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Storia
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Wajda e l' eccidio di Katyn - Intervista - Repubblica — 25 luglio 2007



Lingua: Italiana
Destinatari: Alunni scuola media superiore, Formazione permanente, Formazione post diploma
Tipologia: Documentazione

Abstract:

Wajda e l' eccidio di Katyn

Per chi si dedica oggi al triste esercizio di voler stabilire se sia stato il nazismo oppure lo stalinismo ad avere raggiunto il più alto grado di atrocità del ventesimo secolo, il caso di Katyn appare emblematico. Nel rimbalzarsi la responsabilità dell' esecuzione segreta, perpetrata nella primavera del 1940, di decine di migliaia di ufficiali polacchi prigionieri di guerra, in una foresta russa non lontana da Smolensk, sovietici e nazisti rivelano, infatti, al di là delle loro ideologie, la potenziale interscambiabiltà dei loro crimini e delle loro menzogne. E' solo nel 1992, quando ormai l' URSS non esisteva più, che il presidente russo Boris Elstin offriva al presidente polacco Lech Walesa l' ordine scritto dato da Stalin alla NKVD di sopprimere 27.700 cittadini polacchi - colpevoli di combattere contro l' invasione nazista e «nemici incorreggibili «del potere sovietico».
 
Ammissione tardiva di una verità di cui i polacchi, nonostante la censura comunista, erano al corrente da molto tempo. Era infatti in nome non già della razza ma della lotta di classe e di un preciso calcolo politico che un' intera élite era stata seppellita nelle fosse comuni di Katyn, privando così la Polonia della guida di buona parte della sua classe dirigente tradizionale. Per più di mezzo secolo, dunque, la Polonia sovietica ha dovuto vivere questo immenso lutto nazionale sotto il segno della censura e della menzogna, ed ora che la verità su Katyn ha smesso di essere un argomento tabù ed è entrata nei libri di storia, vi era bisogno di un drammaturgo capace di evocarne l' intera tragedia, consentendone la catarsi collettiva.
 
Non è sorprendente che sia Andrzej Wajda ad avere raccolto la sfida con Post Mortem. Storia di Katyn, un film (tratto dal libro di Andrzej Mularczyk) la cui preparazione ha impegnato il regista per anni e di cui, non a caso, è prevista l' uscita il 17 settembre, ricorrenza dell' anniversario dell' aggressione della Russia alla Polonia del 1939. Chi, in effetti, più del maggiore e più famoso cineasta polacco aveva le carte in regola per affrontare la vicenda di Katyn? Nel corso della sua vastissima opera costellata di capolavori Wajda non ha forse raccontato in modo esemplare tanto gli avvenimenti tragici dell' ultima guerra - l' occupazione e la resistenza in Generazione e in I dannati di Varsavia, il ghetto in Il dottor Korczak - , quanto la lotta condotta nel dopoguerra dal suo popolo per la libertà con film come L' uomo di marmo e L' uomo di ferro? Ma è a Wajda stesso che abbiamo chiesto di illustrarci le ragioni della sua scelta. E se la drammaticità e la delicatezza dell' argomento affrontato e la grande aspettativa che incombe sul film non sembrano apparentemente fare breccia nella corazza di cortese riserbo del grande regista, si avverte molta tensione nelle sue risposte.
 
Seduto su una poltrona davanti a me, l' elegante, fragile signore ottantenne che è da tempo entrato nella leggenda del cinema, soppesa le parole, come se ne bastasse una sbagliata per rendere la verità di Katyn indicibile.
 
Signor Wajda, perché un film su Katyn oggi?
 
«Per due ragioni. In primo luogo perché fino ad oggi la cinematografia polacca non aveva realizzato un film su questo avvenimento. Un avvenimento che ritengo capitale per noi, non solo dal punto di vista storico ma dal punto di vista dell' esperienza spirituale di tutta la nazione e che, dunque, doveva assolutamente trovare la sua traduzione nel cinema. In secondo luogo per una ragione personale: mio padre faceva parte degli ufficiali che furono vittime del massacro».
 
All' epoca di Katyn lei aveva diciott' anni. Quando e in che modo è venuto a conoscenza di quel che era successo e come ricorda di avere vissuto personalmente la tragedia?
 
«La mia famiglia ed io l' abbiamo saputo esattamente come tutti gli altri, vale a dire durante l' occupazione. I tedeschi pubblicarono le prime informazioni sui loro giornali subito dopo la scoperta delle fosse di Katyn nel 1943. Ed è su questa lista tedesca che la mia famiglia ha trovato il nome di mio padre. Personalmente ho vissuto l' eccidio di Katyn attraverso la tragedia di mia madre che, fino a qualche anno prima di morire, non ha mai potuto credere che suo marito non sarebbe più ritornato».
 
Allora si sapeva già che erano i sovietici ad essere responsabili del massacro?
 
«Debbo riconoscere che noi stessi, vista l' esperienza di mia madre, della mia famiglia e, in generale, dei polacchi, abbiamo creduto alla responsabilità dei nazisti. Conoscendo già il loro comportamento da assassini in Polonia, sapendo di cosa erano capaci, abbiamo pensato di trovarci davanti a una manipolazione tedesca. E' soltanto negli anni Cinquanta, nel corso di un mio soggiorno a Parigi, che per la prima volta ho avuto modo di venire a conoscenza dei documenti riguardanti Katyn pubblicati da Kultura, la rivista dei dissidenti polacchi in esilio. Ed è allora che mi sono reso chiaramente conto che si trattava di un massacro sovietico».
 
Quali sono i motivi che hanno indotto i sovietici a perpetrare questo immenso crimine?
 
«A mio avviso ci sono delle ragioni precise per cui l' Unione Sovietica ha agito in questo modo. Innanzitutto Stalin voleva privare la Polonia delle sue élites intellettuali più attive e influenti. Non bisogna dimenticare che la maggior parte degli ufficiali assassinati erano militari di riserva e non di mestiere - medici, avvocati, professori, oltre a numerosi preti e rabbini - e né Stalin, né i suoi accoliti ritenevano possibile «convertire» questo tipo di persone al nuovo sistema ideologico. Inoltre i militari che hanno trovato la morte a Katyn avevano partecipato alla guerra del 1920. Erano loro che avevano difeso vittoriosamente Varsavia dall' offensiva dell' armata rossa. E questo smacco si era impresso a caratteri di fuoco nella memoria di Stalin, condizionando psicologicamente tutto il suo comportamento successivo. Vi era in lui la volontà di sopprimere i colpevoli della sua precedente disfatta. D' altronde, di per sé, il massacro di Katyn non è un avvenimento senza precedenti nella storia dell' URSS. Esattamente negli stessi luoghi erano già state sepolte un gran numero di altre vittime - in questo caso russi che si opponevano allo stalinismo - massacrate nel 1935, nel 1936, nel 1937».
 
Sovente, nei suoi film - penso, ad esempio, a L' uomo di marmo (1976), o a Sotto anestesia (1978) - lei ha affrontato il tema della manipolazione della verità da parte del potere. Il modo in cui il delitto di Katyn è stato dissimulato non ne costituisce un terribile esempio? Gli alleati, che pure sapevano chi erano i veri colpevoli, non vollero denunciare i russi per non compromettere l' alleanza con Stalin contro Hitler, e la Polonia comunista del dopoguerra, sotto la pressione della dittatura sovietica, fece di Katyn un argomento tabù grazie anche al sostegno di un certo numero di intellettuali che si rifiutavano di considerare Stalin alla stregua di Hitler. Non è così?
 
«In effetti, sì. Durante tutto il periodo della repubblica popolare polacca non vi è stato un solo momento in cui il potere sia stato disposto a dire la verità su Katyn. Nessun film sull' argomento ha potuto vedere la luce. Le autorità ritenevano comunque che nessuna produzione cinematografica pro - sovietica sarebbe stata in grado di convincere il pubblico e che di conseguenza era meglio evitare di affrontare la questione. Dunque niente libri, niente film, niente articoli, niente dibattiti. Di fatto il silenzio su Katyn ha costituito un ostacolo gravissimo per le relazioni polacco-sovietiche e ha continuato a pesare drammaticamente sul corso degli ultimi cinquant' anni della nostra storia. Ricordiamoci che subito dopo la vittoria del 1945, Mosca ebbe la diabolica idea di istruire in Polonia un processo in cui si faceva ricadere la responsabilità di Katyn sui tedeschi. Le amministrazioni competenti incominciarono a raccogliere la documentazione necessaria, ma l' idea venne poi abbandonata perché Stalin decise di portare il caso davanti al tribunale di Norimberga per mondare davanti all' opinione internazionale l' URSS da ogni sospetto. Oggi sappiamo che il procuratore sovietico che aveva osato suggerire a Stalin di astenersi dal presentare il dossier a Norimberga, venne assassinato il giorno dopo dal KGB, anche se poi il dittatore finì per rinunciare al suo progetto. Qualche anno fa, al momento dell' uscita di Enigma, molte personalità polacche hanno protestato contro il film che raccontava, per l' appunto, della scoperta fatta dagli alleati della colpevolezza russa del massacro di Katyn grazie al lavoro di decodificazione degli ascolti radio svolto dagli ingegneri polacchi. Nel film uno dei tecnici polacchi era talmente sconvolto dalla decisione delle autorità britanniche di occultare la notizia per non lasciare trapelare di avere scoperto il codice usato dai nemici da decidere di passare dalla parte dei tedeschi. Le sembra una storia plausibile?
 
«Le proteste - che mostrano quanto questa storia continui ad essere dolorosa e importante per i polacchi - dipendevano dal fatto che i miei compatrioti pensavano che quel film tradisse la verità tanto sul ruolo avuto dai polacchi nella scoperta della chiave di decodificazione di Enigma quanto sulle conseguenze che ne erano derivate nel corso della guerra. Una cosa va detta: l' atteggiamento degli alleati davanti al massacro di Katyn ha gettato un' ombra fra la Polonia e le democrazie occidentali, perché il loro atteggiamento è stato percepito come un autentico tradimento. Questa è, d' altronde, una delle ragioni per cui, a partire dal 1945, quando già si sapeva chi erano i veri responsabili del massacro, una parte della élite intellettuale polacca ha optato per il comunismo».
 
Ma non era una scelta contraddittoria?
 
«Non necessariamente. I polacchi avevano capito che gli alleati li avevano abbandonati in balia di Stalin. Di colpo, rimasti soli a fronteggiarlo, profondamente delusi dall' Occidente, alcuni di loro si erano rassegnati a considerare il sistema come l' unica realtà possibile».
 
E lei come ha deciso di raccontare questa terribile storia nel suo film?
 
«La sceneggiatura doveva prendere in considerazione due fattori: il crimine di Katyn e la menzogna di Katyn. Ora, mentre l' evocazione del crimine richiedeva un film d' azione, la ricostruzione della menzogna doveva avvalersi delle modalità narrative proprie di un film psicologico. Ed è così che è stato costruito il film. L' inizio mostra gli ufficiali polacchi presi prigionieri dai sovietici e la loro vita nel campo di internamento; la fine è la ricostruzione del massacro nella foresta di Katyn nella primavera del 1940. Invece la parte centrale del film si svolge nel 1945, a Cracovia, sotto l' occupazione dell' esercito sovietico, e mostra le famiglie delle vittime di Katyn in preda all' angoscia che indagano e si interrogano sulla credibilità della versione ufficiale russa che sosteneva che il massacro era stato commesso dai nazisti nel 1941. Che cercano, insomma, in tutti i modi di scoprire la verità».
 
Che cosa rappresenta Katyn per la Polonia di oggi?
 
«La memoria della strage è radicata nel popolo polacco e gli anni di menzogne hanno contribuito a trasmetterla intatta alle generazioni successive al 1945. Tuttavia, da quando, nel 1989, la Polonia ha ritrovato la libertà il suo ricordo è meno vivo nei giovani. Di qui la necessità di rinvigorirlo puntando sulle date più importanti di quel periodo, a cominciare dal 17 settembre 1939, la data dell' invasione delle forze armate russe in Polonia in virtù del patto Rebentropp-Molotov».
 
Tempo fa lei ha dichiarato: "non ho cercato di evocare gratuitamente delle epoche trascorse, delle grandi figure, delle battaglie, insomma tutto ciò che chiamano storia. Ho tentato, al contrario, di descrivere degli esseri di carne e di sangue travolti dal corso della storia. Sono piuttosto i loro destini a darci il senso della storia".
 
«Questa affermazione vale anche per Post Mortem. Storia di Katym. Ancora una volta non si tratta di una ricostruzione cinematografica di eventi storici ma di una trascrizione di destini umani. E tra questi destini c' è anche il ricordo di quello di mia madre che non ha mai voluto accettare la verità ed ha continuato a sperare nel ritorno di mio padre».
 
Nel corso degli anni, per definire il suo stile, i critici hanno via via fatto ricorso ai termini di realismo, neorealismo, barocco, preziosismo, simbolismo. Quale le sembra oggi il più appropriato?
 
«La mia evoluzione è andata di pari passo con il cinema europeo di cui faccio parte. Nel corso di questi cinquant' anni ho sperimentato stili e correnti diverse. A cominciare dal neorealismo italiano di Rossellini. Ho cercato di trovarvi di volta in volta il mio posto man mano che apparivano nuovi temi e nuovi stili e che il pubblico cambiava. Tuttavia mi sono sempre sentito «al servizio» dei temi e degli autori che volevo evocare nei miei film».
 
Si può parlare, al di là di tutte queste metamorfosi, di uno «stile Wajda»?
 
«Quello che potrei indicare come elemento caratteristico di tutti i miei film e l' importanza delle immagini. Faccio un uso relativamente ridotto dei dialoghi per consentire una maggiore «visualità».
 
Eppure anche le immagini, non meno delle parole, possono trasformarsi in ostacoli, costrizioni. Faccio dunque sempre molta attenzione a far sì che ciò non avvenga e sono sempre alla ricerca di immagini comprensibili a tutti, di immagini universali».
 
- VARSAVIA


http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2007/07/25/wajda-eccidio-di-katyn.html



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