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Don Chisciotte ovvero la tragedia dell’Occidente
Mario Amato
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<<Oh gran bontà de’ cavalieri antiqui!
Eran rivali, eran di fe’ diversi,
E si sentian degli aspri colpi iniqui
per tutta la persona dolersi;
e pur per selve oscure e calli obliqui
insieme van senza sospetto aversi.
…………………………………..
…………………………………..>>
(Lodovico Ariosto, Canto I, ottava XXII)
In tal modo Ariosto loda la lealtà dei cavalieri medioevali, ma in realtà Ferraù e Rinaldo, i due contendenti di cui si parla, sono giunti ad un accordo soltanto per motivi pratici, soltanto perché il loro duello ha permesso ad Angelica di fuggire. I due cavalieri hanno rimandato la contesa.
Ariosto non crede che quella gran bontà sia veramente esistita né durante il Medioevo, né in nessun’altra guerra, crede invece che quella lealtà possa esistere soltanto nella fantasia, che permette di sostenere la vita.
Nel romanzo “La Principessa Brambilla” E. T. A. Hofmann un personaggio dice che Sancho Panza pensava che bisognerebbe rendere merito a chi ha inventato il sogno, ma non già il sogno che tutti facciamo quando dormiamo, bensì il sogno che tutti facciamo ad occhi aperti e che solo permette di sopportare la banalità della vita.
Il sogno ad occhi aperti è la fantasia, è il mondo in cui Don Chisciotte decide di vivere.
Leggendo il romanzo di Cervantes spesso ci chiediamo se il protagonista, il cavaliere dalla trista figura, sia pazzo o meno. Già all’inizio del libro Don Chisciotte incontra un suo vicino che gli ricorda la sua vera identità ed egli risponde che sa bene chi è, ma con la fantasia può essere Rinaldo, Orlando ed ogni personaggio che gli aggrada; così a Sancho Panza, che gli ricorda che Dulcinea non lo ricambia e non è molto bella né gentile, anzi è una contadina vecchia e forse maleodorante di letame, Don Chisciotte risponde che i poeti non hanno parlato delle donne cantate nelle poesie, ma unicamente del loro stesso animo. Quelle donne sono immagini della fantasia degli scrittori. Don Chisciotte sa bene che le fanciulle poetiche sono proiezioni dello spirito degli scrittori e che ciò non è privo di conseguenze. Egli incontra un gruppo di pastori e gli viene narrata la terribile storia di Crisostomo, che si è ucciso per l’amore non ricambiato da Marcella; questa interviene in propria difesa, affermando che ella non aveva mai incoraggiato i sentimenti di Crisostomo né di altri e non è colpa sua se la natura le ha dato un aspetto piacevole. Ella non è obbligata ad amare chi la ama! Il cavaliere dalla triste figura ascolta e dà ragione a Marcella, perché trova valida e assennata la difesa della giovane ed in più diffida chiunque a seguirla. È dunque pazzo Don Chisciotte?
Cervantes gioca crudelmente con il lettore e con il suo personaggio, lasciandolo agire in modo folle alcune volte, in maniera giudiziosa in altre occasioni.
Don Chisciotte ha rifiutato il mondo reale e si è immerso in un mondo immaginario, in un mondo fantastico.
Vi è stata una corrente psichiatrica anni or sono che consigliava di abolire le fiabe nell’educazione dei bambini, ma l’ultimo allievo di Sigmund Freud, Bruno Bettelheim, ha respinto questa tesi in un bellissimo libro intitolato “Il mondo incantato” (Editori Riuniti), discutendo sulla capacità educativa dei libri di fiabe.
All’origine della letteratura vi è il mito, storie affascinanti, fantastiche, che spiegavano i fondamenti del mondo: la creazione, la vita, la morte. E per gli uomini di allora il mito era verità, come più tardi lo è la religione per altri esseri umani.
È noto l’episodio della maestra scozzese licenziata perché disse ai bambini che Babbo Natale non esiste. I fanciulli tornarono a casa in lagrime!
Togliere le fiabe ai bambini è come togliere la lettura agli adulti, solo perché è opera di fantasia.
Tutti i lettori hanno viaggiato insieme ad Ulisse e ad Ismaele, tutti hanno visto Dublino insieme a Leopold Bloom, tutti hanno conosciuto Francesca da Rimini, tutti hanno camminato per strade di Vienna o di Parigi o di Berlino insieme a personaggi letterari.
Il mondo ha necessità di fantasia, il nostro mondo come quello di Cervantes.
La Spagna in cui agisce Don Chisciotte è un mondo lontano dalla nobiltà d’animo, dalla lealtà, dalla comprensione per chi vive in modo diverso. È una Spagna in decadenza, iniziata già con Isabella di Castiglia, la quale da una parte apre al mondo finanziando la spedizione di Cristoforo Colombo, dall’altra espelle gli arabi dal territorio di Granada con una guerra e scaccia gli ebrei, perseguitando quelli che restano per mezzo della Santa Inquisizione, rinunciando a due culture altre.
È una Spagna nella quale la misura del valore degli uomini è il denaro, soggetto ad una continua svalutazione, perché le ricchezze provenienti dal nuovo mondo sono state accumulate da una nobiltà accidiosa e vanitosa.
Le persone che Don Chisciotte incontra mirano spesso alla sua borsa, senza considerare che per il cavaliere il denaro non ha valore, ne ha invece lo spirito.
La Spagna aveva esportato la sua cultura, aveva annientato le popolazioni dell’America meridionale, distrutto grandi civiltà, aveva soprattutto esportato l’eurocentrismo , ovvero l’idea che la civiltà dei bianchi è superiore ad ogni altra e che esiste un solo ed unico modello di vita e di pensiero. I conquistatori del nuovo mondo distrussero anche le statue delle civiltà autoctone americane, così come i puritani stermineranno più tardi le popolazioni dell’America del Nord.
Gli spagnoli fusero migliaia e migliaia di statue per poter più facilmente trasportare l’oro. Essi non si sforzarono di comprendere l’ altro, rispettarono invece l’unica vera deità dell’Occidente: il denaro.
Don Chisciotte è un diverso, è l’altro, colui però che ci costringe a pensare che vi sono molti modi di vivere e pensare, che anche in un mondo votato al denaro, a mercificare ogni aspetto dell’esistenza, vi è una via di salvezza: la fantasia.
Nel racconto “Gimpel l’idiota”, il protagonista, Gimpel, crede a tutto ciò che gli viene narrato e diviene ovviamente oggetto di scherzi crudeli. Un giorno torna a casa e trova la moglie a letto insieme al suo aiutante (Gimpel è un fornaio); Gimpel si fida della donna che si giustifica, dicendo che egli ha visto soltanto un’ ombra. I tradimenti continuano fino alla morte della donna.
Gimpel infine è oggetto di un gioco terribile; esasperato, decide di vendicarsi dei suoi paesani ed impasta il pane con sterco di cavallo. Si addormenta e sogna la moglie che lo avverte di non mettere in atto il suo proposito, perché ella è nella Geenna, nell’inferno, per averlo tradito e per aver procreato tutti i figli con gli amanti. Gimpel seppellisce il pane impastato con lo sterco e diventa un vagabondo; giunto alla vecchiaia afferma che finalmente ha compreso che le bugie non esistono, perché se un fatto non è accaduto qui, può accadere in un altro luogo, se non si è verificato ora, può essere avvenuto in passato o potrà capitare in futuro; le bugie non esistono perché tutto ciò che è immaginabile è vero per la semplice ragione che qualcuno lo immagina. (Isaak Singer, Racconti, Mondadori)
Don Chisciotte è la rappresentazione della tragedia dell’Occidente, che sottomette l’interesse materiale alla fantasia, alla vita dello spirito.
“Don Chisciotte della Mancia” è uno di quei libri che molti ragazzi chiamano “mattoni” e che molti professori continuano a consigliare.
Hanno ragione i ragazzi, è un mattone, uno di quelli su cui edificare lo spirito.
dicembre 2003
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