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"Racconti" di Anton Cechov
Edizione:La biblioteca di repubblica
Paolo Losasso
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Quello che salta agli occhi nella lettura dei racconti contenuti in questo elegante volume antologico, è senza dubbio la loro straordinaria freschezza e attualità. Per uno scrittore nato nel 1860, si tratta ovviamente di uno di quei pregi che contribuiscono a collocare tranquillamente la sua opera tra i classici della letteratura. Merito, dunque, di una scrittura nitida, efficace, priva di fronzoli, profonda e che non si abbandona o si perde in minuzie descrittive, senza per questo risultare poco esauriente. Cechov, con un vocabolario scarno, conciso e al tempo stesso ricco,ci conduce nel cuore della narrazione.
Prima che la nostra immaginazione incominci a porsi domande sul dispiegarsi della trama, inavvertitamente, siamo già proiettati nel fulcro di vicende mai create con un intento didascalico tale da essere il tramite per fare emergere una morale precisa, un'unica chiave di lettura.Alcuni racconti rendono meglio questo concetto e addirittura ne accrescono il significato, come in "Una storia noiosa" dove il finale anziché offrirci un epilogo che giustifichi l'intero racconto, (non a caso i critici hanno citato per contrapposizione "La morte di Ivan Il'ic" scritto da Tolstoj), lascia il lettore in balia della meditazione, in una sorta di limbo della coscienza dove la riflessione si protrae oltre i limiti del previsto in una consuetudine di carveriana memoria. Il professore universitario colpito da un male incurabile che si vede abbandonato e incompreso dalla famiglia e dal suo ambiente lavorativo e che trova conforto esclusivamente dalla frequentazione di una sua figlia adottiva, si conceda dalla vita in una solitudine esistenziale che non è rischiarata dalla fede. Tolstoj, nel racconto citato, forniva una consolatoria e riscattante ancora di salvezza, Cechov, con un crudo realismo, chiude il suo racconto in una specie di pessimismo senza sbocco, espresso principalmente da una cinica, triste incertezza.
Di grande bellezza, con un senso che sfocia quasi in una verità paradossale, è "Il reparto n.6", ispirato a una esperienza vissuta dall'autore.Il medico che lavora in una clinica dove i matti vengono maltrattati e tenuti in uno stato di assoluto degrado, ci rimanda alla storia recente, prima della chiusura dei manicomi, dove i ricoverati, come è ormai risaputo e documentato da varie fonti, erano costretti in condizioni disumane di totale gravità. Soffocato in una città di provincia, il medico si accorge presto di essere solo una parte di un ingranaggio malefico più grande della sua possibilità di reazione.Egli sarà travolto da questa consapevolezza e finirà tragicamente i suoi giorni dopo essere stato recluso insieme a quei pazzi che, se ne avesse avuto la reale possibilità, avrebbe dovuto curare.
"Il monaco nero" ci parla delle insidie a cui va incontro una mente fervida, proiettata oltre le convenzionalità e che forse, in un eccesso di superbia, si ritrae autolesionisticamente dalle faccende del misero quotidiano che pure hanno la loro misconosciuta importanza.
Ne "La casa col mezzanino", un artista disincantato è preda di un amore contrastato che peserà sulla sua vita ben oltre le sue supposizioni.
"L'uomo nella fodera" narra di una persona limitata dall'essere chiusa nelle proprie innaturale certezze e paure, per estendere questi concetti a una condizione generale:"E la nostra vita in città,senza spazio, senza aria,e tutte le inutile cose che scriviamo...e tutto il resto, non sono forse fodere anche loro?".
Ne "La signora col cagnolino",c'è un gioco crudele tra apparenza e realtà, tra bisogni intimi e doveri sociali, dove il falso diventa vero ed il vero si trasforma in falso con al centro un'intensa e sofferta storia sentimentale.
Con "La fidanzata" che chiude questa pregevole raccolta, il bisogno di libertà ed emancipazione si impone e si realizza lasciandosi alle spalle il vecchio, piccolo, gramo mondo che avrebbe voluto circoscrivere l'esistenza in una serie di atti pericolosamente svilenti della personalità e del suo autentico estrinsecarsi.
Riassumendo ed infine, si ha l'impressione che i temi trattati risentano insistentemente dell'esperienza personale dello scrittore malato di tubercolosi e spentosi all'età di 43 anni. La povertà, (che l'autore ha conosciuto), il prestigio della professione (Cechov era medico), l'icombenza della fine, l'indagine sul senso della vita, attraversano le sue opere con una capacità di analisi e una perizia letteraria decisamente ammirevoli.
novembre 2004
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