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Dell'educare.9
Autostima, autonomia, creatività ...
Aldo Ettore Quagliozzi
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Il titolo esplicita senza ombra di dubbio quali dovrebbero essere i capisaldi di qualsivoglia azione educativa e di formazione delle giovani generazioni. E le domande ingenue che in un ipotetico incontro scuola-famiglie si sono sempre sentite echeggiare nelle aule affollate da genitori ansiosi, non avrebbero dovuto trovare accoglienza, solo se quei predetti capisaldi fossero stati importanti obiettivi educativi e di formazione di una categoria, gli insegnanti della scuola pubblica italiana, allo scopo ben preparata e selezionata. Ebbene, la pratica educativa che nel quotidiano viene portata avanti nella quasi totalità delle aule scolastiche, ha consentito a quelle domande, che ingenerano e giustificano anche conseguenti atteggiamenti sia da parte delle famiglie che da parte dei docenti, di trovare adeguate sponde proprio negli insegnanti che al privilegiare quegli anzidetti capisaldi educativi ben poco tempo dedicano.
Riporto allora in questa pagina del nostro abbecedario dell’educazione quanto ho tratto dalla lettura di un recentissimo libro di Paolo Crepet dal titolo molto significativo “Voi, noi“, la cui lettura consiglierei sommessamente innanzitutto ai signori docenti di qualsiasi livello e poi ai molto ansiosi genitori, che ne potrebbero trarre beneficio nel loro continuo rapportarsi con le problematiche educative all’interno di quel mondo tutto particolare rappresentato dalla famiglia.
“( … ) Autostima (…), autonomia, creatività rappresentano i pilastri fondamentali di ogni progetto educativo. Eppure non sembra siano ritenuti così determinanti dalla maggioranza dei genitori e degli insegnanti: qualcuno ha mai visto comparire queste tre parole su una pagella?
Quanti genitori vanno al colloquio con gli insegnanti per sapere se e come il proprio ragazzo sta maturando?
“Come va mio figlio in matematica … Se la cava in inglese?“ sono le domande classiche. E se la risposta fosse: “E’ migliorato, adesso è sopra la sufficienza…“, sarebbe una risposta tranquillizzante? Servirebbe a capire qualcosa di come sta crescendo quel giovanotto?
“Come va mio figlio?“, punto e basta: perché non fermarsi lì, cercando di capire come un altro adulto, che lo vede tutti i giorni per molte ore, valuti la sua crescita, la sua maturazione.
Dopo, soltanto dopo essersi aiutati a comprendere, si può parlare di matematica o di inglese: se va male lo aiuteremo a rimediare, ma se c’è qualcosa che non torna nel suo processo di sviluppo, nella sua serenità, dovremmo tutti molto più profondamente occuparci di lui e, insieme, tentare di rimuovere le cause di quelle nuvole scure. ( … )”
febbraio 2004
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