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Transdisciplinare
La pratica autobiografica come cura di sé lungo il corso della vita.

Lingua: Italiana
Destinatari: Insegnanti
Tipologia: Materiale per autoaggiornamento

Abstract:  

La pratica autobiografica

come cura di sé lungo il corso della vita

di Bruno Schettini

 

"Ognuno di noi ha una storia del proprio vissuto, un racconto interiore, la cui continuità il cui senso è la nostra vita. Si potrebbe dire che ognuno di noi costruisce e vive un racconto, e che questo racconto è noi stessi, la nostra identità. Per essere noi stessi, dobbiamo avere noi stessi, possedere se necessario ripossedere, la storia del nostro vissuto. Dobbiamo ripetere noi stessi, nel senso etimologico del termine, rievocare il dramma interiore, il racconto di noi stessi. L'uomo ha bisogno di questo racconto, di un racconto interiore continuo, per conservare la sua identità, il suo sé". (O. Sacks, L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello, Milano, Adelphi, (tr.it.), 1986, pp.153-4.)

La pratica della scrittura della propria vita (autobiografia) e della narrazione orale di sé (autobiologia) - anche in contesti deprivati e del tutto o quasi illetterati - si sta affermando in molti luoghi educativi e trattamentali (scuole, carceri, comunità di recupero per tossicodipendenti, residenze per anziani, centri di accoglienza per immigrati, case famiglia, etc…), come proposta formativa non terapeutica e non direttiva finalizzata all'attivazione o ri-attivazione di percorsi di crescita individuali e di gruppo. Tale pratica tende a sollecitare nei soggetti il recupero di quelle "tracce di senso" esistenziali, spirituali, relazionali, cognitive, affettive presenti lungo il continuum esperienziale della personale storia di vita e, spesso, sommerse, opacizzate, alienate, rese inintelleggibili dalla tumultuosità e caoticità degli accadimenti, dalla superficialità e automaticità che accompagnano gli atti della vita quotidiana vissuti come disaggregati e apparentemente privi di significative connessioni, dalle molteplici interferenze che accrescono il disagio, il disorientamento e costringono reattivamente a ritratteggiare, non senza sofferenza e frustrazioni, gli itinerari e gli scenari della vita. In tale contesto è vero che raccontiamo di noi meno di quanto si facesse una volta e che, nelle conversazioni che punteggiano la nostra vita quotidiana, è sempre più difficile che si dispieghi un'arte del narrare raffinata.

L'uso dell'autobiografica si viene sempre più affacciando nelle pratiche pedagogiche e trattamentali perché essa si offre da sempre, in quanto le è congeniale, con la caratteristica della sfida educativa; tende a incoraggiare e a sostenere, cioè, il sentimento di autostima che è alla base della capacità proattiva di ridisegnare la personale storia di vita sia in termini di ri-comprensione di quella precedente, sia in termini di permanente riformulazione progettuale... E la sfida educativa consiste nell'offerta di un break evolutivo confligente con la stagnazione omeostatica di una vita vissuta tutta in orizzontale o, al più, considerata come contenitore di cose delle quali è sempre più difficile, se non addirittura impossibile, scoprire - ove mai ci fosse - il "valore aggiunto".

Il principio epistemologico che è alla base di tale orientamento sta nel convincimento che ogni uomo è un soggetto epistemico, instancabile elaboratore di mappe interpretative della realtà che lo circonda, all'interno della quale a sua volta si muove articolando percorsi, intrecciando storie, operando scelte, costruendo e ri-costruendo contesti di vita, sviluppando identità narrative relazionali, interpretando - come attore di sé - la fitta tramatura della propria vita sulla scena del mondo... E come gli scenari della vita sono molti, così Ognuno di noi è più di uno, è molti, è una prolissità di se stesso.

La pratica autobiografica, come ogni altra tecnologia della cura di sé, assume l'idea guida che ogni uomo và incoraggiato e sostenuto nello svelamento di quella storia personale faticosamente costruita all'interno delle relazioni che ha organizzato e costantemente ri-organizza nell'incontro con gli altri e con il mondo circostante. Ciò sposta tale pratica da una dimensione solo apparentemente autoreferenziale ad una evidentemente eteroreferenziale, all'interno della quale la preoccupazione pedagogica dell'educatore sta tutta nell'invito rivolto a ciascun uomo a fare della vita una ricerca permanente di senso e non nella proposta di modulare nel tempo un percorso già dato ed elaborato altrove.

Questa epistemologia guarda all'uomo nella sua capacità di essere, cioè di divenire, di volta in volta e in ogni luogo, soggetto autenticamente storico. A tale capacità ogni individuo perviene impegnando propri schemi percettivi e script mentali, ai quali ci si può accostare, inferenzialmente, grazie a quelle pratiche sociali e culturali condivise e ricorrenti all'interno dei contesti di vita. La ricostruzione di senso, in termini autobiografici, impegna la memoria non come "luogo" dove si celano i reperti archeologici di un'esistenza ormai consumata e da studiare e inventariare, bensì come "luogo" metaforico dove un io tessitore e mediatore cognitivo ed affettivo lavora instancabilmente come formatore di se stesso - navigatore infaticabile fra quegli schemi e quelle pratiche - nello sforzo costante di attribuire senso e orientamento al corso della vita.

La modalità "narrativa" dell'io pensante consente di leggere l'esperienza in prima istanza come fatto socio-culturale e relazionale contestualmente determinato, organizzato attraverso una ricerca costante di consequenzialità e di intenzionalità dentro quei luoghi all'interno dei quali i fatti narrati hanno preso forma. Tuttavia, la narrazione autobiografica si distingue da quella pratica narrativa che, giocandosi esclusivamente nella dimensione sociale e culturale, finisce con l'esaurire la propria carica progettuale e con il lasciare inalterato il piano delle azioni future. A fronte di ciò, l'autobiografia costituisce, in particolare e rispetto alla scrittura privata del diario, un progetto di ri-significazione retrospettiva del proprio passato più radicale e di più ampio respiro. In quanto, poi, si rivolge esplicitamente a uno o a più destinatari, essa assume anche specifiche valenze riparative, istituzionalizzando, in un certo senso, quelle dinamiche transferali che sono necessarie a qualificarla come atto di cura di sé.

Essa certamente può essere investigata come un reperto etnologico, un fenomeno antropologico culturale e dinamico, ma la "scrittura/narrazione di sé" è anche un compito pedagogico - prima ancora che dinamico - e come tale non si lascia ingabbiare dalla riduzione interpretativa di tipo causal-lineare o da un esasperato modello intrapsichico di riconduzione forzata del presente ad un passato del quale è sempre più difficile reperire la memoria fondativa; l'autobiografia si apre, invece, alla prospettiva euristico-ermeneutica che è recupero della complessa problematicità esistenziale presente nella prospettiva della molteplicità delle azioni divenienti; è, in definitiva, produttrice di senso perché è, di volta in volta, una memoria ri-fondativa la cui coerenza è di tipo metabletico e non riproduttivo. Noi ci diamo una nascita che è determinata dall'atto di procreazione dei nostri genitori […] Ma poi, c'è una nuova nascita che non è quella recepita dall'esterno e che è precisamente la nascita che noi ci diamo da noi stessi raccontando la nostra storia, ridefinendola con la nostra scrittura che stabilisce il nostro stile secondo il quale noi ora esigiamo di essere compresi dagli altri.

In particolare, l'autobiografia è uno sforzo di attenzione/cura di sé che mette in rete, che collega domini differenti della vita e fornisce un repertorio di modi di essere di sé nel tempo e nello spazio ed un senso del proprio posto nel mondo (i vari mondi che attraversiamo materialmente e fantasmaticamente), secondo una prospettiva di continua costruzione e ri-costruzione, per la quale cosa a ciascuno appare evidente (insight) che tutto ciò che avviene e che è avvenuto è frutto di costruzione individuale e relazionale.

Compito dell'educatore autobiografo è quello di favorire lo sviluppo di uno spazio riflessivo e conversazionale condiviso sì da promuovere forme di esperienza individuali e collettive autenticamente vissute e non solamente agite. Questo punto rappresenta un elemento di forte differenziazione fra la formazione autobiografica e quella di modelli analoghi che pure impegnano la narrazione, ma la cui interpretazione fa riferimento a saperi e linguaggi altri, dei quali il titolare è l'esperto e non il narratore. L'educatore autobiografo, invece, ricopre la posizione di non expertise (= di colui che non sa), cioè di colui che cerca di esplicitare un ascolto continuamente corretto dall'autoreferenzialità di chi narra, senza imporre un codice interpretativo a priori. Si tratta, per riprendere un concetto già espresso e caro alla ricerca antropologica ed etnologica, del "primato epistemico" del testimone-narratore sul ricercatore/professionista.

Anche da una prospettiva educativa, il soggetto è l'unico che può ritrovare, nel personale processo di trasformazione, le coordinate che hanno dettato il cambiamento e attribuirne anche il senso. In ciò è ravvisabile la dimensione formativa non direttiva dell'autobiografia che consiste nella possibilità che attraverso di essa ciascuno possa scoprire la personale chance evolutiva, abilitandosi a vivere il tempo futuro, consapevole che ogni abilitazione non è mai l'ultima e che ogni abilità maturata nasconde sempre un'altra faccia di sé che è quella del non-ancora-realizzato, dell'immaturità. Per questo, il testo autobiografico va inteso soprattutto come strumento per l'elaborazione-costruzione - nel tempo - dell'immagine identitaria. E', dunque, da un lato, organizzazione e formalizzazione dell'identità vissuta, dall'altro base di raccolta e organizzazione di ingredienti costitutivi dell'immagine di sé, capaci di essere strumenti della negoziazione intersoggettiva e della presentazione condivisibile di ciò che ciascuno cerca di essere per sé e per gli altri. In questo senso l'autobiografia non è un puro "ventriloquismo", vagheggiamento erratico, pensiero solitario, racconto solipsistico senza radici e senza interlocutori, ma è, nello stesso tempo, presentazione di sé e ricerca di sé in uno spazio/tempo relazionale.

Quando tutto ciò si traduce in scoperta e stile di vita, in risorsa su cui investire, sorge allora nell'individuo l'esigenza del ricordare, del raccontare, ri-costruire, re-interpretare, scrivere e ri-scrivere la propria vita che è al tempo stesso ad-ventura cognitiva ed emozionale, ma è anche traduzione interpretativa, sforzo per la cura di sé, incessante principio euristico, sintassi della propria vita: identità in formazione. Per questo l'autobiografia è un viaggio formativo e non un chiudere i conti. Non decreta, a posteriori, quali sono stati i nostri debiti (onorati o meno) e quali i nostri crediti (D. Demetrio), soprattutto perché questa pratica impegna a ridefinire, non a chiudere, a mettere tra loro in relazione esperienze e conoscenze, a problematizzare, a cominciare daccapo, a fare il self-accounting (J. Bruner), intendendo con ciò l'impegno a elaborare una sorta di permanente commento alle nostre esperienze (Z. Bauman), sperimentando cambiamenti, fratture e discontinuità per cui dobbiamo comporre e ricomporre le nostre vite (M.C. Bateson): produzione pratica che cerca la propria teorizzazione (G. Pineau).

In questa prospettiva, la scrittura di sé, costruita attraverso il rimpasto di "frammenti" relativi a diversi livelli autobiografici, è un invito a ri-costruire quelle traiettorie apprenditive che, meglio di ogni altra strategia educativa, fanno scoprire le persone adulte - alla moviola di uno spazio/tempo per sé - come attori e registi del loro stesso apprendere, sottraendole così allo smarrimento che deriva inevitabilmente dalla distruzione dell'esperienza composita della vita. Ed è proprio per questo motivo che alcuni professionisti utilizzano la tecnologia autobiografica anche in pratiche psicoterapeutiche con soggetti la cui debolezza psichica non consente loro di fissare entro precise e consapevoli coordinate spazio/temporali e relazionali le loro condotte di vita privandole, in tal modo, di ogni significatività e continuità esperenziale e, quindi, di una storia individuale e sociale dotata di senso per se stessi e per gli altri.

Bibliografia

Bateson M.C., (1989), Comporre una vita, Milano, Feltrinelli, (tr.it.), 1992;

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Id., (1986), La mente a più dimensioni, Laterza, Roma-Bari, (tr.it.),1988;

Brooks P., (1984), Trame. Intenzionalità e progetto nel discorso narrativo, Torino, Einaudi, (tr.it.), 1995;

Canevaro A., Chiantera A., Cocever E., Perticari P., (a cura di), Scrivere di educazione, Roma, Carocci, 2000;

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Fabbri D., Formenti L., Carte d'identità. Verso una psicologia culturale dell'individuo, Milano, Franco Angeli, 1991;

Formenti L., La formazione autobiografica, Milano, Guerini e Associati, 1998;

Oliverio A., L'arte di ricordare, Milano, Rizzoli, 1998;

Salomone I., Il setting pedagogico. Vincoli epossibilità per l'interazione educativa, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1997;

Schettini B., Il lavoro autobiografico come ricerca e formazione in età adulta, in Sarracino V., Strollo M.R., (a cura di), Ripensare la formazione, Napoli, Liguori, 2000, pp. 183-219.

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http://www.oasifirenze.it/SchettiniT.html



http://www.oasifirenze.it/



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