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Democrazia come dittatura della maggioranza? di Carlo Formenti

Lingua: Italiana
Destinatari: Alunni scuola media superiore, Formazione post diploma
Tipologia: Materiale di studio

Abstract:

Democrazia come dittatura della maggioranza?

di Carlo Formenti
In una interessante reazione a caldo sul risultato elettorale Usa, postata da mcsilvan su Rekombinant e intitolata "La democrazia in America e la differenza", vengono a mio parere sollevati alcuni fondamentali temi di riflessione. Cerco di riassumere brevemente la tesi dell'autore. mcsilvan prende le mosse da Tocqueville e dal famoso avvertimento sui rischi di potere assoluto della maggioranza che insidiano tutte le democrazie e quella americana in particolare. Quindi annota giustamente che la vittoria di Bush (e dei Repubblicani, mi permetto di aggiungere, visti i risultati elettorali di Senato e Congresso) è stata ottenuta con l'arma che avrebbe dovuto premiare l'opposizione democratica, vale a dire la mobilitazione dal basso, per poi commentare: "non solo la democrazia ma anche la mobilitazione dal basso non sono garanzia in sé di un risultato elettorale che premi soluzioni egualitarie".

Fin qui sottoscrivo parola per parola. Meno convincente mi pare la conclusione, laddove, tirando di nuovo in ballo Tocqueville ("se cerco di immaginare il dispotismo moderno, vedo una folla smisurata di esseri simili ed eguali"), mcsilvan ne rovescia la prospettiva: il punto, argomenta, non è l'uguaglianza, visto che l'America è senza ombra di dubbio una democrazia della differenza ("con numeri e capacità di mobilitazione non indifferenti per ogni minoranza"), bensì il fatto che anche in una democrazia della differenza possa affermarsi il dispostismo della maggioranza. Quindi conclude domandandosi: "Che sia l'ora di un nuovo vestito epistemologico per il concetto di equaglianza?"

Più che oppormi frontalmente a questa impostazione, vorrei suggerire uno slittamento laterale rispetto ad alcuni punti di vista su cui essa si fonda. In particolare, vorrei suggerire: 1) non può esistere alcuna democrazia della minoranza, la democrazia è per definizione dispotismo della maggioranza; 2) oltre e più che trovare una nuova definizione epistemologica per il concetto di equaglianza, mi pare necessario trovare il coraggio di estirpare tale concetto dal Pantheon delle idee fondative della sinistra.

Torniamo al punto di quella mobilitazione dal basso che ci ha rivelato come le schiere di integralisti cristiani, patrioti e altra gente in cerca di "valori" siano ben più fitte di quelle dei giovani cognitari e delle minoranze di ogni sorta. Siamo sicuri che questo non valga anche per la "civile" Europa (per tacere dell'Italia)? Non è arrivato il momento di prendere atto che, dopo mezzo secolo di radicali spinte innovative sul piano sociale, culturale, politico e tecnologico, di cui sono state protagoniste le minoranze (a noi piace chiamarlo il blocco sociale del Quinto Stato), si è cementato un poderoso controschieramento "reattivo" (governato cioè dall'angoscia del cambiamento) che rappresenta (e rappresenterà presumibilmente a lungo) la base di una maggioranza di destra precostituita e fondata su robuste basi "antropologiche"?

Da questa situazione non è immaginabile, a mio parere, nessuna fuoruscita di tipo democratico, nel senso che le procedure, le regole e i valori della democrazia rispecchiano inesorabilmente la realtà del vecchio mondo (quello degli stati nazione, per intenderci) e non quella del mondo globalizzato e attraversato da mille differenze in cui viviamo oggi. Finché la sinistra non lo capirà, e continuerà a illudersi di poter ritornare maggioranza in nome dell'eguaglianza, continuerà a dividersi fra moderati (sempre più simili alla controparte e quindi obiettivamenete complici della dittatura della maggioranza) e radicali (sempre più esplosi in un arcipelago di minoranze).

Uguaglianza e democrazia rappresentano il minimo comun denominatore del vecchio, il nuovo, rispetto a questa realtà, non può presentarsi che come secessione delle minoranze. Cosa significa tutto ciò? Significa che è arrivato il momento di riflettere sulla praticabilità di un governo delle minoranze, il che non vuol affatto dire rispolverare i vecchi arnesi della rivoluzione e della dittatura del proletariato (oggi cognitariato), bensì ragionare sulla potenza aggregativa delle reti come forma alternativa di federazione delle differenze.



http://www.quintostato.it/



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