Il decennio che va dal Sessantotto al Settantasette è un territorio tante volte esplorato ma ancora in fondo oscuro. Quali sono i punti di contatto e le fratture tra l'esplosione del '68 e il movimento del '77?
Lo storico Giuseppe Carlo Marino, autore del volume Biografia del Sessantotto (Bompiani, 2004), risponde così: "Il Sessantotto non è soltanto il Sessantotto, ma tutto quello che lo precede e tutto quello che lo segue". E, commentando la generale tendenza a giudicare il Settantasette come un momento o di radicale rottura o di continuità rispetto al Sessantotto, prosegue: "se esaminiamo i due fenomeni dobbiamo collocarli su due diversi terreni generazionali: il Sessantotto è il prodotto dei figli del dopoguerra, in simbiosi con la generazione precedente, quella dei figli della guerra; il Settantasette è invece soprattutto il prodotto culturale dei giovani nati nel periodo del miracolo economico".
Il fisico Franco Piperno, che ha vissuto da protagonista questa stagione della storia italiana, sottolinea i legami "carsici, uterini" tra i due movimenti. "Se si dovesse caratterizzare in maniera secca i rapporti tra i due movimenti", osserva, "si potrebbe dire, ricorrendo a una metafora presa in prestito dalla storia delle religioni, che il Sessantotto è stato Gesù e il Settantasette San Paolo, nel senso che di tutte la potenzialità che erano implicite nel Sessantotto il Settantasette ne ha come determinato una sola, quella dall'anima più sovversiva e per alcuni aspetti più disperata".
Secondo Sergio Bianchi, fondatore della casa editrice romana DeriveApprodi - per la quale ha curato insieme a Lanfranco Caminiti Settantasette. La rivoluzione che viene -, non esiste una continuità diretta tra i due movimenti, perché "il Sessantotto chiude una lunga epoca, quella delle grandi narrazioni, delle lotte del Novecento", mentre "il Settantasette ne apre una nuova, ponendo al centro delle questioni politiche la non eredità di tutta la tradizione novecentesca e anticipando quello che si è dispiegato recentemente nel cosiddetto movimento di Seattle".
Lea Melandri, femminista storica, ricorda la nascita della rivista "L'erba voglio"
all'inizio degli anni Settanta. In un clima di mutamento profondo all'interno del movimento antiautoritario nelle università e in seguito alla nascita dei gruppi extraparlamentari, strutturati secondo delle forme politiche in parte tradizionali, la rivista "pone come primo problema la critica a questo ritorno. Inoltre segna la ripresa dei temi dell'antiautoritarismo degli inizi, quello che Facchinelli in un articolo del Sessantotto rimasto famoso definì 'il desiderio dissidente': sulle problematiche del corpo si muove un'idea diversa di politica, si mettono in discussione le istituzioni e le forme che aveva preso tradizionalmente". Un pensiero, prosegue Melandri, curatrice dell'antologia L'erba voglio. Il desiderio dissidente (Baldini & Castoldi, 1998), che si potrebbe difinire "nexologico", alla ricerca dei "legami che ci sono sempre stati tra privato e pubblico, tra il cuore e la ragione, tra la sessualità e la politica".
Il regista Guido Chiesa racconta invece la genesi del suo ultimo film, Lavorare con lentezza, ambientato a Bologna nel Settantasette: "ci sembrava interessante riprendere oggi alcune delle idee sviluppate allora, in particolare a Bologna, e che sono di straordinaria attualità: il rifiuto del lavoro, o meglio l'idea che la vita non possa essere dominata dalla logica del profitto, e che gli spazi e i tempi mentali e fisici fuori dal lavoro siano la cosa più importante". Al centro del film la parabola di Radio Alice, la storica emittente privata del capoluogo emiliano: una radio "peculiare, anomala, che aveva capito, ad esempio, che il vero terreno di scontro non sarebbe più stato quello tradizionale, storico della sinistra, cioè la Politica, bensì quello della comunicazione. Oggi, ventisette anni dopo, ci rendiamo conto che questa intuizione era corretta".
Franco Berardi "Bifo", che del Settantasette bolognese fu uno dei principali animatori, osserva: "Il Sessantotto è stato forse l'ultimo tentativo di riaffermare e portare a compimento i valori che l'Umanesimo prima e l'Illuminismo poi avevano proposto al futuro dell'umanità: i valori di uguaglianza, di libertà, di pace. Il Settantasette al contrario, pur collocandosi nella stessa prospettiva", prosegue Bifo, che ha recentemente pubblicato Il sapiente, il mercante, il guerriero, "ha avuto la capacità di vedere le cose da un punto di vista molto più realistico e più disperato. Il Settantasette, intendendo la lunga storia della cultura punk e della cybercultura e del pensiero postumano ha rappresentato la coscienza lucida e disperata di un esaurimento della prospettiva moderna, (...) del venir meno di ogni prospettiva che possa definirsi umana".
All'esplosione creativa verificatasi in quegli anni torna Claudia Salaris, autrice tra l'altro di Controcultura in Italia (1967-1977) (Bollati Boringhieri), che osserva come uno dei tratti più singolari del Settantasette fu l'appropriazione dei linguaggi dell'avanguardia storica da parte delle masse giovanili: "si stampavano giornali riviste, fanzine, in cui sembra di leggere le parole di Tristan Tzara o di Marinetti. Il futurismo, il dadaismo vennero recuperati. In un saggio intitolato Avanguardia di massa", ricorda ancora Salaris, "Maurizio Calvesi notava proprio come i linguaggi dell'avanguardia, che erano stati patrimonio di cerchie ristrette, erano usciti dai recinti per travasarsi nelle strade, nella creatività diffusa dei giovani".
Ma qual è oggi l'eredità del Sessantotto e del Settantasette?
Marino osserva come si assista al riemergere di una "nuova soggettività giovanile, che forse non è rivoluzionaria come nel Sessantotto, ma che ne presenta alcuni aspetti: la tendenza alla realizzazione di una democrazia perfetta, (...) e, soprattutto nelle correnti del movimento no global, l'anticapitalismo, l'antiimperialismo, la speranza nell'edificazione di un mondo nuovo fondato sul rispetto integrale della natura. Tutti elementi che già erano presenti nel Sessantotto e che oggi rinascono in qualche modo aggirando gli effetti di corrompimento imposti dal Settantasette". Anche per Piperno, autore di Elogio dello spirito pubblico meridionale (ManifestoLibri, 1997), i movimenti, che operano "dentro la globalizzazione, seppure dentro una globalizzazione alternativa", riprendono molte tematiche del Sessantotto, "in particolare quelle relative agli esiti funesti del progresso: il Sessantotto era stato prima di tutto una critica al progresso, in pieno progresso". Anche l'idea di "cooperazione sociale contrapposta ai moduli economici della concorrenza" risale al Sessantotto. Infine, conclude Piperno, l'elemento decisivo è quello del coinvolgimento del corpo nell'azione politica:"è con i no global che riprende questa idea che la manifestazione comporta anche un rischio per il proprio corpo". Chi quegli anni non li ha vissuti in prima persona ma li ha affrontati come oggetto di studio e per passione politica è Antonia Tomassini, giovane studiosa di storia moderna: "Una persona della mia generazione è più legata agli anni Settanta, non solo per contiguità, ma anche perché gli anni Settanta hanno reso centrali una serie di questioni che sono realmente esplose adesso. Anche dal punto di vista biografico", prosegue Tomassini, molte delle figure che "hanno fatto gli anni Settanta sono finite male e non hanno avuto la possibilità di occupare potere. Non si può sapere se avrebbero fatto la stessa fine, a mio parere ingloriosa, di una parte dei cosiddetti sessantottini, soprattutto quelli legati alla cultura, che oggi occupano posti di potere molto grossi".