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Clochard di provincia - Aumenta la presenza dei senza dimora nei piccoli centri. - Federica Sasso

Lingua: Italiana
Destinatari: Alunni scuola media inferiore, Alunni scuola media superiore, Formazione post diploma
Tipologia: Documentazione

Abstract:
Aumenta la presenza dei senza dimora nei piccoli centri

Clochard di provincia

C'è chi cerca di "vivere la strada" con un briciolo di umanità in più. Sono i senza dimora che prediligono le piccole città italiane, da San Remo a Bolzano. Stanziali o nomadi, un fenomeno in crescita

- Federica Sasso

La mensa del centro di accoglienza di Savona. Foto di Ermes Beltrami/Emblema

 "La cometa" sembra un oratorio: ping pong e bar analcolico. Ma al posto degli adolescenti, in questa sala colorata nel centro di Savona si danno appuntamento i senza dimora. Situazione di umanità inimmaginabile, nei centri di prima accoglienza per clochard di Milano e Roma. In Italia esistono due tipi di senza dimora: quello "metropolitano", che spesso è un numero anonimo tra le migliaia di persone che bussano ai grandi centri d'ascolto; e quello "di provincia", che non fa notizia.
Terre di mezzo è uscito dalle grandi metropoli, per raccontare l'altra faccia dell'Italia che vive in strada.
I numeri che disegnano la realtà dei senza dimora sono grandi, anche se sempre incerti: nel 2004 a Milano se ne contavano 3000, a Roma la Caritas ne calcola circa 5500 e a Napoli tra le 2000 e 3000 persone. I grandi agglomerati urbani sono da sempre al centro del fenomeno, ma secondo Paolo Pezzana, presidente della Federazione italiana degli organismi per le persone senza dimora (Fio.psd), "da cinque anni la presenza dei senza dimora nei piccoli centri è in crescita costante". Lodi, Bolzano, Mantova, Rimini, San Remo. La lista delle città con meno di 100 mila abitanti attive contro l'emarginazione è lunga come lo Stivale. Nel 2004 l'accoglienza notturna di San Remo ha ospitato 203 persone, di cui 105 italiani e 98 stranieri. Nello stesso anno dal centro d'ascolto di Mantova sono passati in 91, mentre i senza dimora che hanno chiesto aiuto alla Caritas di Albenga sono 78.
"In un posto come Rimini i senza dimora trovano una risposta più adeguata ai propri bisogni -spiega Cristian Gianfreda, responsabile della 'Capanna di Betlemme' di Rimini, una struttura dell'Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII-. Perché le prime necessità sono materiali, ma subito dopo se non in contemporanea emerge un grande bisogno relazionale". Ed è qui che il piccolo centro batte la metropoli. Anche se una grande città come Milano offre servizi che la piccola non può permettersi -docce pubbliche, accoglienze diurne, mense gratuite da 400 pasti al giorno-, sono tanti i senza dimora che le voltano le spalle. Meglio vivere in un posto in cui ci si sente unici, riconosciuti. "La metropoli è per chi sta bene". Nedo Nappelli, responsabile dei servizi Caritas di Imperia, è tassativo. "Mi è capitato spesso di avere ospiti con problemi di salute che mi pregavano di non rispedirli a Milano". E c'è chi dice addio alla confusione. Come B., 48 anni e qualche mese passato per strada, che ha lasciato Torino per il mare. "Non so perché mi sono fermato a Savona, poteva essere qualsiasi posto. Vivere qui significa stare in una dimensione più a misura d'uomo, e io avevo bisogno di calma per riflettere su me stesso e la mia vita". I servizi variano, ma la costante è sempre quella: uno stile legato alle persone.
A Savona, la Fondazione Comunità Servizi della Caritas oltre alla "Cometa" ha creato un laboratorio per i senza dimora che accettano di seguire un percorso di reinserimento lavorativo. L'idea è aiutare queste persone a ricostruire la capacità di lavorare, di tenere dei rapporti ed essere affidabili: elementi fondamentali per chi vuole trovare un impiego all'esterno ma è ancora dipendente dall'alcol o dalla droga.
A Rimini la "Capanna" è una vecchia casa colonica sulle colline. I 20 uomini che la abitano hanno un passato di dipendenza e ora seguono progetti di reinserimento dai tempi lunghissimi, adattati alla storia di ognuno. Un passo avanti verso l'indipendenza poi, sono le case protette. Appartamenti in cui convivono 3 o 4 ospiti che gli operatori giudicano pronti. A Savona da un progetto parrocchiale è nata 'Casa Emmaus', pensata per ricreare un tessuto di relazioni umane intorno ai senza dimora che di volta in volta la abitano. "Un modo per vincere l'emarginazione e farli sentire di nuovo parte della società" dicono alla Caritas.

Sul centinaio di interventi annuali che le piccole città devono gestire, poco più della metà riguarda gli italiani. "In generale si tratta di persone che hanno un legame storico con la città, nate e cresciute qui", spiega Davide Boldrini, operatore dell'Associazione Agape-Casa S.Simone che a Mantova gestisce i servizi diurni della mensa, cambio abiti e docce. Anche a Imperia i servizi sono più orientati verso i residenti, ma esiste una categoria speciale che in posti come Albenga, Rimini o Bolzano è di casa: gli itineranti. Girovaghi che si spostano su percorsi a vasto raggio, tracciati in base alla mappatura dei servizi. "Qui da noi sono la maggioranza. Arrivano per il clima ma anche per il vescovo -spiega suor Michela Gendusa, responsabile della Caritas di Albenga-. Ormai è conosciuto in tutta Italia perché si è sparsa la voce che riceve personalmente. Fino a 6 o 7 anni fa donava anche dei soldi. 'Io sono il vescovo e chi bussa alla mia porta deve essere accolto': il suo discorso è semplice. Solo che alcuni ne hanno approfittato e ora preferiamo finanziare i senza dimora attraverso la Caritas".
Un caso eclatante di aiuto ai non residenti è quello di Ventimiglia. Qui fanno tappa obbligata tutti gli italiani senza dimora rimpatriati dalla Francia. "Si fermano da noi perché le autorità italiane all'estero li rimandano in Italia con un biglietto ferroviario valido solo fino alla frontiera", spiega Alessandro Bono, operatore della Caritas Intemelia di Ventimiglia. Così, solo nel 2004, il dormitorio rivierasco da 16 posti (10 uomini e 6 donne) si è ritrovato a far fronte a un passaggio di 92 senza dimora e 3656 immigrati.

Se la pensione non basta più
"La povertà di Modena non è fatta di clochard, ma di persone che appartenevano al ceto medio e ora non hanno più nulla". Così la vede Lorenzo Bellei, operatore di "Porta Aperta", cooperativa sociale modenese. Le cause della crisi oggi sono divorzi, disoccupazione, malattie. Anche se alla base ci sono quasi sempre delle carenze affettive, il senza dimora dell'immaginario sembra essere scomparso, ora i poveri ci assomigliano più di quanto immaginiamo. "Chi conduceva una vita dignitosa negli ultimi anni fatica a pagare l'affitto o le bollette -sostiene Nedo Nappelli, responsabile della Caritas di Imperia-. Così almeno una volta all'anno vengono a chiederci aiuto".
Che la pensione non basti più se ne sono accorti anche ad Albenga, dove quest'anno al centro d'ascolto della Caritas si è avvicinato un gruppo di pensionati. "Sono una decina di persone che avranno più o meno sessant'anni -racconta suor Michela Gendusa, la responsabile- ma in un centro piccolo come Albenga è un numero notevole".

Uomini in fuga
Girare l'Italia per necessità o per l'incapacità di fermarsi. Nell'universo dei senza fissa dimora c'è un gruppo numeroso: quello di chi non sta (quasi) mai fermo. Alcuni di loro conoscono la mappa dei servizi meglio degli operatori. Sanno a che ora aprirà il dormitorio di Bolzano e se alla mensa di San Remo si mangia bene. Vivono una vita in transito, per scelta o loro malgrado. "I senza dimora sono difficili da agganciare, hanno un'incapacità di fermarsi con se stessi", sostiene suor Michela Gendusa della Caritas di Abenga. Mentre per Daniela Zunino, operatrice della Caritas savonese "lo spostamento degli itineranti è dato dalla necessità, non da un'intenzionalità 'circolare'". Alcuni si muovono con le stagioni, come chi da anni si sposta sulla tratta Rimini-Bolzano. L'estate al mare, l'inverno in montagna."Arrivano cercando lavoro, magari per la raccolta delle mele o la stagione turistica negli alberghi. La maggior parte non lavora davvero, però si ferma qui tutto l'inverno", racconta Luigi Zenari, operatore della Caritas di Bolzano. "Sì il nomadismo esiste -dice Cristian Gianfreda della 'Capanna di Betlemme' di Rimini-. E a volte è un circolo vizioso che gli impedisce di lasciare la strada". A San Remo c'è chi arriva per il clima, ma la vera grande attrazione resta il Casinò. "Vengono da tutta Italia per giocare alle slot machine -spiega Paola Raffaglio, operatrice Caritas nella città dei fiori-.Sono così accessibili: bastano pochi spiccioli che i turisti in vena di generosità non fanno mancare. E la speranza di vincere è sempre fortissima". Il gioco ha contribuito a rafforzare le fila di chi ha per casa una panchina. "Sono in tanti ad essere in strada perché si sono giocati tutto -continua Raffaglio-. Come quel signore del Nord Italia, che ogni mese appena ritirata la pensione viene qui per giocare. Perde, e poi viene a dormire alla Caritas".



http://www.terre.it/giornale/articoli/472.html



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manuel
Una finestra dettagliata su una realtà sempre troppo taciuta.

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