccapo passaggio nel corridoio di professori, ministeriali, uscieri. Dopo un poco arrivano due dall'accento piemontese in cerca del capodivisione, sentono che bisogna aspettare fino alle dodici, trasecolano, sacramentano; Beretta li guarda con l'aria di chi già si è acquisita un'esperienza.
La prima impressione che dava il Ministero era quella di un luogo dove tutti fossero occupatissimi, e quelli che non c'erano, si trovassero in segrete, inaccessibili stanze di consiglio, intenti a discutere questioni urgenti e fondamentali. La seconda impressione invece portava ad auspicare immediate riforme.
"Avanti il primo" la voce dell'usciere, finalmente, li capodivisione ha un fare sitibondo di giustizia e fulmina Beretta con lo sguardo.
Dice che per conto suo, primo: le riduzioni d'orario sono un'istituzione rovinosa per la scuola media, da combattersi energicamente. Secondo: le università vogliono prendersi dei professori di scuola media come incaricati? Bene, ci pensi la Direzione Universitaria a pagare un comando o una riduzione. Perché deve essere danneggiato il bilancio della Direzione Classica? "Perché noi dobbiamo buttare i soldi dalla finestra?" Chiaro? Per chiaro è chiarissimo e Beretta risponde che ci pensino tra loro le Direzioni a mettersi d'accordo; che cosa può fare un povero diavolo come lui, se non chiedere che ci sia al mondo il tempo per scrivere dei libri?
"Io non ho niente con lei in particolare, né col fatto che lei scriva dei libri, s'intende. E' l'istituzione che non va. Io non so nemmeno se lei e il suo collega Monaldi ci sono o no nella lista; la lista si confeziona nel Gabinetto del ministro, da dove passa alle varie Direzioni Generali."
Suona un campanello, compare l'usciere.
"Accompagni il professore nell'ufficio di Luceri o di Torna."
Si rivolge a lui: "Là saprà se loro sono o no nella lista".
Appena usciti, l'usciere a fargli l'occhio: "Eh, Luceri, quello è andato a un matrimonio. Glielo dico io, per oggi non si vede".
"Allora vado da questo Torna."
"Quinta porta a destra, ma non diventi nervoso, professore; a che serve?"
"Beh, grazie tante" dice Beretta passandogli la mancia.
"Città simpatica, Milano, tutta industrie, e appena uno si ferma, crepa, no?" scuote il capo nascondendo la mancia, e torna a sedersi dietro il suo tavolo, a godersi lo spettacolo della nazione che passa, quelli che cominciano il giro dei corridoi e quelli che lo finiscono, stampato in faccia se gli è andata bene o male, nord, sud, sto fottuto mondo, i pallidi, i rossi, i neri, ansimanti, borbottanti, quelli che danno mancia e quelli che non la danno, che vogliono tutto per diritto, credono di saper svegliare i morti. Tutta 'sta musica italiana, dopo qualche giorno però imparano.
Il dottor Torna dice con sussiego che lui non ne sa niente, ma che ormai le concessioni di riduzione devono essere già partite per i Provveditorati. Provi al piano inferiore, in fondo al corridoio a destra, dove avvengono le spedizioni dei nulla osta.
Beretta al piano inferiore gira affannosamente per quattro corridoi in cerca dell'ufficio e alla fine si trova al punto di partenza, presso la scala.
Irritato, stracco si sbatte su un piccolo divano in legno scuro, situato sotto una finestra. Spalanca in silenzio gli occhi su un usciere.
"Il signore cerca qualcosa?"
"L'ufficio spedizione documenti e nulla osta."
"Sesta porta a destra, ma deve aspettare perché sono andati al bar a bere il caffè."
Fascino delle scale, andarsene e non pensarci più. No era una sciocchezza; da qualche parte l'incantesimo doveva esserci. Ricomincia a considerare il Ministero in generale, le leggi del labirinto dai cento corridoi e mille porte. Dava a prima vista l'impressione di un mondo che fosse stato organizzato in modo funzionale, ma che per qualche mutamento di cose non ce la facesse a funzionare. E invece a un più attento esame le cose non stavano così; come dire che le strutture apparivano create per essere inservibili, ma tuttavia precise e minuziose, persino raffinate. Un ufficio giustificava l'esistenza di quello accanto, questo del successivo; e l'insieme giustificava il passaggio di mesi perché un certificato facesse il giro dei lunghi corridoi e relative porte. A prendere pratica dopo un po' si provava quasi piacere, tanto si giustificava tutto, un tutto che non serviva a niente, naturalmente. Difatti i furbi lo scavalcavano. Ma come?
L'impiegato è di ritorno dal bar, Beretta viene ammesso nell'ufficio. Spiega il suo caso, ma l'altro, invece di fargli attenzione, si volta, dà svariati ordini alle due segretarie; c'è un cumulo di nulla osta da spedire in giornata.
"Si accomodi" dice alla fine "e attenda un attimo."
Stanza alta e grande, dove tutto è impolverato, disgustosamente tetro e ciascuno fa il suo lavoro senza curarsi di Beretta. Le scrivanie delle segretarie talmente piene di incartamenti, che l'idea di rintracciarvi una pratica ha del miracoloso. Il capo ufficio gironzola per la stanza, d'un tratto esce; voce di una delle due ragazze dietro la scrivania: "Scusa se ti ho lasciato tanto all'apparecchio; sai prima non potevo parlare, c'era il capo... Ah sì? Ma era il mio parrucchiere?… Strano, non ho mai sentito che la lacca dei capelli faccia andar giù la voce... Come? Allergia?".
Il capo rientra, stanza daccapo immersa nel silenzio.
"Eccomi a lei. Vuoi ripetermi come stanno le cose?" Beretta ripete.
"Lei deve considerare la seguente circostanza" declama l'impiegato: "i nulla osta per riduzioni o comandi non vengono emessi in un'unica ondata. Mi spiego. Vi sono concessioni pressoché automatiche, che partono all'inizio dell'anno scolastico; il suo caso ovviamente non è fra questi, altrimenti lei non sarebbe qui a chiedere informazioni."
"Eh no, è una domanda nuova, fatta per la prima volta quest'anno."
"Bene. Per le autorizzazioni nuove, vi è una data, se così vogliamo dire, ufficiale, corrispondente a quella dell'apposita riunione, presso il ministro, del suo capogabinetto e dei direttori generali, riunione nella quale si fissano e definiscono le nuove autorizzazioni."
"Ecco" ansioso Beretta.
"A questo punto dovrei forse precisare che in certi anni e sotto certi ministri la data dei rinnovi coincide con quella della nuove concessioni."
"E quest'anno?"
"No, quest'anno non ha coinciso. La formazione del nuovo governo ha rallentato l'espletamento delle mansioni ministeriali. "
"Ma questa seduta c'è già stata?"
"Sì, circa due settimane fa."
"Allora sono già partite le autorizzazioni?"
"In buona parte, non tutte ovviamente" sottolinea il capo ufficio.
"Quindi la mia e quella di Monaldi potrebbero esse tra quelle non ancora partite."
"Per l'appunto."
"Ma cosa devo fare per saperlo?"
"Andare dal capodivisione della Direzione Classica."
"Ma ci sono già stato. Mi ha mandato dal dottor Torna, che mi ha mandato da lei."
"Ah, è già stato? Allora io non saprei proprio cosa dirle, professore. La sua pratica qui non è arrivata."
"Ma che storia è questa? Qualcuno dovrà ben sapere se noi abbiamo o non abbiamo avuto la riduzione d'orario. "
"Certamente, non io però."
Scale che scendono al pianterreno, benedette, amabili scale della liberazione, gli piace quasi sentire sotto il marmo biancastro dei gradini. A questo punto interviene la Provvidenza, una stella, diurna, che brilla dentro i panni del cattedratico romano grassoccio, sale le scale fino a trovarsi sullo stesso gradino su cui posa il piede Beretta.
"Cosa fa lei qui?" grida la Provvidenza con voce gioviale.
Beretta slarga gli occhi: "Cercavo di avere notizie della riduzione d'orario mia e di Monaldi, ma tutto è andato a vuoto."
"Ve l'hanno negata?"
"E chi lo sa? Non si capisce niente..." L'altro aggrotta le sopracciglia, scoppia in una risata: "Venga con me".
Daccapo al piano della Direzione Classica, daccapo corridoi, porte, usci, ma questa volta tutto a velocità supersonica. Per esempio, il cattedratico romano fa addirittura a meno degli uscieri, il cui unico compito sembra essere quello di inchinarsi a lui e salutarlo calorosamente; dice "Permesso?" nell'aprire le varie porte, entra, dice "Carissimo", "Carissima!" e in due minuti esce con un sacco di notizie.
Cosi Beretta viene a sapere che la riduzione d'orario non è stata concessa né a lui né a Monaldi, però anche altre riduzioni non sono state concesse, le quali di lì a un po' certamente saranno concesse; campo, dunque, ancora libero all'azione.
Il cattedratico romano comincia a prenderci gusto, propone a Beretta di accompagnarlo dalla signora che si fregia del nome famoso di Torielli, Gabinetto del ministro: "Il diamante si taglia col diamante" dice.
La signora Torielli é una donna bella, alquanto pallida, elegante, molto molto profumata; si muove lentamente, essendo una bellezza formosa, ma ha sguardo ardito e sicuro. Quando loro entrano, saluta con cenno confidenziale il cattedratico, mentre parla dentro la cornetta del telefono:
"Ma è stato dal Provveditore? No? Ci vada perbacco con quella presentazione, ma prima mandi una cosina tipo corbeille di rose alla moglie. Già fatto?… Ah, sì, sì, meglio ancora dei fiori. Benissimo. Mi faccia sapere poi…".
"A cosa devo il piacere della visita?" occhio esercitato fisso su Beretta.
Fra lei e il cattedratico c'è un'intesa meravigliosa, stessa testa sulle spalle, stessa aritmetica dei valori, stesso piacere di essere al mondo. Lui spiega, lei capisce, non mostra la minima sorpresa.
"Perché non è venuto un mese fa?" domanda a Beretta. "La vita è un teatro e bisogna prenotare i posti in tempo.."
"Ho creduto che bastasse la domanda."
"Eccezionale fiducia nella carta da bollo" lei magnanima.
"Avevo spiegato nella domanda la mia posizione di studioso danneggiata dai due insegnamenti."
"Questo non conta. Lei sarà uno studioso, ma la cosa non può contare burocraticamente, capisce? "
"Credi che ce la farai?" chiede il romano.
"Credo di sì", lei ammicca.
"Col nuovo direttore generale del classico va meglio, dicono" occhiata d'intesa.
"Oh, quello di prima era un radicale specializzato in nauseanti teorie etiche. Questo non si può, quest'altro è illegale, quest'altro non è corretto. Un moralista. Figurati, qua dentro."
"La mia cara cinica!"
"Fammi il piacere, perché dovrei essere cinica? Io correggo semplicemente un po' le leggi, aiutando quelli che ricorrono a me. A volte sembrerebbe quasi impossibile, sai, ma non c'è niente di impossibile. Anche questo l'ho imparato qua dentro. Tutto si muove su e giù, e tu ti inserisci al momento giusto."
Quando sono in corridoio il romano dice a Beretta:
"Veda di mandarle a casa una bottiglia di profumo o che so io; le donne, sa, sono sensibili a queste sciocchezze." ( … )“
aprile 2005
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