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Psicologia

L'approccio psicodrammatico all'orientamento scolastico e professionale. Saggio di Fabio Canini



Lingua: Italiana
Destinatari: Insegnanti, Formazione post diploma
Tipologia: Materiale per autoaggiornamento

Abstract:

L’approccio psicodrammatico all’orientamento scolastico e professionale

di Fabio Canini

 

L’orientamento come relazione d’aiuto

Quando si parla di orientamento scolastico e professionale si intende quell’insieme di azioni che concorrono ad aiutare l’individuo che si trova in una fase di transizione a compiere intenzionalmente una scelta o a predisporre un piano d’azione finalizzato al raggiungimento di un obiettivo formativo e/o professionale.

L’approccio all’orientamento nel corso degli anni ha preso forma in un intervento di tipo professionale che mette a disposizione dell’utente/cliente, inteso come una persona potenzialmente capace di orientarsi ed inserita in un contesto dinamico di scelta che la accompagnerà per tutta la vita, una serie di possibili strumenti o risposte orientative che possano interfacciarsi alle sue esigenze o disponibilità.

Al di là delle specificità delle azioni orientative che implicano la presenza di un operatore, l’orientamento si caratterizza come azione volta a supportare una persona che, in un particolare momento della propria vita, di fronte ad un compito orientativo, si attiva in una richiesta d’aiuto.

Carl Rogers definisce la relazione d’aiuto come

una relazione in cui almeno uno dei protagonisti ha lo scopo di promuovere nell’altro la crescita, lo sviluppo, la maturità ed il raggiungimento di un modo di agire più adeguato ed integrato. L’altro può essere un individuo o un gruppo. In altre parole una relazione di aiuto potrebbe essere definita come una situazione in cui uno dei partecipanti cerca di favorire, in una o in ambedue le parti, una valorizzazione maggiore delle risorse personali del soggetto ed una maggiore possibilità di espressione.

Volendo però restringerne il campo attraverso una interpretazione più delimitata e specifica potremmo intravedere l’attivarsi nell’orientamento di una relazione d’aiuto in quelle relazioni tra operatore dell’orientamento ed utente/cliente in cui venga perseguita la promozione dello sviluppo delle potenzialità individuali in una direzione di maturità e "congruenza".

L’impostazione rogersiana […] riconosce al cliente le potenzialità necessarie per risolvere i propri problemi dopo averne maturato piena consapevolezza.

[…] La relazione d’aiuto non consiste più nel proporre soluzioni ma, al contrario, nel facilitare al soggetto il processo di decisione responsabile attraverso risposte di comprensione-facilitazione da parte del counselor, nel pieno rispetto dei sentimenti, del vissuto, dei tempi e delle decisioni della persona. E’ un percorso volto all’autonomia del soggetto, che acquisisce così una graduale consapevolezza di sé. (Di Fabio "Counseling" Giunti, Firenze 1999, pag.157)

Questa impostazione ha trovato terreno favorevole nelle attuali prassi orientative che, considerando il soggetto che richiede un’azione orientativa come fondamentalmente capace di auto-orientarsi, rifuggono un atteggiamento prescrittivo prediligendo un approccio processuale che sia di accompagnamento alla persona stessa nella sua ricerca di soluzioni possibili.

In questo senso l’orientamento si pone in una dimensione maieutica in cui il professionista ha la funzione di raccogliere, rispecchiare ed ancorare alla realtà gli elementi via via incontrati, aiutando il soggetto ad integrarli, dopo averli valutati, nel proprio progetto di vita formativo/professionale.

All’operatore dell’orientamento, oltre a delle buone doti relazionali, è richiesta quindi sia una forte capacità attivante sia una buona competenza nel padroneggiare tecniche che permettano la riflessione personale (tra queste, ad esempio, la riformulazione).

Nei diversi momenti del percorso il professionista funziona da specchio, aiuta a vedere le cose da un punto di vista diverso, riformula in positivo gli elementi di criticità, aiuta a discriminare, a tessere legami, a far risaltare eventi importanti, a far emergere nuove piste di riflessione, a facilitare la riscoperta di ipotesi nuove. La riformulazione presenta al soggetto un punto di vista diverso da quello abituale, in modo da valorizzare ai suoi occhi degli elementi che fino a quel momento non erano valutati a sufficienza. (M. Consolini, M.L. Pombeni "La consulenza orientativa" Franco Angeli, Milano 1999, p.37)

Il peso del "saper essere" dell’operatore, all’interno delle relazioni d’aiuto, è molto significativo (tanto che c’è chi sostiene che sia prioritario rispetto al "saper fare") e le "pratiche" dell’orientamento, come del resto tutti i percorsi processuali, risentono di questo peso, al di là dell’approccio metodologico, tecnico, strumentale (il cosiddetto fattore aspecifico).

Sembrerebbe quindi che l’aspetto metodologico si situi in secondo piano rispetto alle qualità dell’operatore!

Ribaltando la questione ci si potrebbe domandare se, dato un quadro concettuale e valoriale di riferimento, ci possano essere approcci metodologici diversi che possano raggiungere gli stessi obiettivi.

Nel campo della psicologia clinica, e della psicoterapia in particolare, la varietà di approcci e di modelli operativi è vastissima. Questo pullulare di "indirizzi" e di sigle, nonostante possa risultare a volte confusivo e poco comprensibile, ha però il grande vantaggio di fornire agli addetti ai lavori la possibilità di individuare e scegliere quell’approccio che in base al proprio "essere" possa favorire in loro la migliore coniugazione tra "saper essere" e "saper fare".

Si potrebbe allora ipotizzare che nello svolgere un’azione orientativa, soprattutto se di tipo relazionale/processuale e vicina quindi alla relazione d’aiuto, l’operatore dell’orientamento possa attingere a tutto un bagaglio di prassi e metodologie afferenti a questo tipo particolare di relazione che, per formazione ed esperienza, sente più vicine al suo "saper essere professionale". E ci si può attendere che, facendo salve le fasi fondamentali del processo, approcci metodologici diversi possano contribuire a medesimi risultati.

Orientamento e psicodramma: quando il tema è la scelta

Lo spazio relazionale e di semirealtà proprio dello psicodramma come possono confrontarsi con le coordinate proprie dell’orientamento scolastico e professionale?

E’ banale affermare che in quanto elementi appartenenti all’esperienza di vita delle persone le problematiche legate alle transizioni nel campo formativo/lavorativo entrano di diritto nella sfera d’interesse di ogni processo terapeutico o consulenziale.

Per sgombrare però il campo da possibili equivoci è forse utile sottolineare in maniera esplicita le differenze che esistono tra le finalità di un percorso terapeutico e quelle di un percorso orientativo: mentre il primo è indirizzato a prendersi carico dell’interezza dei vissuti e delle esperienze portate dal soggetto per alleviare o risolvere difficoltà che possono coinvolgere vari ambiti della propria vita, il secondo è vincolato da un contratto che limita e chiarisce il focus del "lavoro" all’interno di un particolare snodo dell’esperienza formativa e/o lavorativa.

È possibile quindi che tematiche "orientative" rientrino in un percorso clinico mentre non è corretto che elementi personali estranei al processo rientrino e siano affrontati in un percorso di tipo orientativo.

Ciò premesso: come vengono affrontati i temi legati all’orientamento o alla scelta all’interno del setting psicodrammatico?

L’obiettivo è sempre quello di far giungere la persona ad una maggiore chiarificazione, comprensione, consapevolezza della situazione data cogliendone le varie sfaccettature emotive e relazionali.

Secondo Moreno l’Io si struttura tramite i ruoli nel contatto con l’ambiente sociale: le relazioni significative lasceranno tracce che andranno a formare il cosiddetto "atomo sociale percettivo" attraverso il quale l’individuo stabilisce i suoi vincoli e le sue relazioni con i propri simili. La psiche dell’uomo risulta essere costituita e caratterizzata da relazioni che influiscono sulle sue azioni (drama). Scopo del lavoro psicodrammatico è dare forma, in uno spazio di realtà e di semirealtà, a questi contenuti mentali in modo che siano maggiormente concreti, gestibili e "manipolabili".

Attraverso la funzione e le tecniche di inversione di ruolo la persona potrà dare voce e corpo a qualsiasi contenuto mentale "mettendosi nei panni" dello stesso. Quando il tema riguarda la scelta, ad esempio, sarà possibile concretizzare sulla scena i vari elementi che si ritengono chiamati in causa e farli interagire tra di loro, fornendo così alla persona stessa, elementi di riflessione spesso nuovi.

All’inversione di ruolo si affiancano poi le importanti funzioni (e relative tecniche per attivarle) di doppio e di specchio. In un contesto di gruppo caldo e favorente l’intimità quale è il gruppo di psicodramma vi è la possibilità di cogliere, esprimere e chiarirsi meglio i propri pensieri, anche i più profondi, incentivando l’introspezione (doppio) e di sperimentare il confronto con la realtà – rappresentata dai compagni di gruppo -, l’eteropercezione, e lo sguardo dell’ "altro" (specchio): ottimi strumenti per approfondire la propria situazione attuale e le risorse per affrontare i nodi problematici, siano essi orientativi o meno.

Lo spazio di semirealtà che caratterizza il lavoro psicodrammatico di un protagonista, quando cioè il palcoscenico diventa il luogo in cui si concretizza una parte del suo mondo interno, risulta essere un luogo molto adatto per l’esplorazione di quegli elementi che fondano anche i percorsi di orientamento. Rappresentazioni, vissuti, esperienze, valori, percorsi formativi/lavorativi, aspettative, timori possono trovare una espressione dinamica sulla scena ed una rappresentazione affettivo-cognitivo-corporea che può fornire importanti momenti di insight al protagonista impegnato in questa trasposizione dall’affollato "teatro interno" alla più elementare (e quindi più gestibile e leggibile) scena psicodrammatica.

È in questa possibilità di dare voce e vita ai vari elementi che caratterizzano il panorama interno che, a mio parere, sta la maggiore valenza orientativa dello psicodramma in quanto implica essa stessa l’attivazione e la mobilitazione di risorse cognitive ed emotive di per sé orientanti.

L’esplorare sulla scena psicodrammatica, ad esempio, alcune alternative di scelta possibili agendo, esprimendosi e relazionandosi come "Scelta" nei confronti delle altre "Scelte" (agendo cioè in inversione di ruolo con i vari elementi presenti nella scena) potrà permettere un’esperienza pregnante sia dal punto di vista dell’azione che della riflessione potendo integrare poi tutti gli elementi, soprattutto quelli emotivi, in una costellazione più chiara e consapevole.

Il mettere in azione

L'eredità e lo spessore culturale e scientifico di J.L. Moreno non stanno solo nell'indicazione dell'utilizzo dell'azione come principale strumento terapeutico ("In principio era l’Azione") ma nell'aver determinato una significativa cornice esistenziale e filosofica all'interno della quale egli ha sempre inserito il suo "mettere in azione".

La visione positiva dell’uomo, visto come intrinsecamente dotato di un potenziale di spontaneità e di creatività, e la valorizzazione della sua soggettività che si esprime nel qui ed ora, fanno si che l’agire professionale dello psicodrammatista non sia principalmente legato ad un setting o a delle tecniche ma ad un approccio epistemologico che, in quanto tale, può essere declinato in vari contesti di relazione.

Un approccio psicodrammatico all’orientamento risulta quindi ipotizzabile qualora si ritenga che un allargamento della relazione orientatore/orientato verso spazi di consapevolezza emotivo-corporea – senza per questo dover scivolare in una relazione di stampo clinico – sia utile al fine di mobilitare risorse verso la soluzione del compito orientativo.

Di fatto l’integrazione a percorsi consulenziali orientativi di modalità che si affianchino alla classica relazione professionale (spesso di matrice rogersiana o cognitivista) è una realtà già sperimentata.

Di certo la ricerca di un "eclettismo operativo" deve fondarsi su solide basi di competenza e, soprattutto, essere in sintonia con gli obiettivi ed i traguardi auspicati.

Il risultato atteso dai percorsi di orientamento (responsabilizzazione del soggetto nel compiere scelte consapevoli che siano in sintonia coi propri bisogni e le risorse disponibili) ha aspetti di sintonia col risultato atteso dal percorso psicodrammatico (aumento della capacità di fronteggiamento delle varie situazioni di vita attraverso una gestione più fluida del proprio potenziale di spontaneità e creatività nella relazione col mondo). La scelta però del come giungere al risultato atteso, e quindi di quali strumenti operativi avvalersi, dipende da vari fattori sia di tipo personale sia legati al contesto.

La scelta di un eventuale approccio psicodrammatico all’orientamento dovrà senz’altro fare i conti con i vincoli di tempo (attivare un processo che abbia in sé la possibilità di mettere in azione alcuni elementi significativi incontrati richiede senz’altro una disponibilità maggiore di tempo rispetto a ciò che si può prevedere in un processo di tipo dialogico), col tipo di bisogno orientativo, con le attitudini del soggetto del percorso (si potrebbe correre il rischio di concentrarsi in un lungo riscaldamento all’azione per poi accorgersi che questa – nel qui ed ora – non è in grado di aggiungere niente di più!) e con le competenze dell’operatore (competenza tecnico-metodologica ma anche di fronteggiamento del rischio e dell’incognito che il mettere in azione inevitabilmente porta con sé).

Valutato che esistano le premesse per attivare un percorso orientativo che si avvalga anche di strumenti psicodrammatici vediamo quali possono esserne alcuni esempi negli ambiti e nei contesti in cui questi potrebbero essere utilizzati.

1 - Percorsi individuali

All’interno di percorsi individuali si possono individuare varie aree di intervento possibili: la consulenza orientativa, il counseling orientativo e , per certi aspetti, l’accompagnamento all’inserimento lavorativo.

Nella consulenza orientativa l’obiettivo è centrato sull’elaborazione di strategie di fronteggiamento del compito orientativo. Proponendosi lo sviluppo nella persona di una maggior consapevolezza, il rinforzo di competenze ed abilità e l’articolazione non conflittuale di opportunità e vincoli l’operatore si attiva per

fare emergere le competenze che la persona può mettere in gioco per affrontare il suo problema orientativo. L’aiuto dell’operatore consiste nello stimolare una attivazione ed una organizzazione delle energie (cognitive, emotive, strategiche) in funzione di una presa in carico personale del superamento del compito orientativo. (Consolini, Pombeni, ibidem)

In questo contesto potrebbe risultare utile l’individuare i vari elementi che caratterizzano il panorama che si pone di fronte al soggetto (siano essi le varie possibilità di scelta, le proprie caratteristiche, i propri interessi, le proprie aspettative, gli altri importanti, i vincoli …) per poi intervistarli ponendo il soggetto in inversione di ruolo con ciascuno dei vari elementi coinvolti, oppure richiedergli – sempre nella parte dell’elemento - di mandare un messaggio alla persona stessa che sia significativo della relazione che intercorre tra loro. Dopo fasi come questa, di azione e di esplorazione, al soggetto sarà possibile integrare quanto emerso o agendo una relazione con qualcuno o tutti questi elementi, o riorganizzare il proprio campo cognitivo arricchendolo degli input di tipo emotivo o concettuale che questo tipo di compito porta con sé.

Nel counseling orientativo, in cui le risorse per affrontare il compito orientativo risultano più difficili da attivare ed il compito dell’operatore è di agire affinché i blocchi o le impasse vengano superate, l’utilizzo degli strumenti d’azione, con la loro capacità di mobilitazione di elementi non solo cognitivi ma anche corporei ed emotivi, possono risultare molto utili nell’aiutare a sciogliere nodi che hanno nella maggior parte dei casi un fondamento emotivo.

Il lavorare sugli elementi che sono in gioco nel proprio processo di progettualità che risulta bloccato può essere gestito dall’operatore attraverso la concretizzazione scenica ed il raggiungimento di una maggior consapevolezza delle forze in campo attraverso l’uso di tecniche di specchio, doppio e di inversione di ruolo attivate dall’operatore valutandone attentamente la profondità e la produttività.

Nell’accompagnamento all’inserimento lavorativo ritengo che potrebbe trovare uno spazio proficuo un lavoro di concretizzazione psicodrammatica sulle rappresentazioni, sulle aspettative e sui timori rispetto alla realtà, con la quale si entrerà poi in contatto, per coglierne le varie sfaccettature e prepararsi così all’impatto col nuovo.

2 - Percorsi di gruppo

Per quanto riguarda i percorsi orientativi di gruppo non è pensabile, visti gli obiettivi molto distinti, di applicare un setting psicodrammatico canonico.

L’approccio psicodrammatico in quanto attivante funzioni di decentramento percettivo e di relazioni teliche all’interno di un gruppo può comunque risultare molto stimolante in percorsi orientativi.

Se il percorso di gruppo si presenta come di lunga durata e le sue finalità sono anche di essere un momento di supporto per le persone si potrebbe pensare che alcune attività che stimolino le funzioni di doppio, specchio ed inversione di ruolo possano fornire un buon materiale di base (cognitivo emotivo e relazionale) per rendere più produttivo il lavoro di gruppo. La finalizzazione al compito orientativo risulterà dalle attività e dai processi attivati dall’operatore.

Anche in percorsi di breve durata vi può essere spazio per un utilizzo di strumenti psicodrammatici come, ad esempio, l’uso addestrativo del role-playing che può fungere da palestra in cui sperimentare, in un ambiente protetto, ruoli e componenti che fanno parte del mondo formativo/lavorativo. In questo senso non interessa tanto l’uso interpretativo che può essere fatto nelle fasi di rielaborazione dell’esperienza, quanto invece la possibilità di mettersi in gioco e di imparare da un tipo di esperienza che può essere meno ostica e dura di quella reale.

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* Carl Rogers "Cliented-centred therapy" Hougton Mifflin Company, Boston 1951 (tr.it. "La terapia centrata sul cliente" Martinelli, Firenze 1970)

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http://www.psicodramma.it/sito/informazione/saggi/5.pdf



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