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Pluridisciplinare
Scienze naturali
Filosofia
Edgar Morin, I sette saperi necessari all'educazione del futuro, Raffaello Cortina Editore, 2001, cap4 pp.63-80
Insegnare l'identità terrestre


Lingua: Italiana
Destinatari: Formazione post diploma, Insegnanti
Tipologia: Materiale di studio

Abstract:

Edgar Morin, I sette saperi necessari all'educazione del futuro, Raffaello Cortina Editore, 2001, cap4 pp.63-80

Insegnare l'identità terrestre

Solo il saggio non smette di avere sempre presente il tutto, non dimentica mai il mondo, pensa e agisce in rapporto al cosmo.

GROETHUYSEN

Per la prima volta l'uomo ha realmente compreso di essere un abitante del pianeta e forse deve pensare o agire in una nuova prospettiva, non solo nella prospettiva di individuo, di famiglia o di genere, di Stato o di gruppo di Stati, ma anche nella prospettiva planetaria.

VERNADSKI

Per pensare i loro problemi e i problemi del loro tempo, i cittadini hanno bisogno di comprendere non solo la condizione umana nel mondo, ma anche il mondo umano che, nel corso della storia moderna, è divenuto quello dell'era planetaria.

Dal XVI secolo siamo entrati nell'era planetaria e, dalla fine del XX secolo, siamo nella fase della mondializzazione.

La mondializzazione, fase attuale dell'era planetaria, significa innanzi tutto, come ha giustamente sottolineato il geografo Jacques Lévy, "l'emergenza di un oggetto nuovo, il mondo in quanto tale". Ma più siamo presi dal mondo, più il mondo ci risulta difficile da prendere. Nell'epoca delle telecomunicazioni, dell'informazione, di Internet, siamo sommersi dalla complessità del mondo e le innumerevoli informazioni sul mondo soffocano le nostre possibilità d'intelligibilità.

Si potrà isolare un problema vitale per eccellenza, che subordini tutti gli altri problemi vitali? Ma questo problema vitale è costituito dall'insieme dei problemi vitali, ossia dall'intersolidarietà complessa di problemi, antagonismi, crisi, processi incontrollati. Il problema planetario è un tutto che si nutre di ingredienti multipli, conflittuali, crisici, che li ingloba, che li supera e che, a sua volta, li nutre.

Ciò che aggrava la difficoltà di conoscere il nostro Mondo è il modo di pensare che ha atrofizzato in noi, anziché svilupparla, la capacità di contestualizzare e globalizzare, mentre l'esigenza dell'era planetaria è di pensare la sua globalità, la relazione tutto-parti, la multidimensionalità, la complessità. Il che ci rimanda alla riforma di pensiero (..) necessaria per concepire il contesto, il globale, il complesso.

E la complessità produttrice/distruttrice delle reciproche azioni delle parti sul tutto e del tutto sulle parti che costituisce un problema. Abbiamo quindi bisogno di concepire l'insostenibile complessità del mondo, nel senso che dobbiamo considerare allo stesso tempo l'unità e la diversità del processo planetario, le sue complementarità e, insieme, i suoi antagonismi. Il pianeta non è un sistema globale, ma un vortice in movimento.

Esso richiede un pensiero policentrico capace di tendere all'universalismo non astratto, ma consapevole dell'unità/diversità umana, e richiede un pensiero policentrico nutrito dalle culture del mondo. Questa è la finalità dell'educazione che, nell'era planetaria, deve operare per l'identità e per la coscienza terrestre.

L’era planetaria

La storia umana è cominciata con una diaspora planetaria su tutti i continenti; poi, a partire dai Tempi moderni, è entrata nell'era planetaria della comunicazione fra tutti i frammenti della diaspora umana.

La diaspora dell'umanità non ha prodotto scissioni genetiche: pigmei, neri, gialli, indiani, bianchi appartengono alla stessa specie, dispongono degli stessi caratteri fondamentali d'umanità. Ma ha prodotto una straordinaria diversità di lingue, di culture, di destini, fonte di innovazioni e di creazioni in tutti i campi. Il tesoro dell'umanità è nella sua diversità creatrice, ma la fonte della sua creatività è nella sua unità generatrice.

Alla fine del XV secolo europeo, la Cina dei Ming e l'India moghul sono le civiltà più importanti del globo. L'Islam, in Asia e in Africa, è la religione più diffusa della Terra. L'impero ottomano - che dall'Asia si è espanso nell'Europa orientale, ha annientato Bisanzio e ha minacciato Vienna - diviene una grande potenza d'Europa. L'impero inca e l'impero azteco regnano sulle Americhe, e Cuzco, così come Tenochtitlàn, superano per popolazioni, monumenti e splendori Madrid, Lisbona, Parigi, Londra, capitali di giovani e piccole nazioni dell'Occidente europeo.

Eppure, a partire dal 1492, sono queste giovani e piccole nazioni che si lanciano alla conquista del globo, e attraverso l'avventura, la guerra, la morte, danno vita all'era planetaria che mette ormai in comunicazione i cinque continenti nel bene e nel male. La dominazione dell'Occidente europeo sul resto del mondo provoca enormi catastrofi di civiltà, specie in America, irrimediabili distruzioni culturali, terribili schiavitù. Così, l'era planetaria si apre e si sviluppa attraverso e con la violenza, la distruzione, la schiavitù, lo sfruttamento feroce delle Americhe e dell'Africa. I bacilli e i virus dell'Eurasia si scagliano sulle Americhe provocando ecatombi, disseminando morbillo, herpes, influenza, tubercolosi, mentre dall'America il treponema della sifilide passa di sesso in sesso fino a Shangai. Gli europei importano il mais, la patata, il fagiolo, il pomodoro, la manioca, la patata dolce, il cacao, il tabacco venuti dalle Americhe. Portano in America i montoni, i bovini, i cavalli, i cereali, le viti, gli ulivi e le piante tropicali, il riso, l'igname, il caffè, la canna da zucchero.

La planetarizzazione si sviluppa nei vari continenti con l'apporto della civiltà europea, delle sue armi, delle sue tecniche, delle sue concezioni, in tutte le sue agenzie, in tutti i suoi avamposti, in tutte le sue zone di penetrazione. L'industria e la tecnica hanno uno sviluppo che nessuna civiltà ha ancora conosciuto. Lo sviluppo economico, lo sviluppo delle comunicazioni, il coinvolgimento dei continenti soggiogati nel mercato mondiale determinano formidabili flussi migratori che saranno amplificati dalla crescita demografica generalizzata (In un secolo, l'Europa è passata da 190 a 423 milioni di abitanti, il globo da 900 milioni a 3 miliardi). Nella seconda metà del XIX secolo, ventuno milioni di europei hanno attraversato l'Atlantico verso le due Americhe. Flussi migratori si producono anche in Asia, dove i cinesi si insediano come commercianti in Tailandia, a Giava e nella penisola malese, si imbarcano per la California, la Colombia Britannica, il Nuovo Galles del Sud, la Polinesia, mentre gli indiani si stabiliscono nel Natal e in Africa orientale.

La planetarizzazione dà origine nel XX secolo a due guerre mondiali, a due crisi economiche mondiali e, dopo il 1989, alla generalizzazione dell'economia liberale chiamata mondializzazione. L'economia mondiale è sempre di più un tutto interdipendente: ciascuna delle sue parti è divenuta dipendente dal tutto e il tutto, a sua volta, subisce le perturbazioni e i rischi che coinvolgono le parti. Il pianeta si è ristretto. A Magellano sono stati necessari tre anni per fare il giro del mondo per mare (1519-1522). Un ardito viaggiatore del XIX secolo ha impiegato ottanta giorni per il giro della Terra, utilizzando strade, ferrovia e navigazione a vapore. Alla fine del XX secolo, il jet compie il giro del mondo in ventiquattro ore. Ma, soprattutto, tutto è istantaneamente presente da un punto del pianeta all'altro con la televisione, il telefono, il fax, Internet...

Il mondo diviene sempre più un tutto. Ciascuna parte del mondo fa sempre più parte del mondo, e il mondo in quanto tale è sempre più presente in ciascuna delle sue parti. Ciò si verifica non solo per le nazioni e i popoli, ma anche per gli individui. Come ciascun punto di un ologramma contiene l'informazione del tutto di cui fa parte, così anche ogni individuo riceve o consuma le informazioni e le sostanze che arrivano da tutto l'universo.

Così l'europeo, per esempio, si sveglia ogni mattina accendendo la sua radio giapponese e da essa riceve gli eventi del mondo: eruzioni vulcaniche, terremoti, colpi di Stato, conferenze internazionali gli arrivano mentre sorseggia il suo tè di Ceylon, dell'India o della Cina, a meno che non sia un caffè di qualità moka dell'Etiopia o arabica dell'America Latina; indossa il suo maglione, i suoi slip e la sua camicia di cotone dell'Egitto e dell'India; veste giacca e pantaloni di lana d'Australia, lavorata a Manchester e poi a Roubaix-Tourcoing, oppure un giubbotto di cuoio venuto dalla Cina, indossato sopra jeans di stile americano. Il suo orologio è svizzero o giapponese. Gli occhiali sono di scaglie di tartaruga equatoriale. Può trovare d'inverno sulla sua tavola le fragole e le ciliegie dell'Argentina o del Cile, i fagiolini freschi del Senegal, gli avocado o gli ananas dell'Africa, i meloni della Guadalupa. Ha bottiglie di rhum della Martinica, di vodka russa, di tequila messicana, di bourbon americano. Può ascoltare a casa sua una sinfonia tedesca diretta da un direttore d'orchestra coreano, oppure assistere davanti allo schermo del televisore a La Bohème con la nera Barbara Hendricks nella parte di Mimi e lo spagnolo Placido Domingo in quella di Rodolfo.

Mentre l'europeo vive nel suo circuito planetario di comfort, un grandissimo numero di africani, asiatici, sudamericani sono in un circuito planetario di miseria e subiscono, nella vita quotidiana, i contraccolpi del mercato mondiale che influenzano le quotazioni del cacao, del caffè, dello zucchero, delle materie prime prodotte dai loro paesi. Sono stati cacciati dai loro villaggi da processi mondializzati originati dall'Occidente, in particolare dai progressi della monocultura industriale; contadini autosufficienti sono diventati abitanti suburbani in cerca di salario; i loro bisogni sono ormai tradotti in termini monetari. Aspirano alla vita di benessere fatta loro sognare dalle pubblicità e dai film occidentali. Usano stoviglie di alluminio o di plastica, bevono birra o Coca-Cola. Dormono su pezzi di polistirolo recuperati non si sa come e portano T-shirt stampate all'americana. Danzano su musiche sincretiche dove i ritmi delle loro tradizioni entrano in un'orchestrazione venuta dall'America. Così, nel bene e nel male, ogni essere umano, ricco o povero, del Sud o del Nord, dell'Est o dell'Ovest porta in sé, senza saperlo, l'intero pianeta. La mondializzazione è nel contempo evidente, subcosciente, onnipresente.

La mondializzazione è certamente unificatrice, ma va subito aggiunto che è anche conflittuale nella sua essenza. L’unificazione mondializzante è sempre più accompagnata dal proprio negativo, che essa produce come controeffetto: la balcanizzazione. Il mondo diviene sempre più uno, ma, nello stesso tempo, diviene sempre più diviso. Paradossalmente, è l'era planetaria stessa che ha permesso e favorito il frazionamento generalizzato in Stati-nazione: in effetti, la domanda emancipatrice di nazione è stimolata da un movimento di ritorno alle origini nell'identità ancestrale, che si attua in reazione alla corrente planetaria di omogeneizzazione di civiltà, e questa domanda è intensificata dalla crisi generalizzata del futuro.

Gli antagonismi fra nazioni, fra religioni, fra laicità e religione, fra modernità e tradizione, fra democrazia e dittatura, fra ricchi e poveri, fra Oriente e Occidente, fra Nord e Sud si nutrono a vicenda, e a ciò si mescolano gli interessi strategici ed economici antagonisti delle grandi potenze e delle multinazionali votate al profitto. Tutti questi antagonismi si incontrano in zone che sono allo stesso tempo d'interferenza e di frattura, come la grande zona sismica del globo che parte dall'Armenia/Azerbaigian, attraversa il Medio Oriente e arriva fino al Sudan. Essi si esasperano là dove ci sono religioni ed etnie frammiste, frontiere arbitrarie fra Stati, rivalità e ingiustizie di ogni tipo, come in Medio Oriente.

Così il XX secolo ha, nello stesso tempo, creato e frazionato un tessuto planetario unico; i suoi frammenti si sono isolati, irrigiditi, si sono combattuti fra loro. Gli Stati dominano la scena mondiale come titani brutali e ubriachi, potenti e impotenti. Nello stesso tempo, l'irruzione tecnico-industriale sul globo tende a sopprimere molte diversità umane, etniche, culturali. Lo stesso sviluppo ha creato più problemi di quanti ne abbia risolti, e conduce alla crisi profonda di civiltà che affligge le società prospere d'Occidente.

Concepito in modo solo tecnico-economico, lo sviluppo a breve termine è insostenibile. Abbiamo bisogno di un concetto più ricco e complesso dello sviluppo, che sia nello stesso tempo materiale, intellettuale, affettivo, morale...

Il XX secolo non è uscito dall'età del ferro planetaria, vi è sprofondato.

Le eredità del XX secolo

L'eredità del progresso e della barbarie

E’ evidente che il XX secolo ha compiuto progressi inauditi in ogni ordine di conoscenza scientifica, progressi medici considerevoli nei farmaci e nella chirurgia, progressi emancipatori nell'uso delle macchine industriali, personali (automobile), domestici (elettrodomestici).

Ma il XX secolo è stato anche quello dell'alleanza di due barbarie: la prima viene dal fondo dei tempi e porta guerra, massacro, deportazione, fanatismo. La seconda, gelida, anonima, proviene dall'interno di una razionalizzazione che conosce soltanto il calcolo ignora gli individui, le loro carni, i loro sentimenti, le loro anime, moltiplicando le potenze di morte e di asservimento tecno-industriali.

Per superare questa era barbara è necessario innanzi tutto riconoscere la sua eredità. Questa eredità è doppia, nel contempo di morte e di nascita.

L'eredità di morte

II XX secolo sembra aver dato ragione all'atroce formula di Kafka: l'evoluzione umana è una crescita della potenza di morte.

La morte introdotta dal XX secolo non è soltanto quella delle decine di milioni di morti delle due guerre mondiali e dei campi di sterminio nazisti e sovietici, è anche quella delle due nuove potenze di morte.

La prima è la possibilità della morte globale di tutta l'umanità per mezzo dell'arma nucleare. Questa minaccia non si è dissipata all'inizio del terzo millennio; al contrario cresce con la disseminazione e la miniaturizzazione della bomba. La potenzialità di autoannientamento accompagna ormai la marcia dell'umanità.

I nuovi pericoli

La seconda è la possibilità della morte ecologica. A partire dagli anni Settanta abbiamo scoperto che deiezioni, emanazioni, esalazioni del nostro sviluppo tecnico industriale urbano degradano la biosfera e minacciano di avvelenare irrimediabilmente il mondo vivente di cui facciamo parte; il dominio sfrenato della natura attraverso la tecnica conduce l'umanità al suicidio.

D'altra parte, forze di morte che credevamo in liquidazione si sono ribellate: il virus dell'AIDS ci ha invaso, primo a comparire fra nuovi virus ignoti, mentre i batteri che credevamo eliminati ritornano con nuova resistenza agli antibiotici. Così, la morte si è reintrodotta con virulenza nei nostri corpi che ritenevamo già asettici.

Infine, la morte ha guadagnato terreno all'interno delle nostre anime. Le potenze di autodistruzione, latenti in ciascuno di noi, si sono attivate in modo particolare, con l'aiuto di droghe pesanti come l'eroina, ovunque si moltiplicano e crescono le solitudini e le angosce.

Così, la minaccia plana su di noi con l'arma termonucleare, ci circonda con il degrado della biosfera, è potenziale in ciascuno dei nostri abbracci, si annida nelle nostre anime con il richiamo mortifero delle droghe.

Morte della modernità

La civiltà nata in Occidente, mollando gli ormeggi con il passato, pensava di dirigersi verso un futuro di progresso all'infinito, grazie ai progressi congiunti della scienza, della ragione, della storia, dell'economia, della democrazia. Noi abbiamo compreso, con Hiroshima, che la scienza era ambivalente. Abbiamo visto la ragione regredire e il delirio staliniano indossare la maschera della ragione storica; abbiamo visto che non c'erano leggi della Storia a guidare irresistibilmente verso un avvenire radioso. Abbiamo visto che il trionfo della democrazia non era definitivamente assicurato in nessun posto. Abbiamo visto che lo sviluppo industriale poteva comportare devastazioni culturali e inquinamenti mortiferi. Abbiamo visto che la civiltà del benessere poteva produrre nello stesso tempo malessere. Se la modernità si definisce attraverso la fede incondizionata nel progresso, nella tecnica e nella scienza, nello sviluppo economico, allora questa modernità è morta.

La speranza

Se è vero che il genere umano possiede in sé risorse creative inesauribili, allora possiamo intravedere per il terzo millennio la possibilità di una nuova creazione, della quale il XX secolo ha portato i germi e gli embrioni: quella di una cittadinanza terrestre. E l'educazione, che è nel contempo trasmissione del passato e apertura della mente per accogliere il nuovo, è al centro di questa nuova missione.

L'apporto delle contro-correnti

II XX secolo ha lasciato in eredità, verso la fine, alcune contro-correnti rigeneratrici. Spesso nella storia, contro-correnti nate come reazione alle correnti dominanti possono svilupparsi e deviare il corso degli eventi. Rileviamo in particolare

- la controcorrente ecologica, che la crescita del degrado e il sorgere di catastrofi tecnico-industriali non possono che far crescere;

- la controcorrente qualitativa che, in reazione all'invasione del quantitativo e dell’uniformizzazione generalizzate, si manifesta nella qualità in tutti gli ambiti, a cominciare dalla qualità della vita;

-la controcorrente di resistenza alla vita prosaica puramente utilitaristica, che si manifesta attraverso la ricerca di una vita poetica, votata all'amore, all'incanto, alla passione, alla festa;

- la controcorrente di resistenza al primato del consumo standardizzato, che si manifesta in due maniere opposte: l'una attraverso la ricerca di una intensità vissuta ("consumazione"), l'altra con la ricerca di frugalità e di temperanza;

- la controcorrente, ancora timida, di emancipazione nei confronti della tirannia onnipresente del denaro, che si cerca di controbilanciare con le relazioni umane e solidali facendo arretrare il regno del profitto;

-la controcorrente, anche questa timida, che, in reazione allo scatenarsi della violenza, alimenta etiche della pacificazione delle anime e delle menti.

Nello stesso modo, possiamo pensare che tutte le aspirazioni che hanno alimentato le grandi speranze rivoluzionarie del XX secolo, ma che sono andate deluse, possono rinascere sotto forma di una nuova ricerca di solidarietà e di responsabilità.

Potremmo allo stesso modo sperare che il bisogno di ritorno alle origini, che oggi anima i frammenti dispersi dell'umanità e che sollecita la volontà di assumere identità etniche o nazionali, possa farsi più profondo e ampio senza negare se stesso, nel ritorno alle origini in seno all'identità umana di cittadini della Terra-Patria.

Tutte queste correnti promettono di intensificarsi e di ampliarsi nel corso del XXI secolo, e di costituire molteplici inizi di trasformazione; ma la vera trasformazione potrà compiersi solo quando tali correnti si trasformeranno a vicenda le une con le altre, operando così una trasformazione globale che retroagisca sulle trasformazioni di ciascuna.

Si può sperare in una politica al servizio dell'essere umano che sia inseparabile da una politica di civiltà, che apra la strada per civilizzare la Terra concepita come casa e giardino comune dell'umanità.

Nel gioco contraddittorio dei possibili

Una delle condizioni fondamentali per una evoluzione positiva è che le forze emancipatrici inerenti alla scienza e alla tecnica possano superare le forze di morte e di asservimenlo. Gli sviluppi delle tecnoscienze sono ambivalenti. Hanno ristretto la Terra, permettono a tutti i punti del globo di essere in comunicazione immediata, forniscono i mezzi per nutrire l'intero pianeta e per assicurare a tutti gli abitanti un minimo di benessere, ma hanno creato le peggiori condizioni di morte e di distruzione. Gli umani assoggettano le macchine che assoggettano l'energia mentre sono essi stessi da questa assoggettati. La saga di fantascienza Hyperion di Dan Simmons ipotizza che in un millennio del futuro le intelligenze artificiali (lA) avranno addomesticato gli umani, senza che questi ne siano consapevoli, e si prepareranno a eliminarli. Il romanzo descrive peripezie sorprendenti, al termine delle quali un ibrido di umano e di IA, portatore dell'anima del poeta Keats, annuncia una nuova saggezza. Questo è il problema cruciale che si pone già dal XX secolo: saremo noi a essere assoggettati dalla tecnosfera o potremo vivere in simbiosi con questa?

Le possibilità offerte dallo sviluppo delle scienze biologiche sono ugualmente prodigiose nel bene e nel male. La genetica e la manipolazione molecolare del cervello umano permetteranno normalizzazioni e standardizzazioni finora mai riuscite con gli indottrinamenti e le propagande sulla specie umana. Ma esse permetteranno l'eliminazione di tare handicappanti, una medicina predittiva, il controllo del cervello a opera della mente e, con l'aiuto delle colture di organi, l'allontanamento della morte individuale.

L'ampiezza e l'accelerazione attuale delle trasformazioni sembra annunciare una mutazione ancora più considerevole di quella che, nel neolitico, provocò il passaggio dalle piccole società arcaiche di cacciatori-raccoglitori senza Stato, senza agricoltura ne città, alle società storiche che da otto millenni dilagano sul pianeta.

Possiamo contare anche sulle inesauribili fonti dell'amore umano. Certo, il XX secolo ha sofferto orribilmente di carenza di amori, di indifferenza, di durezza e di crudeltà. Ma ha anche prodotto un eccesso d'amore, rivolto ai miti menzogneri, alle illusioni, alle false divinità, o pietrificato in piccoli feticismi.

Ci è dato ugualmente sperare nelle possibilità cerebrali dell'essere umano, che sono ancora in gran parte non sfruttate; la mente umana potrà sviluppare capacità ancora ignote dell'intelligenza, della comprensione, della creatività. Poiché le possibilità sociali sono in relazione con quelle cerebrali, nulla può assicurare che le nostre società abbiano esaurito le loro possibilità di miglioramento e di trasformazione e che siamo giunti alla fine della Storia. Ci è dato sperare in un progresso nelle relazioni fra esseri umani, individui, gruppi, etnie, nazioni.

La possibilità antropologica, sociologica, culturale, spirituale di progresso ripristina il principio di speranza, ma senza certezza "scientifica", né promesse "storiche". E una possibilità incerta, che dipende molto dalla presa di coscienza, dalla volontà, dal coraggio, dalla fortuna... Così, la presa di coscienza è divenuta urgente e primordiale.

Ciò che comporta il pericolo peggiore porta anche le speranze migliori: è la mente umana stessa, e per questo il problema della riforma del pensiero è divenuto vitale.

L'identità e la coscienza terrestre

L'unione planetaria è l'esigenza razionale minima di un mondo ristretto e interdipendente. Tale unione ha bisogno di una coscienza e di un sentimento di reciproca appartenenza che ci leghi alla nostra Terra considerata come prima e ultima Patria.

Se la nozione di patria comporta un'identità comune, nata da un rapporto di affiliazione affettiva a una sostanza nel contempo materna e paterna (insita nel termine femminile-maschile di patria), come comunità di destino, allora possiamo introdurre la nozione di Terra -Patria.

Come abbiamo indicato nel capitolo terzo, abbiamo tutti un'identità genetica, cerebrale, affettiva comune che attraversa le nostre diversità individuali, culturali, sociali. Siamo nati dallo sviluppo della vita di cui la Terra è stata matrice e nutrice. Infine, tutti gli esseri umani, dal XX secolo, vivono gli stessi problemi fondamentali di vita e di morte, e sono legati gli uni agli altri nella stessa comunità di destino planetario.

Così, dobbiamo imparare a "esserci" sul pianeta. Imparare a esserci significa: imparare a vivere, a condividere, a comunicare, a essere in comunione; è ciò che si imparava soltanto nelle e con le culture singolari. Abbiamo bisogno ormai di imparare a essere, a vivere, a condividere, a comunicare, essere in comunione anche in quanto umani del pianeta Terra. Non dobbiamo più essere solo di una cultura, ma anche essere terrestri. Dobbiamo impegnarci non a dominare, ma a prenderci cura, migliorare, comprendere. Dobbiamo inscrivere in noi

- la coscienza antropologica, che riconosce la nostra unità nella nostra diversità;

- la coscienza ecologica, ossia la coscienza di abitare, con tutti gli esseri mortali, una stessa sfera vivente (biosfera). Il conoscere il nostro legame consustanziale con la biosfera ci porta ad abbandonare il sogno prometeico del dominio dell'universo per alimentare, al contrario, l'aspirazione alla convivialità sulla Terra;

- la coscienza civica terrestre, ossia la coscienza della responsabilità e della solidarietà per i figli della Terra;

- la coscienza dialogica, che nasce dall'esercizio complesso del pensiero e che ci permette nel contempo di criticarci fra noi, di autocriticarci e di comprenderci gli uni gli altri.

Dobbiamo non più opporre l'universale alle patrie, bensì legare concentricamente le nostre patrie - familiari, regionali, nazionali, europee - e integrarle nell'universo concreto della patria terrestre. Non si deve più opporre un futuro radioso a un passato di servitù e di superstizione. Tutte le culture hanno le loro virtù, le loro esperienze, le loro saggezze e nello stesso tempo le loro carenze e le loro ignoranze. E ritrovando le origini nel passato che un gruppo umano trova l'energia per affrontare il suo presente e preparare il futuro. La ricerca di un avvenire migliore deve essere complementare e non più antagonista con il ritorno alle origini nel passato. Ogni essere umano, ogni collettività deve irrigare la propria vita con una circolazione incessante fra il passato, in cui radica la sua identità riallacciandosi ai propri ascendenti, il presente, in cui afferma i suoi bisogni, e un futuro nel quale proietta le sue aspirazioni e i suoi sforzi.

In questo senso gli Stati possono avere un ruolo decisivo, ma a condizione di accettare, nel loro stesso interesse, di abbandonare la sovranità assoluta su tutti i grandi problemi di comune utilità e soprattutto sui problemi di vita o di morte che superano la loro competenza isolata. In ogni modo, l'era di fecondità degli Stati nazionali dotati di potere assoluto è compiuta, il che significa che occorre non disintegrarli, ma rispettarli integrandoli in insiemi e facendo loro rispettare l'insieme di cui fanno parte.

Il mondo confederato deve essere policentrico e acentrico non solo politicamente, ma anche culturalmente. L'Occidente che si provincializza sente in sé un bisogno di Oriente, mentre l'Oriente intende rimanere se stesso occidentalizzandosi. Il Nord ha sviluppato il calcolo e la tecnica, ma ha perduto la qualità della vita, mentre il Sud, tecnicamente arretrato, coltiva ancora le qualità della vita. Una dialogica deve ormai rendere complementari Oriente e Occidente, Nord e Sud.

La reliance deve sostituirsi alla disgiunzione e affidarsi alla "simbiosofia", la saggezza di vivere insieme.

L'unità, il meticciato e la diversità devono svilupparsi contro l'omogeneizzazione e la chiusura. Il meticciato non è solo una creazione di nuove diversità a partire dall'incontro; diviene, nel processo planetario, prodotto e produttore di reliance e di unità. Introduce la complessità nel cuore dell'identità meticcia (culturale o razziale). Certo, ognuno può e deve, nell'era planetaria, coltivare la sua poli-identità che permette di integrare le diverse identità: familiare, regionale, etnica, nazionale, religiosa o filosofica, continentale e terrestre. Ma il meticcio può sviluppare una poli-identità a partire dalla sua bipolarità familiare - bipolarità etnica, nazionale, se non continentale - e così costituire in sé una identità complessa pienamente umana.

Si impone il doppio imperativo antropologico: salvare l'unità umana e salvare la diversità umana. Sviluppare le nostre identità nel contempo concentriche e plurali: quella della nostra etnia, quella della nostra patria, quella della nostra comunità di civiltà, quella infine di cittadini terrestri.

Siamo impegnati, a livello dell'umanità planetaria, a continuare l'opera essenziale della vita che è di resistere alla morte. Civilizzare e solidarizzare la Terra, trasformare la specie umana in vera umanità diventano l'obiettivo fondamentale e globale di ogni educazione che aspiri non solo a un progresso, ma alla sopravvivenza dell'umanità. La coscienza della nostra umanità in questa era planetaria dovrebbe condurci alla solidarietà e alla commiserazione reciproche, di ciascuno per ciascuno, di tutti per tutti. L'educazione dovrà comprendere un'etica della comprensione planetaria.



http://www.itsos.gpa.it/storia/rass/rass/morin.rtf



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