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Storia
Intercultura
Colonialismo e tortura - Quando Tocqueville legittimava i massacri di Olivier Le Cour Grandmaison

Lingua: Italiana
Destinatari: Alunni scuola media superiore, Formazione post diploma
Tipologia: Materiale di studio

Abstract: Colonialismo e tortura:
Quando Tocqueville legittimava i massacri

di Olivier Le Cour Grandmaison*

La guerra d'Algeria ha una lunga storia che ha inizio il 31 gennaio 1830, quando Carlo X decide di impossessarsi di Algeri. Ufficialmente, si tratta di vendicare un'offesa inflitta al console di Francia da parte del dey Hussein e di annientare la pirateria che imperversa nella regione. Ufficiosamente, l'obiettivo è cercare di restaurare il prestigio di una monarchia allo stremo e di insediarsi nell'Africa del nord per non lasciare campo libero all'Inghilterra nel Mediterraneo.
La monarchia di Luglio eredita questo fardello. «L'avventura» è costosa: mobilita importanti effettivi militari ed è poco redditizia. Numerose voci si levano all'Assemblea nazionale per esigere il ritiro delle truppe francesi, altre sono a favore del loro mantenimento e di una occupazione limitata, altre infine auspicano la dominazione, la colonizzazione e la guerra ad oltranza.

Una guerra ritenuta indispensabile per abbattere il potere di Abd el-Kader e rovinare con ripetute razzie le tribù che lo sostengono.

Alla fine dell'anno 1840, i fautori di questa politica hanno la meglio.

Il 29 dicembre, il generale Thomas Bugeaud, nominato da poco governatore della colonia, arriva in Algeria. Inizia la vera conquista, con mezzi atroci: massacri, deportazioni in massa delle popolazioni, sequestri di donne e bambini usati come ostaggi, furto dei raccolti e del bestiame, distruzione degli orti e così via. Luigi Filippo prima, Luigi Bonaparte poi, premieranno gli ufficiali con promozioni prestigiose: diversi marescialli, un ministro della guerra; i cumuli di cadaveri kabili e algerini (1) permettono ai generali dell'esercito d'Africa di fare carriere brillanti.

«Ho spesso sentito in Francia uomini che io rispetto, ma che non approvo, giudicare disdicevole il fatto che si brucino i raccolti, che si svuotino i silos e che ci si impadronisca di uomini disarmati, di donne e di bambini. Si tratta, a mio parere, di necessità incresciose, ma alle quali ogni popolo che voglia combattere gli arabi sarà costretto a sottomettersi» scrive Alexis de Tocqueville. E aggiunge: «Io credo che il diritto di guerra ci autorizzi a devastare il paese e che dobbiamo farlo distruggendo le messi al momento del raccolto, oppure in ogni momento facendo rapide incursioni che si chiamano razzie e il cui scopo è di impadronirsi degli uomini o delle greggi» (2).

Sono le parole dell'autore de La Democrazia in America, quando scrive il suo Travail sur l'Algérie nell'ottobre 1841, dopo un soggiorno nel paese. Egli ha a cuore la colonizzazione in senso lato e quella dell'Algeria in particolare. Due lettere, vari discorsi sugli affari esteri della Francia, due viaggi, due rapporti ufficiali presentati, nel marzo 1847, alla Camera dei deputati a nome di una commissione ad hoc, ai quali vanno aggiunte numerose osservazioni e analisi sparse nella sua ricca corrispondenza. Tocqueville teorizza l'espansione francese nell'Africa del nord. Fedele al suo metodo, egli riunisce una vasta documentazione perché ha in mente un libro sull'India e la colonizzazione inglese, che intende paragonare a quella francese nella Reggenza di Algeri, come si chiamava all'epoca. Inoltre egli studia il Corano e, al termine delle sue letture, il Montesquieu dell'800 conclude seccamente che la religione di Maometto è «la causa principale del declino (...) del mondo musulmano». Dobbiamo quindi vedere in Tocqueville una importante figura della colonizzazione moderna, alla quale ha dedicato molto tempo e molta energia nel decennio 1837-1847. Cosa dicono, in proposito, gli specialisti francesi? Non molto. Fingono di ignorare questo corpus così ricco, oppure ricorrono a eufemismi circa le posizioni del loro idolo, per non compromettere la sua immagine di liberale e democratico (3). È vero che la lettura assidua de La Democrazia in America e de L'Ancien Régime e la Rivoluzione si presta, meglio di un esame puntuale dei suoi scritti sull'Algeria, alle canonizzazioni accademiche. Questi testi, sebbene tutti pubblicati, non preoccupano più di tanto i membri dell'onorata Repubblica delle lettere che esplorano il pensiero di Tocqueville e si meravigliano della sottigliezza delle sue analisi. Eppure vi si apprende molto circa alcune sue posizioni e, più largamente, circa i primi anni della conquista, le origini e l'organizzazione dello stato coloniale. Vi scopriamo un Tocqueville sostenitore della «dominazione totale» in Algeria e della «devastazione del paese» (4).

L'importanza accordata da Tocqueville alla conquista di questo paese poggia, da un lato, su alcune analisi della congiuntura internazionale e della posizione della Francia nello scacchiere mondiale, dall'altro, sull'evoluzione dei costumi nazionali. Lo scrittore prova soltanto disprezzo per la monarchia di Luglio, che descrive come un regime mediocre e pusillanime. Deleterio per gli affari interni, questo regime lo è ancora di più per gli affari internazionali in anni in cui la crisi dell'Impero Ottomano, in particolare in Africa e in Medioriente, scompagina la situazione in queste regioni e crea nuove occasioni per le potenze europee. Ma, per coglierle, occorre far prova di audacia e non temere l'Inghilterra. Porre un termine al declino della Francia, restaurarne il prestigio e la potenza, questa l'ossessione di Tocqueville, convinto che, senza una vigorosa politica di conquiste, il paese sarà presto relegato al secondo posto e la monarchia minacciata nella sua stessa esistenza. In questo contesto, il ritiro dall'Algeria sarebbe un atto di irresponsabilità.

Occorre restare in Algeria e controllare anche il Mediterraneo centrale, costruendo due grandi porti militari e commerciali, ad Algeri e a Mers El-Kébir.

La realizzazione di questi progetti consente di restaurare l'orgoglio nazionale che Tocqueville vede compromesso dall'«infiacchimento graduale dei costumi» di una classe media la cui propensione per i «piaceri materiali» guadagna l'insieme del corpo sociale attraverso «l'esempio della debolezza e dell'egoismo» (5). La guerra e la colonializzazione appaiono dunque come rimedi ai mali sociali e politici di cui la Francia soffre. Perciò Tocqueville si pronuncia per misure radicali che consentano di impossessarsi dell'Algeria senza colpo ferire e di porre fine a dieci anni di indugi. Dominare per colonizzare e colonizzare per garantire la perennità della dominazione, sono questi gli orientamenti che Tocqueville non ha mai cessato di difendere. Quanto agli strumenti, il fine giustifica i mezzi...

Abd el-Kader si sposta in continuazione nel paese con l'appoggio di numerose tribù che gli procurano uomini, armi e cibo; occorre braccare senza tregua il primo e, soprattutto, distruggere le strutture economiche e sociali delle seconde, per colpire le basi del potere di questo capo e far crollare il suo prestigio. Dopo essersi pronunciato a favore del divieto di commercio per le popolazioni locali, Tocqueville aggiunge: «Le grandi spedizioni mi sembrano di quando in quando necessarie: in primo luogo per continuare a mostrare agli arabi e ai nostri soldati che nel paese non ci sono ostacoli che possano fermarci; e poi per distruggere tutto quanto assomigli a una aggregazione permanente di popolazioni, o in altri termini, a una città. Ritengo della più grande importanza che non si lasci sussistere né costruire alcuna città nelle terre di Abd el-Kader» (6).

Dunque l'autore di La Democrazia in America approva senza riserve i metodi di Bugeaud, e li difende pubblicamente a più riprese. Si tratta di saccheggiare il paese, di impossessarsi di quanto possa servire al mantenimento dell'esercito «facendo in tal modo vivere la guerra mediante la guerra», come dice il generale Lamoricière, e di respingere sempre di più gli autoctoni, in modo da assicurarsi il controllo completo dei territori conquistati. Una volta raggiunti questi obiettivi attraverso il terrore di massa, l'insediamento e lo sviluppo di numerose colonie di popolazione impediranno il rientro delle vecchie tribù.

Tocqueville non punta esclusivamente sulla forza delle armi ma vuole coprire queste usurpazioni ed estenderle ricorrendo alla forza del diritto. Perciò prevede l'istituzione di tribunali speciali che, con una procedura che egli stesso chiama «sommaria», procederanno a massicce espropriazioni a favore dei francesi e degli europei.

Questi potranno così acquistare terreni a buon mercato e mantenere villaggi che l'amministrazione coloniale doterà di fortificazioni, di una scuola, di una chiesa e persino di una fontana, precisa il deputato di Valognes, preoccupato del benessere materiale e morale dei coloni. Raggruppati in milizie armate sotto il comando di un ufficiale, essi assicureranno la propria difesa e sicurezza e quella dei propri beni. Allo stesso tempo la rete di questi villaggi consentirà il sicuro controllo delle regioni conquistate. Quanto alle popolazioni locali, prima respinte con le armi e poi spogliate delle loro terre dall'azione dei giudici, il loro numero diminuirà insesorabilmente, afferma Tocqueville. Così concepito e strutturato, lo stato coloniale si presenta di primo acchito come un duplice stato di eccezione in rapporto al regime che prevale nella Francia metropolitana: poggia su due sistemi politico-giuridici diversi, che si organizzano in ultima analisi su basi razziali, culturali e di culto. Il regime applicabile ai coloni permette loro di godere della proprietà e della possibilità di andare e venire, ma non di godere delle libertà politiche, che devono essere tutte sospese in Algeria, secondo Tocqueville. «Ci devono dunque essere due legislazioni molto distinte in Africa, perché vi sono due società nettamente separate.

Nulla vieta assolutamente, quando si tratti di europei, di trattarli come soggetti separati, perché le regole che si fanno per loro si dovranno applicare soltanto a loro» (7). Tutto chiaro, preciso e conciso. Gli uomini giunti dalla gloriosa e illuminata Europa hanno diritto ai diritti. Quanto agli altri, i «barbari», essi non potranno accedere alle gioie dell'uguaglianza, della libertà e dell'universalità della Legge. Né oggi né mai, poiché Tocqueville non fissa alcun termine a questa situazione. Non sorprende, quindi, che il secondo sistema, quello applicabile ai kabili e agli arabi, porti a uno stato di guerra permanente destinato a mantenerli sotto il giogo brutale dei coloni e di un'amministrazione dotata di poteri esorbitanti. Nel 1847, dopo anni di conflitti feroci, Tocqueville scrive: «L'esperienza non solo ci ha mostrato dov'è il teatro naturale della guerra, ci ha anche insegnato a farla. Ci ha mostrato la forza e la debolezza dei nostri avversari. Ci ha fatto conoscere i mezzi per batterli e, dopo averli battuti, per rimanerne padroni. Oggi possiamo dire che la guerra d'Africa è una scienza di cui tutti conoscono le leggi, che ciascuno può applicare a colpo sicuro. Uno dei maggiori servizi resi dal maresciallo Bugeaud al proprio paese è di aver esteso, e perfezionato questa nuova scienza e di averci sensibilizzato ad essa» (8). I crimini dell'esercito e dello stato francese in Algeria, le discriminazioni erette a principio e iscritte nel diritto: eccezioni? Una lunga storia.


note:

* Docente di scienze politiche all'università di Évry-Val-d'Essonne.
Curatore del volume: 17 octobre 1961: un crime d'État à Paris, ed.
La Dispute, Parigi, maggio 2001.

(1) In un volume che appartiene alla letteratura apologetica, Pierre Montagnon scrive, a proposito delle vittime: «500mila? Un milione? La verità si situa probabilmente tra queste cifre. Abbassarle equivarrebbe a sminuire una terribile realtà», La conquête de l'Algérie, Parigi, Pygmalion, 1986, pp. 414. Se si confrontano queste cifre con il numero totale degli abitanti, valutato dalla storica Denise Bouche, a «circa tre milioni» nel 1830, si può misurare meglio l'entità dei massacri.
Denise Bouche, Histoire de la colonisation française, tomo 2, Parigi, Fayard, 1998, p. 23.

(2) Alexis de Tocqueville, «Travail sur l'Algérie», in Îuvres complètes, Parigi, Gallimard, Pléiade, 1991, pp. 704-705.

(3) Con la notevole eccezione di Tzvetan Todorov, che ha presentato vari scritti di Tocqueville sull'Algeria; cfr. De la colonie en Algérie, ed. Complexe, Bruxelles, 1988 e «Tocqueville», in Nous et les Autres, Seuil, Parigi, 1989, p. 219-234.

(4) Alexis de Tocqueville, «Travail sur l'Algérie», op. cit., p. 699 e 706.

(5) Alexis de Tocqueville, «Lettre à John Stuart Mill», 18 marzo 1841, in Îuvres complètes, corrispondenza inglese, tomo VI, Gallimard, Parigi, 1954, p. 335.

(6) Alexis de Tocqueville, «Travail sur l'Algérie», op. cit., p. 706.

(7) Idem, p. 752.

(8) Alexis de Tocqueville, «Rapports sur l'Algérie», in Îuvres complètes, op.cit., p. 806. (Traduzione di M.G.G.) aa qq Il Grande Fratello di Ignacio Ramonet



http://www.ilmanifesto.it/MondeDiplo/LeMonde-archivio/Giugno-2001/0106lm14.01.html



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