Mario Luzi è scomparso a Firenze il 28 febbraio 2005 all'età di 90 anni. Nato nella città toscana il 20 ottobre del 1914, era considerato l'ultimo esponente della corrente dell'Ermetismo. Proprio in occasione del suo novantesimo compleanno era stato nominato senatore a vita dal presidente della Repubblica Ciampi. Spesso le sue poesie hanno affrontato la tematica della guerra.
Ripubblichiamo un suo intervento proprio su questo tema tratto dal convegno "Gli stati generali dell'informazione" dello scorso anno e una sua poesia.
"Confesso di parlare dal fondo di un’esiziale delusione, di un atroce disinganno che hanno come unico conforto la certezza di essere amplissimamente condivisi in tutto il pianeta. Negli anni successivi al secondo conflitto mondiale, proprio contestualmente ai negoziati tra vincitori e sconfitti, si fece strada l’esigenza di dotarsi di istituti internazionali di mediazione per ogni controversia, oltre che di studio e di elaborazione dei problemi generali del mondo.
La Società delle Nazioni, nata dopo il primo conflitto, non aveva fatto buona prova, le dittature l’avevano sbeffeggiata, ma nel 1945 c’era diffusa una disposizione al rifiuto della guerra. L’orrore di quella appena terminata, insieme alla constatazione dei disastri che aveva prodotto in ogni campo, eccitarono l’inventiva politica a realizzare alcuni organismi di salvaguardia.
Nacquero le Nazioni Unite, l’UNESCO, la FAO, nacque è vero anche la NATO, ma con intenzioni esclusivamente difensive. Si enunciarono in una solenne Charta i diritti umani. Si celebrarono con enfasi gli anniversari della nascita di queste istituzioni, a proposito delle quali bisogna dire abbiamo fatto più chiasso per i casi vistosi e scandalosi di violazione, che per il lento difficile cammino del loro affermarsi. Amnesty International ha avuto certo molto lavoro ma ritenevamo il suo zelo proficuo e produttivo e non influiva molto sulla fiducia riposta nelle nuove istituzioni qualche mezza notizia che filtrava sui massacri africani. Precedettero il primo conflitto del Golfo lunghissime trattative durante le quali mi resi conto, mi divenne chiaro, quanta disparità divideva chi quelle trattative le voleva davvero e le riteneva necessarie a dirimere lo scontro e chi invece era impaziente e pronto a menare le mani.
Tralascio ogni altra considerazione, ma voglio sottolineare come emergevano due attitudine contraddittorie: una adeguata allo spirito, diciamo così, civile del dialogo e del confronto, e un’altra fedele alla dottrina di Clausevitz e alla pratica delle cannoniere. Il prevalere di questa seconda e del suo anacronismo, offese profondamente la coscienza di molti. Anche per esortazioni di amici e confratelli, avevo stilato una dichiarazione-manifesto nella quale accusavo l’evidenza e il cinismo di quella palese regressione della civiltà che credevamo evoluta. Sono qui per essere sincero, a costo di apparire poco avveduto. Ebbene, quell’appello-dichiarazione fu sottoscritto da duecento persone, di qualche rilievo nella cultura e nella vita pubblica nazionale e internazionale. La stampa italiana, perfino quella a cui ero solito collaborare, ne dette minima notizia e non ne pubblicò il testo. Solo “Il Manifesto” lo riportò per intero. Nei giornalisti che erano in larga misura stati critici riguardo all’operazione in fieri si era operata la prevedibile mutazione in nome dell’opportunità, del sì, ma…, ed erano passati all’ammissione e poi all’assenso dell’intervento militare. Ciò che mi ha procurato di angoscia e di indignazione questa nuova caduta del processo civile l’ho detto, credo, abbastanza forte in varie occasioni.
Ma devo riconoscere che lo spettacolo dell’allineamento dei maîtres à penser e dei giornalisti di seconda linea non si è ripetuto. Ormai le manifestazioni popolari in vaste zone del pianeta significano che la guerra non solo è temuta come evento terribile e deprecata come evenienza, riprovata come fatto, ma ha finito per essere concettualmente inammissibile, fuori della comune logica umana. L’anacronismo della guerra come prosecuzione della politica è divenuto clamoroso, plateale. Solo una larga parte della classe politica e di governo è schiacciata dalla potenza inerziale di quell’antico principio. Sono detti pacifisti – e c’è una certa commiserazione del termine, analoga a quella certo più offensiva e derisoria che i fascisti mettevano nella parola “pantofolai” – tutti coloro che riflettono su questi temi. I pacifisti non sono una setta né una tribù. Di questo passo con questi luoghi comuni non si va lontano, non si resta neppure sul posto, si torna addietro di un bel po’ nel cammino civile del mondo."
Scelus
E' notte, c'è luna e silenzio. Caino decide il suo misfatto Si sta ora miracolosamente perpetrando un rovinoso agguato - a chi? Non si sa bene, certo alla povera illusione del mondo d'esse con le sue pene immani andato avanti, cresciuto alquanto. No, vogliono il crimine, il sicario, la funesta ricaduta all'indietro dalla scala, preparano la cruda empietà antropologica, consumano il reato primario, ontologico della volontaria regressione nella storia della specie. Ma ben oltre l'ottuso anacronismo, pervade l'uomo ormai una ripugnanza, ormai concettualmente la mente umana espelle da sé la guerra, la sua oltranza. E questa umanità dilaga e si protesta e grida offesa e tradita dai suoi capi, ripensa ai suoi profeti, profondamente intesa da Cristo e dal suo impavido vicario. |