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Transdisciplinare
Centri di accoglienza? No, di detenzione. A proposito del Centro di Permanenza Temporanea di Lecce.

Lingua: Italiana
Destinatari: Alunni scuola media superiore, Formazione post diploma
Tipologia: Materiale di studio

Abstract: Leccesera, 11.12/12.’02

“Gli uomini liberi del Salento. Per il cuore dell’accoglienza. Manifesto di solidarietà al Regina Pacis”.
Così troneggiava la prima pagina dell’Ora del Salento, giornale della curia leccese. Seguivano centonovantasette firme, autorevolmente rappresentative del territorio.

Senza nessun imbarazzo, razzisti e solidali, gli uni accanto agli altri. Ma, vista la risonanza e la ridondanza dei toni, è doveroso chiedersi: uniti da cosa? Per cosa, noti e meno noti, sono stati chiamati a firmare un appello? E principalmente, contro chi?

I toni sono quelli delle grandi occasioni: sembra che ci siano i cosacchi alle porte, come qualche politicante in esubero aveva irresponsabilmente farfugliato qualche giorno prima!

Non sappiamo quanto fosse chiaro ed esplicito all’atto della raccolta delle firme, ma il messaggio che veicola quella prima pagina è inquietante: sembra una chiamata alle armi, in un clima da santa inquisizione, di crociate. Imbarazzante per molti dei firmatari, anche se brillano di più molte assenze del mondo cattolico, piuttosto che le presenze.

L’autorevole giornale, in verità, non è nuovo a questo tipo di uscite e di linguaggio. L’editoriale di un altro recente numero ricalcava lo stesso linguaggio violento ed arrogante, contro chi osava non credere per fede all’operato del Regina Pacis. Roba da secoli andati: al rogo gli eretici! Siamo di fronte alla sistematica criminalizzazione del diverso da sé. Ambedue le volte, pur nella loro diversità, in fondo, movente e copione sono gli stessi: si tira in ballo accoglienza e solidarietà, i due alti valori sociali sono erti a schermo e diventano totem della tracotanza.

Ma chi è contro l’accoglienza, la magistratura che svolge il suo lavoro? Lasciamola lavorare in pace e senza pressioni, nell’interesse di tutti. O il gruppo del Social Forum che simbolicamente si è riunito in P.za Duomo? Ma signori, questi non sono scellerati usciti dalle tane! Hanno solo dimostrato pacificamente il loro dissenso e molti di loro sono volontari, di quelli veri, di quelli che non chiedono e non prendono nulla e lavorano in silenzio senza chiamare la TV ogni qualvolta debbano bere. Dov’è la violenza, qual è l’accusa, lesa maestà? Non viene il dubbio che queste forme di criminalizzazione del dissenso puzzino di vandea? Qui come altrove scendono nelle piazze credenti e non credenti, religiosi e laici, uniti da un sogno di un “altro mondo possibile”, fatto di eguaglianza e solidarietà. Questo popolo solidale si è recato rispettosamente in quella piazza per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica sui Centri di Permanenza Temporanea e per denunciare le brutture a cui aveva assistito e le ingiustizie là consumate. Nel Regina pacis aveva visto gente con ferite e ossa rotte; situazione ammessa anche dal sottosegretario Mantovano, sebbene parlasse di "infortuni procuratisi durante la fuga". La fuga. Ma chi è accolto, non fugge! Nell’occasione cinquantotto profughi – là abusivamente rinchiusi - avevano consegnato a questi intrusi dei Forum sociali la richiesta di asilo, grazie alla quale sono stati trasferiti al Centro “Lorizzonte”. Costoro erano destinati al rimpatrio nell'inferno del Kashmir in guerra, come tanti altri deportati da Lecce, abusivamente e senza nessun controllo! A costoro è stato ridato un diritto e probabilmente salvata la vita. Altri erano là presenti, sebbene non dovessero esserlo. E cosa succede tutti gli altri giorni, senza controlli di parte? E’ a queste drammatiche domande che il Regina pacis deve rispondere! Stiamo parlando di diritti negati e della vita di tutte queste persone, non di opinioni!

Altro che Centri di accoglienza, i Centri pugliesi sono campi di concentramento in attesa della deportazione. Per questo l’Associazionismo di sostegno, in primis la Caritas nazionale, è per la chiusura. Forse molti dei firmatari non lo sapranno, ma in molte piazze d’Italia i vescovi sono accanto al Social Forum, non dall’altra parte. "Ero forestiero e mi avete messo in un lager", diceva entrando nel Regina Pacis e parafrasando il Vangelo don Angelo Cassano, parroco a Bari. “Il Centro di San Foca è un luogo lesivo dei principi di libertà e certezza del diritto, e dico questo con tutto il rispetto per chi là dentro ci lavora. Al Regina pacis ci sono immigrati reclusi senza aver commesso alcun reato, se non quello di aver cercato la possibilità di una vita più dignitosa nel nostro Paese”, dice don Luigi Ciotti. Forse molti non sapranno che i sans papier (l’equivalente dei nostri clandestini) in Francia sono stati accolti e difesi dalla Chiesa e le chiese sono state le loro case e la loro difesa, contro chi voleva espellerli. Allora chiediamo: chi è dalla parte sbagliata?

Ecco perché si ricorre all’ambiguità e si parla di Centri di Accoglienza e non di Centri di Permanenza temporanea, di detenzione, li hanno ribattezzati gli ambienti cattolici. Il Regina pacis non è un Centro di accoglienza, è un posto dove la gente viene rinchiusa, tant’è che si rivolta contro i carcerieri e scappa! Ma questi giovani barbari convenuti pacificamente in P.za Duomo non denunciavano forse l’anomalia leccese della gestione di un Centro di Permanenza Temporanea da parte di una Fondazione che fa capo alla Curia leccese? E non è imbarazzata la Curia leccese a gestire questo Centro, mentre la Caritas nazionale è per la loro chiusura? E perché si tira in ballo il volontariato? Che c’entra il Regina pacis con il volontariato? Il Regina Pacis non è una Fondazione che riceve una retta giornaliera per ogni “ospite”? Perché non si informa correttamente la popolazione, invece di carpirne la buona fede? Se non hanno nulla da nascondere, perché i due Centri (Regina pacis e Lorizzonte) non presentano pubblicamente i bilanci e non si confrontano pubblicamente con il Social Forum, come da tempo viene chiesto?

Con l’entrata in vigore della legge 189/’02, la famigerata Bossi-Fini, cambia anche la dizione dei Centri: non esistono più “Centri di accoglienza”, ma “Centri d’identificazione” e “Centri di Permanenza Temporanea” (CPT). Così in provincia di Lecce vengono ad aversi: due “Centri d’identificazione” (Otranto e Casalabate) e un “Centro di Permanenza Temporanea” (S. Foca). Il Centro di Otranto è una storia a sé: qui c’è una distinzione netta tra stato e volontariato, senza confusione di ruoli. I due “Centri di identificazione” possono (e devono) essere convertiti. Convertiti e al più presto, perché di Centri di accoglienza (prima e seconda) c’è bisogno, ma la legge non li contempla. Chi ha voglia di giustizia sappia che ci sono tanti immigrati (e non solo) senza fissa dimora. Ossia gente che non ha dove dormire, come un gruppo di sudanesi che, ultimamente, avuto un permesso di soggiorno e in attesa di riconoscimento dello status di rifugiato, non sa dove dormire! E il volontariato, quello vero, non sa a che santo votarsi, alla ricerca di un tetto.

I “Centri di Permanenza Temporanea” (CPT) vanno chiusi, subito. Sono dei templi alla negazione dei diritti umani e sociali e servono solo a chi li gestisce e a copertura dell’ideologia securitaria. Mentre recludono e reificano l’immigrato, non rispondono ai motivi per cui sono nati e sono una falsa risposta alla domanda di sicurezza sociale del cittadino. La legge Bossi-Fini è un tempio alla retorica anti-immigrati, ma non intacca la cosiddetta migrazione clandestina, anzi, la alimenta. La clandestinità è una costruzione sociale che inferiorizza e bestializza l’altro. Bisogna ricordare che clandestini si diviene per leggi inadeguate, pensate indipendentemente e contro chi dovrebbe rispettarle. I Centri sono stati pensati in quest’ordine di idee e si configurano come carceri dei nuovi dannati della terra e come prima sperimentazione per la privatizzazione del sistema carcerario.

Perché si ponga fine alla clandestinità bisogna permettere delle entrate legali, l’esatto contrario di ciò che ha fatto la legge Bossi-Fini, che ha chiuso gli unici canali d’entrata legale aperti con la legge 40/’98, mentre tende a restringere le quote programmate. Per l’anno corrente sono 20.500, un numero fortemente al di sotto della domanda (che si aggira intorno alle 100mila). Così ogni unità non programmata la si ritroverà sul mercato del lavoro irregolare (“clandestini”). Sono stati aboliti gli sponsor e le entrata per ricerca di lavoro, le uniche vie che permettevano entrate legali e che avevano avviato delle regole.

La gente ha due scelte: morire in silenzio nei propri Paesi o tentare la fuga (imposta dalle condizioni d’esistenza, siano esse economiche o politiche). Se arriverà qua vivo, quando (e se) incapperà nella vigente legge lo identificheranno (nei Centri) e lo accompagneranno alla frontiera d’appartenenza, sempre che sia possibile identificarlo e che con il suo Paese ci siano accordi di riammissione. Se dovesse rientrare e dovesse essere rintracciato sarà sbattuto in galera. Se nei Centri non lo identificheranno (o con il suo Paese d’origine non ci sono accordi di riammissione) gli daranno un foglio di via, che non rispetterà; quando sarà rintracciato lo sbatteranno in galera. Conclusione: le carceri italiane sono le uniche porte aperte per gli immigrati e saranno piene (lo sono già) di poveracci. L’entrata clandestina, da reato amministrativo si è trasformato in penale. La povertà ormai è un reato.

Chi questi Centri vuole chiuderli sa anche che la repressione costa; sa che con le stesse risorse si possono costruire spazi di pace e di convivialità, piuttosto che inutili reclusori: è uno scontro di civiltà.


Gigi Perrone
Docente di Sociologia delle relazioni etniche presso l'Università di Lecce.
Mailto: gigiperrone@tin.it

red



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