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Educazione linguistica Italiano come lingua seconda
Religione
In cerca del sogno americano di Furio Colombo

Lingua: Italiana
Destinatari: Formazione permanente
Tipologia: Documentazione

Abstract: In cerca del sogno americano di Furio Colombo

È accaduto la sera del 21 marzo di fronte a un televisore acceso per caso. Le telecamere di Sky News erano puntate sullo stadio Olimpico di Roma.
Lo spettacolo era straordinario, perché in quella notte romana 80mila persone erano in preda a una leggenda metropolitana. Una notizia falsa, deliberatamente falsa, iniziata col messaggio che un bambino era stato ucciso dalla polizia nello stadio è diventata persuasione di 80mila nel giro di un minuto. Ha portato alla sospensione della partita, come sanno quelli di voi che seguono gli eventi sportivi.
Nel momento in cui ho visto quelle inquadrature che mi mostravano uno stadio fermo e dei giocatori raggruppati al centro del campo e indecisi, ho appreso che cosa è davvero, mentre si compie, una leggenda metropolitana. Non ne avevo mai davvero visto il compiersi nel giro di una sequenza di pochi minuti. Ha richiesto una gestione estremamente delicata, estremamente accurata sia da parte dei giocatori, che della Questura, perché poteva portare a conseguenze gravissime.
La leggenda si è diffusa in un lampo, e in un lampo è stata creduta da tutti: la polizia ha ucciso un bambino. Fra poco la rivolta di 80mila spettatori sarebbe iniziata, se fosse iniziata la partita in violazione del lutto. La partita non c’è stata. Scherzo o accidente, la tragica leggenda metropolitana ha prevalso sul fatto semplice, evidente: non era accaduto niente.
Noi viviamo in un tempo di leggende metropolitane, e questo argomento ci porta nel vivo della nostra riflessione sull’America. Un presidente degli Stati Uniti ha usato una leggenda metropolitana, ovvero una notizia radicalmente infondata, per dare inizio a una guerra che adesso ci viene spiegata come se si potessero aggiustare le ragioni in corso d’opera: non erano le armi di distruzione di massa, ma abbiamo abbattuto un dittatore terribile. È vero, ma non era la ragione per la quale il mondo è stato mobilitato.
Qui ci troviamo a confronto con l’America contemporanea ed entriamo nel cuore del nostro discorso: che America è l’America di George Bush, e che rapporto ha con l’America che conosciamo, che molti di noi amano, che è stata, prima d’ora, così diversa?
Questo non è un viaggio nel passato. Il mio riferirmi a Tocqueville, il mio riferirmi ai «Federalist Papers», che sono le carte fondative degli Stati Uniti e di quel particolare tipo di federalismo che è il Governo federale americano, non è la rivisitazione di un’altra America.
I miei riferimenti a Roosevelt, Kennedy, Carter, Clinton, non sono nostalgia. Questo è un viaggio nel presente, nell’America di oggi, che intende esercitare per la prima volta nella storia un ruolo di guida assoluta e non discutibile.
Ciò che ho scritto un momento fa, a proposito di leggende metropolitane, ci dice che i capi di Stato, gli uomini di Governo, i personaggi politici mentono con una frequenza che la Soria testimonia nei secoli. Si mente, in politica e sarebbe ingenuo pensare che qualcuno dai luoghi del potere non ha mentito mai. Ma soltanto alcuni eventi tragici del mondo sono nati da leggende metropolitane.
Quella di George W. Bush è particolarmente grave, perché corrisponde a un’altra odiosa leggenda metropolitana, che molti di noi conosciamo e che è stata proposta, discussa e ripetuta: in essa si dice che gli americani sono i veri autori della strage delle Torri Gemelle. L’episodio delle due Torri - secondo questa ostinata leggenda - è un complotto sionista. C’è chi dice di poter offrire «la prova»: quel giorno non c’erano cittadini ebrei nei due edifici colpiti. Tutti i manager, gli impiegati e le segretarie dal nome ebreo sarebbero stati stranamente assenti.
Basta scorrere l’elenco delle persone morte per smentire l’insinuazione grave e odiosa. Si tratta evidentemente di un danno collaterale della cultura terroristica. Disgraziatamente George W. Bush, sopravvalutando la sua capacità di controllo assoluto delle notizie, ha deciso di rispondere con un’altra leggenda metropolitana. Ha inventato una causa di guerra non vera che nel giro di pochi mesi si sarebbe rivelata agli occhi dell’opinione pubblica del mondo come un inganno che isola e toglie prestigio.
Pensate al declino di credibilità del Paese-guida del mondo a causa di un simile evento. Quando dico Paese-guida non intendo né lodarlo, né biasimarlo, è un fatto oggettivo: gli Usa sono il Paese più potente. Pensate all’indice di sospetto altissimo che si diffonde nelle opinioni pubbliche del mondo nel momento in cui si sa che non era vera la ragione per cui persone rispettabili come Colin Powell si sono presentate alle Nazioni Unite mostrando fotografie ed esibendo documenti che venivano da vecchie tesi di laurea, vecchie di dieci, dodici anni, e che erano state riciclate da Servizi segreti svogliati e sviati che hanno lavorato male per i loro committenti.
È stato detto dagli avversari di Bush che negli Stati Uniti, gettandosi nella guerra mai finita in Iraq, hanno sospeso la guerra al terrorismo, hanno speso cifre immense e centinaia di migliaia di vite umane per una guerra militarmente senza senso e politicamente molto dannosa all’equilibrio dell’area e del mondo.
Questa America convive con l’America che noi evochiamo quando diciamo Kennedy, quando diciamo Carter, quando diciamo Clinton.
È un’America viva e presente, non stiamo parlando di un Museo delle Cere, non stiamo parlando del passato, non è un ricordo di nostalgia: è un modo per chiedere a coloro che ti definiscono anti-americano, nel momento in cui critichi le scelte politiche, di dire quale rapporto essi hanno avuto con la cultura e la vita americana.
Perché ti accusano di essere nemico dell’America se dissenti da Bush come dissente metà degli americani? Ti accusano, di solito, per modesti interessi di politica interna: di politica interna italiana nella quale un presidente del Consiglio ha scelto che il nostro Paese debba essere presente in Iraq in una posizione pericolosa e subordinata. Ecco perché quella presenza in Iraq ha diviso l’opinione pubblica italiana così drammaticamente: perché un filo del discorso risale fino alla ragione inventata di una guerra che con il terrorismo non c’entra. Ma un altro filo risale alla condizione di sottomissione nella quale l’Italia è stata messa e che non ha niente a che fare con un’alleanza. Infatti gli italiani che sono a Nassiriya non sono in quel luogo in base a un Trattato, non sono partner in un’alleanza. Non ci sono regole di ingaggio e c’è un doppio comando sui reparti italiani. Comanda un generale inglese. E il generale inglese risponde a sua volta al comando americano e questo non era mai accaduto dal 1945, da quando l’Italia è libera e da quando è una Repubblica democratica.
Tutto ciò provoca un’obiezione culturale e politica prima di essere un’obiezione di giudizio sulla guerra, un’obiezione di passione, un’obiezione di gente che esprime il rifiuto alla guerra che, forse, non è stato mai così grande nel mondo. Persino per chi non obietta alla guerra, non è accettabile che soldati italiani siano messi a disposizione di generali che non dovranno mai rispondere al Parlamento italiano.
Furio Colombo



http://www.unita.it/index.asp?SEZIONE_COD=IDEE&TOPIC_TIPO=&TOPIC_ID=41062



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