Per prima cosa vi voglio comunicare la grande commozione che ho provato ieri nell'entrare in Sarajevo. Io sono stato anche a Gerusalemme, una visita che attendevo da tanti anni. Sono stato appena due anni fa. Ma vi dico che la commozione che ho provato ieri nell'entrare di notte a Sarajevo - quando andai a Gerusalemme era un meriggio splendido - è stata più forte. Gerusalemme bagnata dal sangue di Cristo e Sarajevo bagnata dal sangue di tanti innocenti, di tanti poveri. La stessa emozione che ho provato dentro a Gerusalemme l'ho provata ieri. E io ringrazio il Signore che ha compiuto, attraverso il nostro gesto un po' folle, che ha portato a realizzazione questa utopia. E' questa la prima cosa che vorrei dire. Questa è la realizzazione di un sogno, di un'utopia, di una grande utopia che abbiamo portato tutti quanti nel cuore, probabilmente sospettando la sua non realizzazione…quando su Avvenimenti e sulla stampa uscivano i nomi di tutti coloro che aderivano, molti di noi forse pensavano che non si sarebbe realizzato. Invece, grazie a Dio, è una realtà! E io vorrei che, oltre agli organizzatori del movimento Beati i costruttori di Pace, facessimo un grande ringraziamento alla testardaggine e alla forza di spirito di d. Albino Bizzotto. Perché vi dico, quando sono arrivato ad Ancona alle 2 del pomeriggio di lunedì 7 e ho visto i quattro scenari: il primo fermarsi qui ad Ancona e ho detto "mamma mia!", sarebbe già stata un'impresa anche quella comunque… e invece, passo dopo passo siamo arrivati nel cuore di questa città. Un viaggio… all'inferno e ritorno. Questo, dicevo, era un sogno eppure si è potuto realizzare. Allora io vorrei che tutti quanti - tornando nelle nostre comunità, non soltanto cristiane ma vorrei rivolgermi anche a tutti coloro che non credono in nessuna religione, che non si riconoscono in nessun'area e che probabilmente oggi non sono stati ricordati anche nel loro empito di forza umana e nel loro anelito di giustizia - potessimo stimolare le nostre comunità, noi credenti soprattutto, stimolare i nostri Vescovi ad essere più audaci, a puntare di più sulla Parola del Vangelo. Perché, vedete, questa esperienza è stata una specie di ONU rovesciata: non l'ONU dei potenti è arrivata qui a Sarajevo ma l'ONU della base, dei poveri. L'ONU dei potenti può entrare a Sarajevo fino alle 4 del pomeriggio, l'ONU dei poveri si può permettere… di entrare anche dopo le 7. Allora io penso che queste forme di utopia, di sogno dobbiamo promuoverle, altrimenti le nostre comunità che cosa sono? sono soltanto le notaie dello status quo e non le sentinelle profetiche che annunciano cieli nuovi, terra nuova, aria nuova, mondi nuovi, tempi nuovi. Io penso che noi dobbiamo puntare tutto su questo. Vedete, noi siamo qui probabilmente allineati su questa grande idea, quella della nonviolenza attiva, della difesa popolare nonviolenta; siamo allineati, però vedete quanta fatica si fa in Italia a far capire che la soluzione dei conflitti non avverrà mai con la guerra, ma avverrà con il dialogo, con il trattato; si fa fatica in Italia, abbiamo fatto fatica anche qui, anche con i rappresentanti religiosi… perché è difficile questa idea della difesa nonviolenta, della soluzione pacifica dei conflitti. Noi qui siamo venuti a portare un germe: un giorno fiorirà. Queste idee un giorno fioriranno, non sono affidate soltanto a due o tre folli che vanno dicendo parole fuori posto. Ormai, lo sapete, la difesa popolare nonviolenta, la nonviolenza attiva è diventato un trattato scientifico. Gli eserciti di domani saranno questi: uomini disarmati! Dovremmo promuovere anche un'azione intellettuale di questo genere, che le nazioni, l'ONU si attrezzino di eserciti di obiettori di coscienza, di nonviolenti che promuovano un'educazione alla pace, la spiritualità della pace, le tecniche della strategia nonviolenta. Noi ce ne torniamo a casa, ma come ha detto il rabbino, le cose qui continueranno… continueranno fino a un certo punto. Io credo che parecchie cose si scardinano anche con questa nostra irruzione qui nella città di Sarajevo, in un periodo assolutamente impossibile. Parecchie mentalità cederanno a questa idea nuova che arriva, il domani è questo e noi, anche se oggi soffriamo perché non possono essere realtà, pane e sangue sulla mensa degli uomini, dobbiamo avere l'animo di Mosè, il quale non entrò nella terra promessa, ma dall'alto del monte Nebo, prima di morire, additò al suo popolo la terra dei suoi sogni. Allora anche noi dobbiamo avere questa pertinacia, questo coraggio fortissimo. Un'ultima cosa voglio dire. Speriamo che tutto andrà bene, e andrà bene, ne sono certo, come credente, perché abbiamo alle spalle uno scialo di preghiere così forti che non poteva non andare bene. E' molto facile che il nostro gruppo se ne torni a casa felice e contento di avere espresso un gesto sui generis, un gesto un po' folle, un po' pazzo; ed è molto facile che ognuno di noi si imbrodi nella gioia di dire "c'ero anch'io a Sarajevo". Tutto questo è anche spiegabile: c'è un po' di fierezza, ce la porteremo tutti quanti a casa ed è giusto anche che sia così. Racconteremo a tanti di questa impresa, di questa visita, di tutto quello che abbiamo attraversato; racconteremo il gesto di quella donna serba che ieri, nella fermata di sette ore sulla montagna, ha visto i nostri autisti un po' avviliti e un po' a digiuno e li ha invitati tutti a casa sua e, gratuitamente, ha offerto loro un pranzo: una serba che offre il pranzo a dieci croati! Come pure ci porteremo nell'immaginario nostro quello che abbiamo visto insieme a mons. Bettazzi e altri amici: il signore che abitava accanto ci ha invitati a casa sua a partecipare al banchetto di commemorazione del padre morto sei mesi fa. Ci ha detto: "Io sono serbo, mia moglie è croata, queste sono le mie cognate musulmane". Mangiavano insieme. Ho pensato alla convivialità delle differenze: questa è la pace. Ci porteremo a casa tanta fierezza, però vorrei che ognuno di noi si portasse anche un gruzzolo di dolore che abbiamo sperimentato, queste case sventrate, questo rombo di notte che sembrava i botti di Natale e invece erano scoppi che fanno male. Tanti auguri perché possiamo portarci a casa non soltanto la gioia di essere stati qui, di aver condiviso per un po' di tempo con tanta gente che soffre, ma anche le stimmate di questa sofferenza.
Teatro di Sarajevo, 12 dicembre 1992. |