centro risorse per la didattica
Risorse per area disciplinare:   
Homepage
La redazione
 
Ricerca
Iscriviti alla news
Le newsletter
 
Attualità
Percorsi
Novità
Recensioni
 
Disabilità
Lavagna Interattiva
 
La tua segnalazione
Il tuo giudizio
 
Cataloghi in rete
 
DIDAweb
 

risorse@didaweb.net
 
Fai conoscere ai tuoi amici
questa pagina

 

  Cerca nel web:
Se sei un utilizzatore della toolbar di Google, puoi aggiungere anche il nostro pulsante:
Centro Risorse
  SCHEDA RISORSA


Pluridisciplinare
Storia
Come fare politica senza entrare in un partito - introduzione al testo di Giulio Marcon

Lingua: Italiana
Destinatari: Formazione post diploma, Alunni scuola media superiore
Tipologia: Ipermedia

Abstract:
Come fare politica senza entrare in un partito

Collana: Nuova Serie Feltrinelli
Pagine: 192
Prezzo: Euro 10


Introduzione
Questo non è un libro contro i partiti. È un libro a favore della politica diffusa e che ha come protagonista la società civile. In Italia sono tante le persone che fanno politica; e non solo nei partiti.
Centinaia di migliaia di cittadini sono impegnati in associazioni, comitati, campagne, movimenti per fare quella che a seconda dei casi viene definita politica dal basso, politica diffusa, molecolare. Si tratta di organizzazioni e persone che si danno da fare per influenzare le scelte generali, ottenere il rispetto e la promozione dei diritti fondamentali, per la difesa del proprio territorio, per concorrere nel posto dove vivono alle scelte quotidiane degli amministratori pubblici. Ce ne sono molte altre che vorrebbero farlo, ma spesso non riescono a organizzarsi, non hanno gli strumenti giusti per dare seguito alle proprie intenzioni.
Se per politica si intende la ricerca e la promozione del “bene comune” (o dei beni comuni, dai quali dipende la qualità della nostra vita), della cura e del bene della propria polis, della realizzazione della “volontà generale”, ebbene queste centinaia di migliaia di persone fanno politica, anche senza i partiti. Facendo riferimento all’epoca classica, il Dizionario di politica di Bobbio, Pasquino, Matteucci ricorda: “Derivato dall’aggettivo polis (politikos), significante tutto ciò che si riferisce alla città, e quindi cittadino, civile, pubblico, e anche socievole e sociale” (Bobbio et al. 1976). Qui, la politica – prima della sua professionalizzazione e della sua costituzione in scienza e pratica separata nell’epoca moderna – coincide con il sociale e si identifica, oggi, con i tanti cittadini impegnati in associazioni, movimenti, organizzazioni della società civile.
La differenza tra le organizzazioni della politica diffusa e i partiti è sostanzialmente nelle funzioni dell’esercizio della rappresentanza politica ed elettorale, della selezione del personale politico e della gestione della cosa pubblica: i partiti – a differenza delle organizzazioni della politica diffusa – partecipano alle elezioni, si fanno eleggere, esercitano (quando vincono) funzioni di governo e amministrative. La politica è certamente questo, ma anche molto altro. In Italia (e non solo da noi) quando si usa la parola politica la si associa generalmente e solamente ai partiti. Ha iniziato a farlo la nostra Costituzione repubblicana (1948) quando ha dichiarato (art. 49) che i cittadini possono “associarsi liberamente nei partiti per concorrere a determinare la politica nazionale”. I partiti; non le associazioni, i comitati, i movimenti. Per questo motivo e per tanti altri che riguardano la storia delle istituzioni e della società del secondo dopoguerra, i partiti hanno goduto di un primato che ha avuto due risvolti importanti. Uno, molto concreto: vantaggi e privilegi economici, rendite di potere, occupazione delle istituzioni. Il secondo nell’immaginario collettivo: i partiti come custodi e depositari della Politica tout court.
Così non è. Come si è visto in tanta parte della storia del nostro paese, la realizzazione della “volontà generale” e la determinazione della politica nazionale sono avvenute anche per la spinta decisiva di movimenti, campagne, associazioni che, grazie alla partecipazione e al consenso di tanti cittadini, hanno contribuito a cambiare gli assetti istituzionali, la legislazione sociale ed economica, gli indirizzi di governo. I partiti di massa hanno avuto un ruolo centrale nel secondo dopoguerra nel garantire un forte tessuto democratico e civile. Ma, come ha ricordato Alessandro Pizzorno – il più autorevole studioso del sistema dei partiti in Italia – la stagione dei partiti di massa è stata una lunga parentesi (a parte gli albori, quella dello scontro ideologico del secondo dopoguerra) dentro una linea di continuità (comune ad altri paesi) del tutto diversa. Quella – pur con importanti eccezioni, talvolta legate a nobili tradizioni, altre al populismo demagogico – dei partiti come assemblaggio di comitati elettorali e di eletti, gruppi e correnti di affinità o di interessi (e di potere), apparati di funzionari: più che sedi di organizzazioni della politica e di democrazia, strumenti di selezione della classe politica e di governo, della politica come specialismo separato o “come professione”, per parafrasare Weber.
A partire dagli anni ottanta, si è parlato in Italia di “crisi” e “riforma” della politica. Negli anni novanta – con Tangentopoli – questa crisi è esplosa. La fase ascendente della politica militante degli anni settanta (che coinvolgeva milioni di persone nei partiti di sinistra e nei movimenti politici post ‘68) ha subito un colpo d’arresto alla fine di quel decennio, per poi entrare irreversibilmente, negli anni ottanta, nella sua fase discendente. In quegli stessi anni, nascevano gruppi di volontariato, associazioni e comitati impegnati nella politica diffusa; dal 1970 al 1999 ne sono nati oltre centoventimila (censimento Istat 2001), molti di più della somma delle sedi locali di tutti i partiti italiani. Oggi, in totale, sono più di duecentoventimila le organizzazioni senza scopo di lucro impegnate nella società, con milioni di cittadini coinvolti. Si tratta, per un certo numero di queste (quelle più qualificate e motivate), della politica “in prima persona”, quella del “mi riguarda” di Don Milani (I care) contro la delega della politica “separata”. È stato calcolato che siano all’incirca diecimila le persone – funzionari di partito, eletti organici alle formazione politiche ecc. – impegnati nella politica (tradizionale) come professione; a questi vanno aggiunte le poche decine di migliaia di militanti attivi ancora presenti nelle formazioni politiche tradizionali. Invece, pure in un’accezione specifica e ristretta (quella cioè di organizzazioni impegnate in attività di pressione, rivendicazione, advocacy ecc. legate ai temi delle scelte e delle decisioni politiche su temi sociali e dei diritti) sono oltre quattrocentomila coloro che fuori dai partiti fanno politica, e cioè si impegnano in organizzazioni, campagne e movimenti volti alla realizzazione dei beni comuni e dell’interesse generale.
Ma veniamo a noi.
Questo libro ha due obiettivi, uno pratico, uno più politico.
Quello pratico è già esplicito nel titolo: “Come fare politica senza entrare in un partito”. Il libro vuole fornire una serie di informazioni, suggerimenti, indicazioni pratiche a chi – nella propria provincia, nel proprio quartiere – vuole fare politica dal basso o darsi da fare per cambiare la società: condizionare e influenzare i propri amministratori, lanciare una campagna su un tema importante, difendere e promuovere i diritti che vengono calpestati, gestire un servizio sociale. Una specie di “che fare” della politica diffusa, un manuale per l’uso per chi vuole orientarsi nella vasta gamma di possibilità di impegnarsi dal basso, senza deleghe, in modo diretto. Come costituire un’associazione di promozione sociale? Come programmare i momenti di una campagna e di un’azione di pressione per costringere il proprio comune a cambiare politica? Come promuovere un progetto di solidarietà e una raccolta fondi per le attività dei Sem terra in Brasile? E passando a questioni ancora più tecniche: come si coordina l’organizzazione degli attivisti e dei volontari? Come si possono gestire le risorse economiche utilizzando gli strumenti della finanza etica? A queste e ad altre domande questo lavoro vuole dare alcune limitate risposte e sintetici consigli pratici, utilizzando anche il racconto o la citazione di esperienze concrete (di successo) che testimoniano come molte delle indicazioni sulla carta sono state poi realizzate in pratica.
Quello più politico si incentra sulla riflessione e sulle proposte per allargare, temperare e meglio armonizzare l’equilibrio delle diverse forme della politica nel nostro paese: quelle esercitate attraverso la rappresentanza elettorale e quelle che traggono fondamento nelle pratiche diffuse e dal basso. Il principio che qui si vuole richiamare è quello della pari dignità (nella loro diversità) delle variegate forme della politica. Questa pari dignità, per essere tale, deve essere declinata in due direzioni: lo smantellamento del primato monarchico dei partiti (che devono continuare ad avere un ruolo fondamentale in un moderno e plurale sistema della politica) e la costruzione di strumenti, procedure e sedi per dare più forza e impatto alle forme della politica diffusa. Solo in tal modo quest’ultima potrà superare il suo complesso di inferiorità (reale) e la sua subalternità ai partiti, nonché il periodico travaso di energie associative nel ceto politico tradizionale e la trasformazione di movimenti sociali in partiti. È questo anche un modo per lavorare su quella proposta – su cui hanno ragionato in molti: da Ulrich Beck a Marco Revelli (Beck 2001, Revelli 2003) – di depotenziamento della politica tradizionale (i partiti) a favore di forme di “politica orizzontale” fondate non sul potere e la sua gestione dall’alto, ma sulla partecipazione e l’autogestione dal basso. Non si tratta però di contrapporre un’inesistente società civile immacolata ad un generalizzato sistema dei partiti degenerato. La questione non è tanto togliere poteri da una parte (partiti) per ridislocarli da qualche altra parte (società civile) in un gioco “a somma zero”. Il nodo è come creare le condizioni per liberare nuove risorse che allarghino lo spazio sociale e civile della politica tout court. Il libro si articola in quattro capitoli.
Nel primo capitolo – “La politica senza i partiti: i soggetti” – si dà una descrizione generale delle forme e delle organizzazioni della politica diffusa; movimenti sociali e campagne, Terzo settore e volontariato, associazionismo e gruppi, comitati ecc. Se ne individuano caratteristiche sociali, economiche e culturali: ne viene tracciato un profilo generale e storico, evidenziando come anche con queste esperienze prenda corpo l’esistenza in Italia di una vasta “politica senza partiti”.
Nel secondo capitolo – “La democrazia dal basso: le politiche” – il punto di osservazione è prevalentemente quello della concreta realtà locale (ma non solo, si parla anche di leggi e istituti di democrazia diretta) dove si realizzano le esperienze di politica diffusa. In questi anni si è parlato molto di bilancio partecipativo, statuti comunali, sussidiarietà, welfare municipale: strumenti e politiche in cui le forme di autorganizzazione sociale dal basso possono avere un ruolo importante. Più che in una dimensione nazionale è in un ambito locale che la politica diffusa si può esprimere con efficacia: in questo capitolo si evidenziano spazi, procedure e strumenti cui ricorrere o da rivendicare.
Il terzo capitolo – “Organizziamoci! Parole chiave e buone pratiche” – è la parte centrale e manualistica del libro. Consigli, suggerimenti e informazioni su come costituire un’associazione o aprire una bottega del commercio equo e solidale, dare vita a una campagna o progettare un intervento o un servizio per la comunità, su come gestire le risorse economiche, lanciare una campagna di comunicazione, su come coinvolgere i volontari e gli attivisti ecc. I consigli tecnici rimandano a siti Internet, manuali, centri studi, corsi universitari cui ci si può rivolgere per iniziare la propria attività, o migliorarla.
Il quarto capitolo – “Il futuro della politica ‘senza entrare in un partito’” – approfondisce il secondo obiettivo di questo libro: la riforma della politica. In questo capitolo vengono esposte le riflessioni, ma soprattutto le proposte – in un nuovo equilibrio da costruire – per dare alla politica diffusa (nel contesto della riduzione dei privilegi dei partiti) nuove possibilità di esprimersi: spazi, strumenti, politiche, procedure, risorse per incidere di più sulla vita istituzionale locale e nazionale e organizzare una significativa partecipazione popolare. È l’idea di una politica diversa, buona, democratica e diretta, oltre i concetti di potere, potenza, forza.
Pensando alla struttura di questo libro mi è tornato alla mente un bel testo di Aldo Capitini (il filosofo nonviolento al quale dobbiamo l’organizzazione della prima marcia per la pace Perugia-Assisi nel 1961) intitolato: Le tecniche della nonviolenza. Dopo un’introduzione generale, venivano lì indicate le diverse pratiche – l’obiezione di coscienza, la non collaborazione, il boicottaggio, i digiuni, i campi di lavoro, il sit-in ecc. – spiegate sinteticamente con grande efficacia e collocate in una più ampia visione della nonviolenza come politica e modalità di azione sociale. A quel testo mi sono ricollegato nell’impostazione di questo lavoro. Proprio Capitini, con una visione di straordinaria modernità, un anno prima del movimento del ‘68 e della sua morte aveva ricordato in uno dei suoi scritti di Opposizione e Liberazione i compiti di una politica diversa:

In una vera democrazia i partiti come formazioni chiuse, dogmatiche e quasi militari non dovrebbero esserci... Bisogna fare tutto un lavoro di aggiunta al vecchio schema partiti-parlamento-governo, di un nuovo schema di una democrazia integrale che arriva fino alla periferia, e dal basso si autoeduca e si autoamministra. Soltanto una società di questo genere è sopportabile, soltanto essa realizza quell’andare oltre la politica, in nome di una liberazione infinita e una solidarietà popolare (Capitini, 1991).

È significativa l’assonanza della parole di Capitini con quelle di settant’anni prima di Osvaldo Gnocchi Viani, il fondatore del Partito operaio italiano nel 1882, della prima Camera del lavoro di Milano (1891) e della Società umanitaria (1893). Anche lui stigmatizzava la separazione della “classe politica” dalla società, invitava a esautorare – cioè a svuotare – il potere e il governo, andando per un’altra strada; quella del far da sé solidaristico fondato sulla democrazia dal basso e l’autogestione, la strada di una politica senza classe politica, di nuovi “partiti sociali” oltre o accanto ai “partiti politici” professionalizzati e separati. L’obiettivo era quello di una “dimensione pubblica” come luogo di “indipendenza e autonomia” costruito dal basso, in cui lo stato non avrebbe dovuto sottrarre spazi alla società, ma solo togliere ostacoli alla realizzazione dell’autogestione popolare (Gnocchi Viani 1995). Proprio da due importanti figure eterodosse, però centrali e innovative, della storia del pacifismo e del movimento operaio italiano ci vengono rinviati i temi attuali di una politica diffusa che pone al centro la partecipazione sociale e gli strumenti – che vanno studiati, conosciuti e praticati – di una trasformazione politica ed economica che parte dal basso. Temi che oggi si ripropongono a chi – nei movimenti, nelle associazioni, nelle campagne, nel volontariato – è impegnato a costruire alternative politiche e concrete per una società diversa, in cui la politica “senza bisogno di un partito” può avere un ruolo importante.


http://www.zivago.com/SchedaLibroEstratto?id_estratto=1293



I giudizi degli utenti

Assenti

Aggiungi il tuo giudizio    Precedenti risultati   


  Iscriviti alla news
Ricevi in posta elettronica le novità e una selezione di risorse utili per la didattica.

Iscriviti qui


Novità
Le ultime risorse per la didattica catalogate ed inserite nel nostro database.

 

 

PRESENTARSI
Proposta d'apprendimento di italiano per stranieri - livello A1

 



ENGLISH LESSONS AND TESTS.

Percorsi
Proposte di selezioni e percorsi fra le risorse e i materiali in archivio.

Percorsi
Feste e calendari multiculturali.
Calendari solari e lunari, festività religiose e tradizionali delle diverse culture.

Percorsi
Steineriane
Le ''scuole nuove'' della pedagogia steineriana, contrassegnate dal paradosso di un’accettazione pratica e di un’ignoranza teorica da parte degli stessi utenti e degli operatori della scuola pubblica, tra ''fedeltà karmica'', incarnazioni di individualità che ritornano sulla terra, bambini indaco e apparente buon senso pedagogico.

  Ambiente virtuale collaborativo in evoluzione ideato e sviluppato da Maurizio Guercio è una iniziativa DIDAweb