|
Raskolnikov e le radici del dubbio
Mario Amato
|
Vi sono libri che, sebbene incentrati su un solo personaggio, influenzano l’intera cultura occidentale, come Delitto e Castigo (Πреступление и Наказание) di Fedor Michajlovic Dostoevskij. Il protagonista del romanzo, Raskolnikov, studente universitario a Pietroburgo, uccide due persone: la prima vittima è una vecchia usuraia alla quale aveva dato in pegno alcuni oggetti; la seconda è la sorella della vecchia che era stata testimone del delitto.
La trama non è basata su eventi, ma sulla coscienza di Raskolnikov, che fa di tutto per essere scoperto. Raskolnikov è forse il personaggio che più d’ogni altro sintetizza la poetica di Dostoevskij, perché per il romanziere russo la vita umana si svolge nel mondo interiore.
Ha scritto Stefan Zweig in Tre Maestri. Balzac, Dickens, Dostoevskij : Dostoevskij non è nulla se non è sentito intimamente. Nel nostro intimo dobbiamo giungere fino alle radici del nostro essere per scoprire le connessioni con la sua umanità dapprima fantastica e poi meravigliosamente vera. (…) Entrando nella sfera di Dostoevskij s’incontra un paesaggio preistorico, un mondo mistico, antichissimo e verginale insieme, per cui ci assale un dolce brivido, come sempre quando siamo vicini ad elementi eterni (in Stefan Zweig Opere scelte, volume 1, Mondadori, Sperling & Kuper, 1956, pag. 69).
È tuttavia un mondo pieno d’inquietudini e di dubbi, ed è forse per tale ragione che Dostoevskij affascina i giovani: egli parla ad una parte interiore più profonda della coscienza, a quella sfera in cui si agitano ancora tumulti sconosciuti.
Raskolnikov è giovane e cerca pace nella confessione a Sonia. Lo studente si chiede perché egli debba essere considerato un malvagio assassino, avendo ucciso due esseri umani, mentre Giulio Cesare e Napoleone siano considerati eroi, pur avendo causato la morte di migliaia di uomini.
La confessione è nella liturgia cristiana ed ortodossa la ricerca del perdono da parte di Dio, ma è anche, da un punto di vista più ampio, il riconoscimento del valore sociale dell’uomo.
Nel Parzival di Wolfram von Essenbach, il cavaliere della Tavola Rotonda giunge nella terra del re pescatore che è ferito. Nella residenza del re Parzival vede il Santo Graal, il calice da cui Giuseppe di Arimatea, secondo la leggenda, aveva raccolto il sangue di Cristo. Il Santo Graal aveva il potere di guarire tutti i mali, ma non sana la ferita del re e Parzival non chiede la ragione della non restituzione alla salute. Nel tempo di Wolfram von Essenbach (1100-1200) vi era un’accesa discussione sul sacramento della confessione, dibattimento che non riguardava soltanto l’ambito religioso, ma anche quello sociale. Nella visione cristiana i Germani erano pagani, caratterizzati da un barbaro individualismo, mentre il mondo nuovo portava la convivenza civile e la confessione dimostra la rinuncia all’antica barbarie.
La domanda posta da Raskolnikov non riguarda le giustificazioni ideologiche delle guerre, ma concerne una questione più profonda.
Sonia rappresenta la salvezza, la possibilità del perdono cristiano, perché se Goethe è il grande pagano della letteratura europea ed il personaggio di Margherita raffigura l’eterno femminino ovvero la poesia, Dostoevskij è invece il grande cristiano, ma connotato da un eterno dubbio.
La storia di Raskolnikov insinua un dubbio inquietante che attraversò le menti di altri due grandi esponenti dell’epoca romantica, ovvero di Giacomo Leopardi e Friedrich Nietzsche: è possibile un’etica al di fuori della religione?
Il poeta italiano, il filosofo tedesco e il romanziere russo sono accomunati dalla convinzione che l’essenza della vita sia tragica, ma trovano tre risposte diverse.
Nella scuola italiana Leopardi è stato amato per la sua lirica, ma per lungo, troppo tempo è stata trascurata la parte polemica della sua opera. Su tale volontaria negligenza della cultura italiana nei confronti del pensiero poetante (così definisce Walter Binni la scrittura leopardiana) di Giacomo Leopardi è illuminante una pagina autobiografica di Giosué Carducci, allorché racconta che il padre lo costrinse a frequentare una scuola salesiana, nella quale era obbligatorio lo studio di Alessandro Manzoni, ma i nomi di Leopardi e Foscolo venivano pronunciati soltanto a bassa voce e con epiteti irripetibili.
Ne La Ginestra o il fiore del deserto Leopardi polemizza contro la religione che pretende di considerare l’uomo centro della Storia e di avergli assegnato un valore supremo nella scala degli esseri viventi, mentre è sufficiente un piccolo moto del suolo per distruggere intere città e civiltà considerate eterne dai loro costruttori (vv, 158-201). L’uomo potrà vivere civilmente in pace soltanto quando riconoscerà il suo basso stato nella scala naturale.
Friedrich Nietzsche afferma Dio è morto, nel senso che è morto il bisogno dell’uomo di Dio. L’esatta traduzione di “Übermensch” non è “superuomo” ma oltreuomo, e l’oltreuomo sarà possibile soltanto quando l’uomo si sarà liberato del bisogno di Dio, della religione, dello Stato, della Legge.
Vi è una consonanza fra il poeta recanatese ed il filosofo tedesco nel dubbio che vi sia un errore nella cultura occidentale: l’aver fondato la vita etica su false costruzioni.
La risposta di Dostoevskij è religiosa: una vita senza Dio non è possibile.
Il giudice Porfirij comprende la colpevolezza di Raskolnikov, ma lo lascia andare, aspettando la sua confessione. Questa giunge perché è la risposta di Dostoevskij: solo con la rivelazione del suo peccato Raskolnikov può riappacificarsi con Dio.
Le risposte di Giacomo Leopardi, Friedrich Nietzsche e Fedor Dostoevskij sono difficili da attuare, ma possiamo ancora una volta rivolgerci all’arte più democratica che esista: la letteratura.
Sulla liberalità della letteratura è chiarificante un racconto di Stefan Zweig intitolato Mendel il bibliofilo: Mendel è un russo ebreo, venditore ambulante di libri a Vienna. Egli ricorda il titolo ed il prezzo di tutti i libri, vive di libri e per i libri, fino al punto che non si avvede dello scoppio della guerra nel 1914; viene sospettato di spionaggio ed arrestato perché continua ad inviare volumi a ufficiali inglesi, francesi, russi, esponenti di nazioni nemiche dell’Austria-Ungheria.
Narra Stefan Zweig di Giacobbe Mendel: Trentatré anni prima, giovinetto, sbilenco con i riccioli sulla fronte ed una peluria morbida e bruna sul viso, era venuto a Vienna dall’oriente per studiare e diventare rabbino; ma presto aveva abbandonato il severo Jehova per dedicarsi allo sfavillante e multiforme politeismo dei libri. (Stefan Zweig, Mendel il Bibliofilo, in Eventi Racconti La Paura Adolescenza, Sperling & Kupfer, Milano, 1945).
dicembre 2003
in libri inevitabili: |
|
dello stesso autore: |
|