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Educazione fisica
Il padrone bianconero. Un articolo di GIORGIO BOCCA

Lingua: Italiana
Destinatari: Alunni scuola media superiore, Formazione permanente
Tipologia: Documentazione

Abstract: COMMENTO

Il padrone bianconero

di GIORGIO BOCCA

LEGGENDO le cronache amare dello scandalo Juventus mi è parso di ritornare a una storia nota, una storia piemontese e monarchica dove re onnipotenti e amati dagli umili per la loro onnipotenza, si circondano di corti tanto brave a gestire il potere e i privilegi quanto ipocrite nel celebrare virtù che non hanno uno stile signorile e corretto mentre si dilaniano per la spartizione del bottino: lo stile Savoia o lo stile Juventus. E forse questa ambiguità è di tutte le grandi istituzioni del nostro come di altri paesi. Le cronache, le congetture sullo scandalo Juventus sono in certo modo la copia delle memorie appena uscite di Giorgio Garuzzo, dirigente di industria, dal titolo "Fiat i segreti di un'epoca".

Una storia di uomini eccellenti nel lavoro e nell'organizzazione, ma perdutamente presi dalla vicenda cortigiana, dalla lotta senza esclusione di colpi per assicurarsi il favore del sovrano, per disputarsi cariche e prebende. Nella caduta degli dèi juventini vien fuori che la preoccupazione maggiore di Luciano Moggi, il direttore generale, è stata, nei giorni spasmodici dello scandalo, di contrattare la liquidazione più alta, e di Giraudo, amministratore delegato, di difendere i dieci milioni di euro che valgono le sue azioni della società. Di Bettega, il terzo della triade, si sa soltanto che al momento del congedo ha pianto senza nascondere le lacrime, non si sa se per la caduta dall'altare o per la perdita degli emolumenti.

Nella difficile circostanza, la famiglia reale degli Agnelli si è attenuta alla tradizione monarchica dei Savoia nei giorni cupi dello scandalo della Banca Romana: ha preso le distanze dai margniffoni della "triade" e, per la bocca di John Elkann, quasi ispirandosi al padre della patria e a Cavour, ha ripetuto il "non siamo indifferenti al grido di dolore" del desolato popolo juventino, pare venti milioni di tifosi in Italia e all'estero che spiegano le tentazioni e i peccati della triade e della proprietà, una riserva pubblicitaria valutabile in decine di miliardi per cui, a dire le cose come stanno, tutti, dal sovrano ai cortigiani, pensavano che valesse la pena di conservarla sia pure a mezzo di telefonini blindati e di arbitri corrotti.
Cercare l'onesto nel banchetto generale juventino è una fatica persa in partenza: il simpatico portiere Buffon scommetteva due milioni di euro sulle partite, il simpaticissimo Vialli chiedeva a un suo fornitore una partita di cocaina - "mi raccomando abbondante" - e tutti assieme dirigenti e giocatori, milanisti e juventini avevano fatto del Napoli soccer una loro filiale dove collocare i giovani promettenti ed essere presenti nel mercato emergente del sud. Quando l'ho scritto in un libro il presidente del Napoli De Laurentis ha detto che sono troppo vecchio per capire Napoli e il calcio napoletano.

Purtroppo sono molto vecchio per capirlo benissimo, visto che la procura di Napoli è la prima ad indagare sui suoi vizi. Se poi è vero, come si legge, che il via allo scandalo e alle indagini è stato dato da dirigenti dell'Inter, la storica rivale milanese, si può pensare che nel nostro calcio "il più pulito è uno che ha il cancro".

Noi siamo dei pochi che dubitano di un'età dell'oro del nostro calcio. Le cose sono andate sempre così. L'ex giocatore e factotum della Juventus Boniperti era il padrone del mercato dei calciatori, aveva il diritto di prima scelta, solo che era uno di Pertengo, delle risaie vercellesi e non un capostazione vanesio e chiacchierone come Luciano Moggi. Se una squadra di calcio vince tutto per settant'anni e ha alle spalle un gigante industriale, non ha bisogno di chiedere dei favori perché tutti sono pronti a farglieli, si crea un tale incantamento che i tifosi, la gente comune se ne fa un'immagine diversa e migliore di quella reale, un'immagine superiore persino alla lotta di classe, con il Togliatti juventino, e il siciliano Anastasi diventato l'idolo degli operai piemontesi del Lingotto. Ma la fame dell'oro era già forte nella Juventus del quinquennio dei cinque campionati consecutivi vinti. Ricordo un allenatore austriaco, Sturmer, mi pare, che quando andai a Torino per fare un provino alla Juventus si informava del mio rapporto con il denaro, mi metteva in guardia dal diventare avido come il terzino Rava o come i sudamericani Monti e Cesarini, ma io non capivo di che parlasse: la Juventus per un ragazzo di provincia era un sogno, una riunione di tutte le virtù sportive e civili.

L'attuale scandalo è simile nelle sue rivelazioni e nelle sue dimensioni a quello di Mani pulite: vi si riconoscono una corruzione e anche una disastrosa caduta di stile a tutti nota e che tutti avevano in qualche modo constatato, ma che nessuno ammetteva fosse solo nel calcio, per restare fedeli alla bella favola appresa negli anni giovanili in cui si faceva la collezione delle figurine dei giocatori juventini e si sapeva a memoria la formazione Combi, Rosetta, Caligaris; la favola della "vecchia signora" dello "stile Juventus" mai esistito nella pratica, sempre nella leggenda. A Torino, come a Milano, come a Roma nelle "tribune di onore", si sono sempre dati convegno la domenica, per la partita di pallone, come diceva la canzone che piaceva a Togliatti, dei borghesi sanguigni che vi sfogavano i loro istinti violenti e la loro voglia di comando e di privilegi.

Un altro effetto pestifero di questo immoralismo diffuso, di questa abitudine a pensare che nella vita reale tutto sia truffa o inganno e oggi, e a scandalo esploso, lo spostarsi di massa dall'assolutorio all'accusatorio che ha la sua manifestazione più ripugnante nelle trasmissioni sportive della televisione in cui platee di energumeni ripetono le forme evangeliche delle plebi che assolvono Barabba e chiedono la crocifissione del Cristo, assemblee orrende di cortigiani ciechi che si mutano in accusatori impietosi. E viceversa uomini dalla condiscendenza infinita come quelli che dai fogli berlusconiani oggi piangono su Cesare Previti e imprecano alla ferocia dei suoi avversari, come se parlassero di un agnellino e non di uno che ha commesso il peggior dei delitti sociali come la corruzione di magistrati. C'è qualcosa da rivedere urgentemente nell'ambiguità in cui viviamo e di cui lo scandalo della Juventus è un esempio. C'è da rimettere a fuoco, a confronto, la morale corrente con la morale delle leggi; c'è da capire come una società senza Dio possa continuare a fingere di essere a Dio devotissima, come la pratica corrente della corruzione, del furto, dell'ipocrisia possa ogni tanto manifestarsi da dominatrice fra amarezze reali e le finte indignazioni come nello scandalo della Juventus.

Che essendo gestito dagli stessi cortigiani e furfantelli che lo hanno alimentato corre il rischio di apparire esagerato come lo fu Mani pulite. Chi ha fatto sport, chi ha giocato al calcio sa che la storia delle partite comperate e vendute è una esagerazione. Certo un arbitro può fare dei favori, ma le squadre in campo sono di undici persone e pensare che tutte siano d'accordo nell'inganno, pensare che un campionato che dura un anno sia falsificato non ha senso. La Juventus che gli esagitati vorrebbero mettere sotto accusa ha perso nel girone di ritorno qualcosa come dieci punti sulle sue inseguitrici, segno che il preteso aiuto dei corrotti e dei corruttori le serviva a ben poco. Almeno così pensa uno da una vita convinto che il gioco del calcio in Italia senza la Juventus sarebbe impensabile.

(13 maggio 2006)


http://www.repubblica.it/2006/05/sezioni/sport/calcio/commento-bocca/commento-bocca/commento-bocca.html



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