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Un curricolo unitario
a proposito di curricoli
Giancarlo Cavinato
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Il curricolo dell' "aggregazione disciplinare linguistico-letteraria" nei lavori della commissione istituita dal min. De Mauro ha i suoi presupposti nell'art. 21 della Costituzione che recita "tutti i cittadini hanno diritto di espressione con la parola e ogni altro mezzo" (nel suo intervento nella Commissione dei saggi sulle conoscenze fondamentali, De Mauro faceva riferimento alle "idee di Piaget e Freinet, di Rodari e don Lorenzo Milani sulla centralità dell'educazione linguistica stante l'indispensabilità sociale e culturale della parola…").
La lingua, si legge nella sintesi dei coordinatori del gruppo di lavoro, riprendendo punti importanti della premessa al programma di lingua italiana per la scuola elementare del 1985, è "strumento del pensiero…veicolo di crescita culturale…oggetto di progressiva consapevolezza…strumento di superamento di forme di emarginazione e discriminazione". Al "precoce ed efficace consolidamento di competenze linguistiche e comunicative" è attribuito il successo formativo; ed è bene che a una pedagogia del successo (a fronte di una lunga tradizione di pedagogia dell'errore ) si faccia riferimento, nel contesto della centralità dei soggetti in fase di apprendimento, portatori di identità plurali, cui l'intero lavoro della commissione si è ispirato.
La libertà di espressione richiede un pensiero; e per poter avere dei pensieri bambini e bambine devono essere assunti in quanto soggetti di diritti, di cittadinanza e di parità di opportunità anzitutto, non solo come scolari con dei doveri. Devono cioè 'provare' la cooperazione, lo scambio verbale e sociale, vivere in situazione di autenticità di rapporti e di amicizia, non di tensione. La cooperazione si nutre di espressione libera e di possibilità di espressione di sé. Ognuno deve poter sperimentare e comunicare, vivere gli incontri come un dare e un ricevere.
Come nei programmi 1985, si asserisce che un patrimonio linguistico è già parte integrante dell'identità dei soggetti all'arrivo nella scuola di base.
Proprio questo patrimonio deve entrare nel gioco comunicativo. Convince meno, allora, al riguardo, la successiva affermazione circa l'elaborazione, da parte di ognuno/a, di "idee…per quanto ingenue" sul funzionamento della lingua e della scrittura. Ci riconduce a un presupposto evoluzionistico che si riteneva superato, come se il linguaggio messo a punto durante la seconda infanzia e le idee relative ad esso non fossero ipotesi costruttive in cambiamento, ma una lingua "minore" a cui sostituire una lingua più "colta". La lingua di cui i soggetti sono portatori è in realtà un sistema in transizione ed equilibrio rispetto ad un'ecologia della comunicazione; una lingua in situazione, della prossimità, dell'interazione diretta, e il compito della scuola è portare attraverso processi di negoziazione e costruzione ad un ampliamento dello spazio linguistico e comunicativo, fino ad approdare a una lingua extra-situazionale dalla portata comunicativa più ampia.
Se non si affronta questo nodo, centrale per l'oralità, accanto a quello, centrale per la scrittura, della funzione antropologica dello scritto culturalmente diversa da quella del parlato, si elide una parte del percorso che è invece compito precipuo della scuola garantire, particolarmente oggi in tempi di oralità secondaria e di trasformazioni profonde indotte nella mente dalla rete multimediale di organizzazione delle informazioni.
'Frames' della mente
Si tratta di lavorare a esplicitare gli 'sfondi' mentali e culturali di riferimento: quello dell'interazione diretta, quello della scrittura con la sua organizzazione, quello dell'immagine e della rappresentazione prospettica dello spazio, quello della elaborazione elettronica. Ognuno di tali sfondi implica diverse conformazioni, mappe e 'frames' rispetto allo spazio, al tempo, alla percezione degli eventi e delle loro correlazioni; in definitiva all'immagine e alla rappresentazione della realtà, a cosa è personale e a cosa è sociale, a cosa è comunicabile e a cosa no.
Quindi, senza negare valenze importanti al rapporto affettivo e ludico che il soggetto instaura con gli altri e con la realtà attraverso la parola, è fondamentale non semplificare e banalizzare troppo con assunzioni generiche quanto la scuola si trova ad affrontare e i punti di partenza su cui può far riferimento.
Le "idee ingenue" sono in parte modelli personali (ma legati agli sfondi suddetti), in parte convenzioni culturali filtrate. È importante metterle a confronto, conflittualizzare rappresentazioni diverse di bambini diversi, ma anche predisporre e assecondare esperienze e attività che facciano sbanalizzare quanto 'si sa', che comportino delle problematizzazioni, dei salti e delle ristrutturazioni nelle proprie convinzioni. Altrimenti queste, a cui si sovrapporrebbe un insegnamento alfabetico e lineare, non verrebbero mai del tutto cancellate e riemergerebbero in forma di errori, di rigidità, di un non buon uso di forme di comunicazione e di codici. La scuola dell'infanzia e la scuola elementare al riguardo hanno sviluppato attività e proposte circa la costruzione della lingua scritta e la progressiva differenziazione dei codici (scarabocchio, narrato, disegno, scrittura…) e nei programmi '85 si raccomanda di non irrigidirsi in un metodo ma di assecondare processi di esplorazione, ipotesi, anticipazione, inferenza, scoperta rispetto allo stabilizzarsi delle caratteristiche della lingua scritta. E' un'indicazione tuttora valida e che va accompagnata con un costante lavorio di confronto e co-costruzione in gruppo di significati, di modelli, di trascrizioni, di uso della scrittura per una pluralità di funzioni.
Il tessuto curricolare
Si prospetta un ventaglio di proposte di educazione linguistica che indicano, quali campi di esplorazione delle possibilità della lingua:
- gli usi funzionali e creativi;
- gli scopi della comunicazione;
- il piacere di leggere;
- la fruizione di testi narrativi e poetici;
- la riflessione sulle caratteristiche della lingua;
- il rielaborare nuove conoscenze (la trasversalità della lingua);
- l'arricchimento del patrimonio linguistico e delle capacità comunicative (tramite l'esplorazione della dimensione europea, due lingue nella scuola di base, e la dimensione interculturale)
Sono tutti aspetti ineludibili; del resto dalle 10 tesi dell'educazione linguistica democratica del 1975 del G.I.S.C.E.L. cui lo stesso De Mauro con altri linguisti ha contribuito, il baricentro si è spostato giustamente da forme di monolinguismo e monofunzionalismo in cui la prevalenza era data a un modello di lingua scritta letteraria a una forte attenzione alle varietà e diversità linguistiche, aprendo la strada ad aspetti semantici, pragmatici e testuali prima ignorati.
Ciò che sembra mancare al sottoscritto è un quadro dinamico e interrelato dell'insieme, quell'idea di lingua come sistema che da Saussure in poi ha cambiato la concezione della lingua.
Il rischio è quello di ricadere in una visione statica della lingua come composta di parti separate, le 'quattro abilità' dei programmi del '79 della scuola media riprese nel 1985, ascoltare parlare leggere scrivere. Si tratta certo di componenti di quella che Devoto definiva la 'nebulosa del linguaggio', ma appunto in quanto i confini fra di esse sono difficilmente tracciabili, perché ognuna richiede ed ha come destinazione l'altra, e tutte assieme concorrono a un uso attivo e consapevole della lingua.
In una prospettiva meno lineare, nel corso della crescita assistiamo all'emergere progressivo di consapevolezza circa le strutture di base del linguaggio, le forme di narrazione, la trama del testo; questa 'pre-conoscenza' dell'alunno interagisce e si potenzia da un lato con 'buone' letture offerte dagli adulti e poi lette personalmente, che creano una specie di substrato, di deposito a cui si fa riferimento nell'affrontare nuovi testi con altre caratteristiche che si mettono, anche inconsapevolmente, a confronto con quanto già incamerato, che costituisce una sorta di 'serbatoio intertestuale'; e dall'altro con i tatonnements, i tentativi di scrittura, personale e di gruppo, che prima e al di là della scuola, e a scuola intenzionalmente, vengono effettuati, in una sorta di palestra di progressiva messa a punto di testi. È nella circolarità fra questi processi, nella loro unitarietà, che in germe si costruisce il 'piano del testo' in senso ampio e aperto e la competenza metalinguistica affonda le sue radici, evitando che la riflessione sia qualcosa di astratto e acontestuale. Parlare, argomentare, produrre, leggere, progettare, far memoria, documentare, visualizzare, sono tutte operazioni che il soggetto compie in un quadro di non separatezza fra l'uno e l'altro aspetto, pena il ridurre l'apprendimento linguistico una serie di operazioni tassonomiche e aride che poco hanno a che vedere con i livelli reali di comunicazione e incorporazione di competenze linguistiche, con gli effetti che sono sotto gli occhi di tutti (scarso piacere di leggere, demotivazione, parlare a vuoto, raro ricorso alla scrittura personale, prevalere di competenze tecniche su quelle produttive e creative, poca originalità e autenticità, fino a quello che il ministro chiama 'analfabetismo di ritorno' anche di ceti benestanti e quadri dirigenti superiori.)
Il laboratorio linguistico (e alcuni punti critici)
La lingua va pensata su tutto l'arco della scuola dell'obbligo come un laboratorio permanente di attività produttive ricettive interpretative e rielaborative (pensiamo a quanto di metacompetenza c'è nella riscrittura a più mani e da più punti di vista, che implica l'uso simultaneo di più livelli di intervento e di abilità). "Non v'è forma di sapere che non sia, in primo luogo, la fioritura del vissuto…un vissuto che sa tradursi in idee…", scrive Morin.
Da questo punto di vista, non è una buona scelta il non far riferimento alcuno, nella parte di indicazioni metodologiche didattiche e contenutistiche, alla metodologia di apprendimento e costruzione della lingua scritta (con l'attenzione suddetta alle strategie più che a un indirizzo metodologico univoco), che riveste importanza fondamentale, alla luce di quanto detto sopra, per un uso autonomo e critico da parte degli individui della lingua come strumento di potenziamento delle proprie specifiche capacità. Questo aspetto è frettolosamente liquidato nella tabella degli obiettivi del 1° e 2° anno con "acquisire e consolidare la tecnica della lettura… della scrittura". Purtroppo avviene che quanto non è detto esplicitamente non sia considerato importante. Si ricadrà così in quelle forme ibride di pseudo-globale e reale sillabico-fonico che imprigiona i soggetti dentro la lingua, nei suoi aspetti più tecnicistici, perché gli consegna tutto già smontato in 'pezzi' atomistici con l'unico compito di ricomporli meccanicamente. Ma così non si diviene padroni dello strumento.
Così pure ci si aspetterebbe che la ripartizione operata dai linguisti testuali in testi narrativi, descrittivi, argomentativi, regolativi, che corrisponde a esigenze di classificazione legate a studi e ricerche di linguistica, non pensate per far evolvere le procedure di scrittura, non fosse canonicamente ripetuta in chiave di successione gerarchica. Lavorando nel vivo di testi con i ragazzi è evidente che il racconto, ad esempio, non è un testo a sé ma contiene diverse dimensioni dello scritto con funzioni diversificate rispondenti a scopi del testo; la descrizione di per sé non esiste se non come pausa nell'ambito dello svolgersi di azioni in un testo, il dialogo funge da rallentamento o accelerazione ed è inserito nel corpo vivo del testo, e così pure altre dimensioni che la narratologia considera unitariamente e la pragmatica testuale ha separato per comodità di analisi.
La rottura delle strutture narrative ottocentesche avvenuta con Proust, Joyce, Svevo, Musil e altri nel corso del '900 dovrebbe metterci in guardia dall'assumere acriticamente trasponendole nella scuola categorie non conquistate nel vivo della scomposizione e ricomposizione di testi. Far scrivere liste di descrizioni-di compagni, di paesaggi, di interni ed esterni, ecc. ai ragazzi delle elementari non ne ha mai aumentato la competenza di produzione, li ha annoiati e scostati dalla vivezza e concretezza dello scrivere di cose reali, autentiche, di scrivere con un progetto.
E qui evidenzio un terzo aspetto critico che è stato più volte fatto presente nell'ambito della commissione e di cui è importante investire l'intero ambito dei linguaggi e della comunicazione.
La realtà della comunicazione oggi è molto cambiata rispetto a qualche decennio fa. Non è pensabile che il testo scritto sia affrontato a sé senza un confronto/contrasto/interazione con il testo visivo, con il suono, la musica, la gestualità, il video, i videoclip, gli spot, e tutti gli altri prodotti della elaborazione culturale attuale. Modi di percepire, organizzare, trasmettere, pensare sono profondamente diversi ed estranei rispetto alle generazioni come la nostra in cui la scrittura rappresentava il punto di sublimazione più alto (accanto all'astrazione matematica e alla partitura musicale) del pensiero occidentale. L'intero impianto delle attività e delle strumentazioni va ripensato alla luce dei cambiamenti in corso, rispetto ai quali Abruzzese e altri parlano di 'corpo elettronico' e di dilatazione della percezione e delle conoscenze in un ambito mondiale.
La scuola deve selezionare buone esperienze formative sul piano linguistico e culturale, ma non può non fare i conti che, rispetto ad un testo scritto organizzato diacronicamente, molti processi sincronici e analogici interferiscono nelle possibilità di concentrazione, analisi ,fruizione positiva. I titoli, le soglie e i finali dei testi, i flash-back, le successioni, le ellissi, i ritmi, le pause, sono tutti aspetti di una semantica e una sintassi nuove che non possono non essere assunte nella scuola.
In effetti si accenna nella conclusione della premessa alla necessità di coniugare la "scoperta delle dimensioni culturali e delle radici storiche della lingua" e l'attenzione alle "continue trasformazioni nelle forme di comunicazione contemporanee". Si punta a un'educazione plurilingue (il che è un bene) e alla flessibilità cognitiva. Il terreno è aperto ora alla consultazione nelle scuole, a cui gli I.R.R.S.A.E. e le associazioni professionali potrebbero fornire utili forme di consulenza e apporto organizzando apposite conferenze di incontro e scambio.
riferimenti bibliografici
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De Kerchkove, D. (1993) "Brainframes. Mente, tecnologia, mercato" Bologna: Baskerville
Meyrowitz, J. (1993) "Oltre il senso del luogo. L'impatto dei media elettronici sul comportamento sociale" Bologna: Baskerville
Mc Luhan, M. (1982)" Dall'occhio all'orecchio" Roma: Armando
Maragliano, R. (1994) "Manuale di didattica multimediale" Bari: Laterza
Ong, W. J. (1989) "Interfacce della parola" Bologna: Il Mulino
Simone, R. (1990) "Fondamenti di linguistica" Bari: Laterza
Simone, R. (2000) "La terza fase" Bari: Laterza
Movimento di cooperazione educativa/gruppo nazionale lingua (1989) "I luoghi della parola" Firenze: La Nuova Italia
Morin, E. (2000) "Una testa ben fatta" Bologna: Cortina
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