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DOSSIER - LA DISPERSIONE SCOLASTICA -
Le denuncia dell'Eurispes. Le cause della dispersione. Il caso dell'hinterland milanese. Il caso di Napoli. Il caso di Cagliari. Il caso di Palermo. Il caso di Belluno. Proposte e suggerimenti. Considerazioni finali. Le storie dei ragazzi. Il progetto Chance ai quartieri spagnoli di Napoli





Lingua: Italiana
Destinatari: Insegnanti
Tipologia: Materiale per autoaggiornamento

Abstract:  DISPERSIONE SCOLASTICA

A Napoli, un ragazzino su cinque non va a scuola. Degli 85 mila ragazzi tra i 7 e i 13 anni della provincia di Napoli, 17mila infatti non sono mai entrati in una classe. La Commissione speciale per la vigilanza e la difesa contro la camorra e la criminalità rivela così una situazione allarmante: esiste nella città partenopea un esercito di bambini fantasma, invisibili alle scuole e alle statistiche che crescono nel disinteresse generale e che spesso si riversano nei fenomeni di devianza e di criminalità.
Ma nel resto d'Italia, com'è la situazione?
A rispondere è l'Indagine sulla dispersione scolastica realizzata dal Comitato di indagine sulla dispersione scolastica della VII Commissione della Camera dei deputati. Relativamente all'anno scolastico 2000-01, la dispersione scolastica è un fenomeno in lenta discesa: nelle scuole elementari sembra essersi attestato su livelli "fisiologici", mentre è ancora significativo nelle scuole medie.
Nelle scuole secondarie superiori i valori assumono particolare rilevanza solo negli istituti professionali.

Il dossier che segue presenta una sintesi di questa indagine; vengono presentati al lettore le informazioni e i dati statistici, un'analisi sociale del fenomeno nonché alcune proposte di intervento legislativo. Il fenomeno della dispersione viene poi "quantificato" dai dati del rapporto Eurispes/Liberal sulla scuola.
Il dossier continua con due interessanti approfondimenti:
• da Palermo a Torino, le storie dei piccoli evasori della scuola;
il progetto Chance ai quartieri spagnoli di Napoli, che combatte l'abbandono scolastico e il disagio sociale che spesso lo determina.


Le denuncia dell'Eurispes

Le cause della dispersione

Il caso dell'hinterland milanese

Il caso di Napoli

Il caso di Cagliari

Il caso di Palermo

Il caso di Belluno

Proposte e suggerimenti

Considerazioni finali

Le storie dei ragazzi

Il progetto Chance ai quartieri spagnoli di Napoli



La denuncia dell'Eurispes

Professori apprezzati dai genitori ma mal pagati, un elevato numero di abbandoni scolastici, studenti che non hanno mai sentito parlare di gulag o foibe e per molti dei quali la storia si ferma alla Rivoluzione francese.
E' questa l'immagine della scuola italiana che esce dall'ultimo rapporto dell'Eurispes, redatto in collaborazione con Liberal.
Un quadro sconsolante dal quale emerge propotente una caratteristica tutta italiana, l'abbandono scolastico. Gli studenti sembrano passare indenni tra gli anni delle elementari e delle medie. Ma crollano quando arrivano alle scuole superiori e all'università.
Una vera e propria fuga dalla scuola che colpisce maggiormente i maschi rispetto alle femmine, gli studenti degli istituti tecnici rispetto ai liceali e che si manifesta soprattutto al Sud con in testa la Calabria. Di tutti i mali della scuola italiana è questo il peggiore, secondo l'Eurispes, un male che caratterizza fortemente la realtà italiana rispetto a quella di altri paesi industrializzati tanto che l'Eurispes lo ha definito "una prerogativa della situazione italiana".
Ogni anno, ha calcolato l'Eurispes, 240 mila ragazzi abbandonano i banchi scolastici. Escono dalla scuola senza alcuna valutazione. Semplicemente scelgono un altro percorso di vita. Una scelta che i ragazzi compiono di solito tra i 15 e i 18 anni. Nelle scuole superiori la dispersione scolastica raggiunge il 4,6%.
La situazione risulta più grave negli istituti professionali dove il tasso di dispersione raggiunge l'8,9%, seguiti dagli istituti d'arte, con 6,5%. Gli abbandoni calano invece nei licei scientifici (2,1%), seguiti dai licei classici, 2,3% e dagli istituti magistrali, 3,2%. Fermo l'abbandono scolastico nelle scuole elementari (0,08%), mentre risulta cresciuto nelle scuole medie inferiori 0,33%.
A lasciare la scuola sono soprattutto i maschi. Le femmine sono più brave: frequentano regolarmente, ottengono votazioni più alte e in percentuale ottengono più promozioni agli agli scrutini.
A tentare di trattenerli a scuola c'è un esercito di professori mal pagati. Gli stipendi dei docenti, sottolinea il Rapporto dell'Eurispes, hanno subìto negli ultimi anni un calo generalizzato, per tornare dopo il picco di aumenti del 2001, quasi ai livelli di dieci anni fa. Colpa dell'inflazione che ha eroso il potere d'acquisto delle buste paga, riportando i salari ai livelli reali del 1993.
Il rapporto con l'Europa è perdente: Germania e Paesi Bassi offrono compensi elevati agli insegnanti che hanno meno di 15 anni di attività, pur non spendendo cifre considerevoli per l'istruzione. Solo Grecia e Finlandia pagano poco gli insegnanti. Ma qual è la scuola che vorrebbero gli studenti italiani?
E' questo l'interrogativo di base di un'altra delle sezioni in cui è articolato il rapporto Eurispes-Liberal, soprattutto in ordine al rapporto che i giovani hanno con il passato, ovvero cultura, valori e storia.
Il 33,2% degli studenti vorrebbe veder più tempo dedicato alle materie umanistiche e letterarie, il 27,1 a quelle tecnico-professionali e il 22,9% a quelle a contenuto scientifico.
Tutti vorrebbero comunque un maggior numero di ore da dedicare allo studio dell'inglese. E i libri scolastici? Un terzo degli intervistati ha espresso pareri negativi, oscillando da un 25,3% per il quale è mediocre a un 9,9% secondo il quale è insufficiente.
La ricetta dell'Eurispes per migliorare la scuola italiana parte dal corpo docente. "Restituire -dice il Rapporto - alla funzione docente il ruolo e il prestigio che ha sempre avuto in tutte le società tecnologicamente ed economicamente più avanzate".

Tratto da: La Repubblica, 12 maggio 2003


Le cause della dispersione

La ricerca sulla dispersione scolastica ha consegnato al pubblico più attento una copiosa letteratura sul problema: trend storici, analisi delle cause, correlazioni statistiche, ipotesi interpretative teoriche più generali dei rapporti tra scuola e società, tra modelli di socializzazione o apprendimento e culture dominanti, tra disuguaglianze degli esiti scolastici e forme della stratificazione sociale. […]
La variabile di fondo, quella che esercita una maggiore influenza sui fenomeni di cui ci stiamo occupando, è naturalmente quella che presenta una più spiccata dimensione "macro", ossia il grado dello sviluppo socio-economico delle aree interessate.
Le possibilità di reddito, la disponibilità di infrastrutture (trasporti, biblioteche, comunicazioni), l'assenza di impellenze o bisogni economici, sono, insieme con altri strettamente correlati, i fattori che discriminano in modo più immediato.
Anche le aree sviluppate presentano in realtà le loro sacche di emarginazione e di povertà. Nel corso di un'audizione è stato anzi autorevolmente ricordato come la linea di questa discriminazione non corra più automaticamente e linearmente - ad esempio - tra le regioni del nord e quelle del sud; e come in forma più tortuosa e complicata corra invece tra le varie aree di una regione, tra i territori delle metropoli.
Tanto che le grandi metropoli del nord, pur inserite in contesti socio-economici più benestanti, presentano un loro rilevante potenziale di dispersione.
La combinazione sottosviluppo (o povertà) + degrado ambientale urbano (metropolitano) sembra essere in definitiva quella che in assoluto produce la maggiore spinta ad anticipare l'uscita dal sistema scolastico-formativo. Dovendo indicare il punto più debole del sistema, lo si può quindi cogliere nei quartieri emarginati e poveri delle metropoli del meridione.
I dati di Napoli e Palermo, ma anche di Catania e Bari, testimoniano che è lì che la dispersione presenta le sue punte più alte e più difficilmente domabili. Sono queste le situazioni in cui la dispersione si presenta nella sua forma più grave di evasione di fatto, ossia come inadempienza dell'obbligo scolastico. Rilevante è però anche, in questa direzione, il peso esercitato dalle culture familiari.
Queste ultime continuerebbero, nonostante tutte le politiche sociali realizzate, a operare da forte discriminante tra gli alunni, indirizzandone modelli di socializzazione e definendone le capacità effettive di apprendimento. Anzi, ha suggerito il ministro, vi è la possibilità concreta che, davanti ai mutamenti profondi indotti dalla diffusione delle nuove tecnologie, i patrimoni culturali a disposizione dei singoli bambini e ragazzi contribuiranno ad approfondire le disuguaglianze.
Nella stessa direzione vanno i dati richiamati dal rappresentante dell'Isfol, che suggeriscono, ai fini della dispersione, un'importanza del titolo di studio dei genitori maggiore del reddito familiare.
Le culture familiari valgono peraltro anche per meglio comprendere forme nuove di dispersione, ossia quelle registrate nel nord-est di fronte alla vitalità dei locali sistemi e subsistemi economico-produttivi.
Qui la dispersione dimostra di potersi radicare in un contesto ad alto sviluppo economico. Va però notato che, diversamente che nelle metropoli meridionali, nel caso del nord-est essa non si configura come evasione, la quale ultima è anzi quasi inesistente.
Avviene invece nelle scuole superiori, esprimendo quindi una tipologia di dispersione da crescita economica. E tuttavia vi è una particolarità di questo contesto che va sottolineata.
Ed è la natura attuale e recente di questa crescita, la quale si trascrive in una sorta di incongruenza di status collettiva: ossia in una distanza tra il livello del reddito mediamente acquisito sull'onda di una crescita poderosa e il livello della cultura posseduto mediamente dalle generazioni adulte.
Le aree alle quali ci riferiamo sono state totalmente all'interno dei processi di trasformazione del Paese (da cui un'evasione tendente a zero); ma hanno elaborato una cultura del lavoro - legata anche alla dimensione familiare e che è fra l'altro all'origine dei successi economici ottenuti - che non di rado respinge l'idea dell'utilità del titolo di studio superiore per affermarsi nella vita lavorativa o la sua irrilevanza rispetto ai propri progetti occupazionali.
Sicché non si è diffuso, come nelle aree di più lungo sviluppo, il convincimento che l'alto livello della formazione sia la prima risorsa, individuale e collettiva, dell'economia moderna.
È stato dunque riferito in audizione, ma è anche stato osservato direttamente sul campo, come le culture familiari informate a questo atteggiamento pesino nell'incoraggiare un fenomeno che non è certo esclusivo di queste aree ma che in queste aree si esprime in forme e condizioni sicuramente atipiche e che desta qualche preoccupata riflessione. Diverso è in proposito il caso del Trentino, dove l'uscita anticipata dal sistema scolastico pare correlabile anche con il funzionamento di un efficiente (e credibile) canale di formazione professionale regionale. Accanto a questi grandi fattori esterni al sistema scolastico ve ne sono altri, spesso a loro collegati. Si pensi al ruolo giocato dalla presenza e dalla qualità delle infrastrutture.
In particolare il problema, con riferimento alle difficoltà incontrate dai ragazzi pendolari, è stato sollevato in Sardegna, dove è visibilmente correlato con le condizioni di precarietà economica delle province interessate. Ma è stato sollevato anche in una provincia come Belluno, che ricade appunto nel paradigma del nord-est ma che presenta anche una zona montuosa caratterizzata da una pluralità di piccoli insediamenti dispersi.
Vi sono poi i problemi legati alle biografie degli alunni, specie a quelle familiari, su cui però continuano a pesare in misura decisiva i fattori socio-economici-culturali già ricordati. Si pensi ai casi (citati anche in provincia di Milano) di bambini o ragazzi le cui famiglie siano emigrate o abbiano tentato per qualche mese l'emigrazione. Si pensi anche alle situazioni di divisione familiare, sempre e comunque più difficili e penose negli ambienti più poveri (è stato citato a Napoli il caso di una madre impossibilitata a uscire di casa per ragioni economiche, con tutto il carico di conflittualità domestica conseguente).
E vi sono infine i grandi orientamenti culturali dominanti, i quali assegnano valori mutevoli ai diversi obiettivi che un ragazzo può darsi, e che interagiscono con le culture familiari: in una fase storica sancendo il valore dell'istruzione o della lotta all'analfabetismo, in un'altra quello del denaro.
Ed è sicuro (come ha osservato una esponente sindacale) che in una fase storica caratterizzata dal manifestarsi delle cosiddette forme di "povertà immateriale", lo stimolo a innalzare i livelli di educazione e istruzione si scontri con forti condizionamenti negativi.
L'istituzione scolastica si trova insomma situata in un crocevia mobile, ed è costretta a fronteggiare spinte e dinamiche, talora ostili, che hanno in gran parte radici al suo esterno, nella stessa società che essa è deputata a educare e istruire. Rigettare solo verso l'esterno le responsabilità della dispersione sarebbe tuttavia assolutamente improprio.
La stessa indagine conoscitiva ha preso d'altronde le mosse da un convincimento contrario. Vi sono cioè disfunzioni, vischiosità e fattori ostili che operano all'interno del sistema scolastico-formativo e che in misura relativamente autonoma producono le condizioni della dispersione.
In proposito appare anzi opportuno riprendere in questa sede una considerazione proposta dal professor Giuseppe Magno, responsabile dell'Ufficio centrale per la giustizia minorile del Ministero di Grazia e giustizia. Riflettendo sulla devianza giovanile e sui suoi collegamenti con l'area della dispersione, il professor Magno ha citato i risultati di estremo interesse di una ricerca condotta su un campione di minori sottoposti a procedimento penale nella Puglia meridionale.
E ha spiegato che all'origine della devianza non vi è mai una sola causa, mentre invece occorre, perché essa si manifesti, una combinazione di cause (statisticamente: una media di 1,95 cause). Ebbene, sembra di potere sostenere, in base a quanto appreso nell'ambito dell'indagine, che questo principio valga anche per spiegare la dispersione presa a sé stante. Ed è in questa luce che acquistano un'importanza tanto maggiore le cause endogene, sulle quali occorre lavorare, dunque, proprio per ridurre al minimo - nelle situazioni date - il rischio che scatti la combinazione decisiva.
Ci si è soffermati, nel corso delle audizioni, sul rapporto scuola-famiglia; sulla necessità che l'istituzione sappia anche acquisire una mentalità che potremmo definire "pro-attiva" verso le famiglie più lontane ed estranee, per creare già nella famiglia un clima più favorevole alla frequenza scolastica dell'alunno.
Si è fatto riferimento alla qualità dei percorsi didattici, troppo rigidi rispetto agli interessi e agli stimoli più spontanei dei bambini e dei ragazzi; alla necessità di aprirli di più anche alle realizzazioni pratiche (il "saper fare") e a metodologie di apprendimento cooperativo; di arricchirli in strumentazioni tecnologiche o di potenziarli in vista dei problemi di comunicazione linguistica prodotti dalla nuova realtà degli scolari immigrati.
Si è sottolineato, e numerose volte, il problema della complessiva organizzazione e articolazione degli studi superiori e della opportunità di rafforzare la famosa "seconda gamba" della formazione, ossia la formazione professionale.
In questo quadro è stato osservato che un'elevata affidabilità della formazione professionale ridurrebbe le cifre generali della dispersione, se si intende con questo termine la fuoriuscita dal complessivo sistema formativo. E in proposito è stato pure fatto notare come - oggi - la stessa formazione professionale, specie (e in apparenza paradossalmente) nei suoi percorsi più brevi, presenti tassi alti e patologici di abbandono. Si è insistito unanimemente (e se ne è trovata conferma chiarissima nel corso delle missioni) sull'importanza di offrire agli alunni un quadro di stabilità e di continuità.
Il che ha riflessi sia sulla struttura dei cicli formativi (imputata: soprattutto la discontinuità tra scuola elementare e scuola media) sia sui criteri di reclutamento, mobilità e assegnazione del personale docente, troppo instabile nel suo rapporto con la popolazione scolastica. L'indagine ha riscontrato anche un punto di discussione forse inaspettato allorché si è misurata con la rilevanza dei modelli di leadership offerti dall'istituzione scolastica
. È stato cioè sollevato il problema delle possibili implicazioni della femminilizzazione del corpo docente. La questione - non pacifica ma stimolante -può essere posta così: è possibile che la maggiore dispersione maschile possa derivare anche dal fatto che i modelli di leadership più attrattivi per gli alunni "marginali" sono - per ragioni culturali e psicologiche - i modelli maschili, ossia quelli meno facilmente reperibili all'interno dell'istituzione scuola?
Qualche riflessione in più è stata resa possibile soprattutto dalla visita napoletana. Il ruolo dell'insegnante di educazione fisica nella creazione dello spirito di gruppo in grado di alzare (attraverso la competizione sportiva) l'identificazione con la scuola, la funzione supplente nei confronti della (inesistente) figura paterna svolta in alcuni casi dall'insegnante maschio, hanno indotto a tornare con curiosità sul problema, in genere non ricompreso negli schemi delle concause endogene. Altri elementi di riflessione sono giunti dai riferimenti alle situazioni di "debolezza" interna in cui possono venirsi a trovare gli alunni. Che l'alunno più debole socialmente e culturalmente sia il più esposto alle spinte dispersive, questo è consolidato nelle analisi condotte nella più tipica letteratura.
La seconda specificità, assolutamente nuova e carica di implicazioni, è quella degli alunni più deboli sotto il profilo della capacità di "auto-difesa" di fronte a quella che può essere chiamata l'intimidazione ambientale.
Ci si riferisce a contesti nei quali si verifichi con continuità incontrastata la presenza di gruppi, di minori o no, interni o esterni alla scuola, dediti ad attività violente e dotati di un elevato potenziale di intimidazione (rapportato ovviamente all'età degli alunni).
Qui si segnala il rischio che i bambini e ragazzi più timidi, e che per ragioni di varia natura possono meno contare sulla protezione e sull'aiuto dei propri familiari, siano costretti a vivere la scuola come un luogo "a rischio", dove si presenti alla fine la scelta tra la condivisione dei valori "di banda" e il ridimensionamento passivo della partecipazione o della motivazione scolastica.
Il fenomeno del bullismo o del teppismo scolastico costituisce insomma un nuovo avversario, che si situa ai confini dell'istituzione. Non il "deviante" classico che esce gradualmente dalla scuola ma, in alternativa o insieme con lui, la vittima del deviante. Sul bullismo si trovano cenni, arricchiti di riferimenti internazionali, nella già citata audizione del professor Magno, ma dei suoi esiti imprevisti si trovano tracce concrete negli episodi riportati nelle cronache quotidiane, da Milano come da Napoli, da Bari come da Genova.
È dunque con l'occhio e l'attenzione rivolti a questo vasto, eterogeneo insieme di possibili cause di dispersione, che l'indagine parlamentare si è arricchita del confronto con le esperienze concrete di cinque province considerate significative.
Per cercare di cogliere - di tali cause - la rilevanza empirica, le molteplici combinazioni, la differente dislocazione sul territorio nazionale; e anche e soprattutto per verificare quali siano le strategie utili e realisticamente possibili per rimuoverne o ridurne gli effetti.

Tratto da: Indagine sulla dispersione scolastica 2000-01,
realizzata dal Comitato di indagine sulla dispersione scolastica
della VII Commissione della Camera dei deputati.

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Il caso dell'hinterland milanese

Quali sono le condizioni che agevolano l'elaborazione e la realizzazione di efficaci strategie contro la dispersione scolastica?
Quali sono, cioè, i fattori di successo ?
E quali i vincoli, i limiti, maggiormente ostativi?
Si cerca di rispondere a queste domande attraverso l'osservazione di alcuni "casi" distribuiti sul territorio nazionale. I casi analizzati, necessariamente limitati per ragioni di tempo e di organizzazione dei lavori, sono stati cinque: l'area sud-est della provincia di Milano, Napoli, Cagliari, Palermo, Belluno.[…]

L'area sud-est di Milano è area di immigrazione massiccia e relativamente recente, in cui è possibile cogliere, attraverso più indicatori, una stratificazione delle ondate migratorie susseguitesi dagli anni sessanta a oggi. Il processo di urbanizzazione del territorio è avanzato soprattutto negli ultimi tre decenni, inglobando migliaia di nuove famiglie giovani provenienti dalle regioni meridionali e, negli ultimi anni, anche una consistente immigrazione straniera.
La vicinanza alla metropoli, la morfologia disordinata degli insediamenti abitativi - che porta i segni della velocità delle trasformazioni avvenute - la mescolanza dei retroterra sociali e culturali, la presenza di forme di marginalità e di devianza, tutto ciò contribuisce a creare per le istituzioni scolastiche primarie una situazione di "sofferenza".
I comuni osservati sono quelli di Pieve Emanuele e di Rozzano.
La scuola elementare di Pieve Emanuele ha spiegato fra l'altro immediatamente, in una manciata di minuti, alcune ragioni aggiuntive di tali sofferenze. Dall'esterno l'edificio funereo, tetro, ha indicato il tipo di ambiente che i piccoli alunni devono abituarsi a identificare con l'esperienza scolastica già dal suo inizio. All'interno la notizia che la scuola è senza uno stabile direttore da venticinque anni, a causa di un turn-over senza fine di reggenti pronti a partire a fine anno, ha subito proiettato dal suo canto scenari di incertezza, di continuità impossibile, di assenza di punti di riferimento compatibili con il tempo di un progetto.
Anche se la direttrice ha raccontato della recente presenza di topi in mensa e perfino in direzione, il tessuto civile circostante è apparso vitale e partecipato. Lo dimostra il fatto che gli alunni riconoscevano il sindaco e il vicesindaco in visita, salutandoli spesso con proprietà.
Viene data importanza in questo caso alla formazione degli insegnanti (si accede ad appositi finanziamenti) e allo sviluppo di attività che accompagnino l'apprendimento delle materie con il rafforzamento delle relazioni sociali. Si tratta di un obiettivo che viene reso ancor più necessario in un luogo dove può capitare che figli di detenuti si trovino in classe con figli di guardie carcerarie, essendo il carcere milanese di Opera (con la sua folla di addetti e operatori) a poca distanza dal comune di Pieve.
Laboratorio artigianale, attività teatrali (sulla rivoluzione francese), vengono considerati modi di costruzione di identità, di senso del lavoro di gruppo e di ampliamento del linguaggio. Stessa strategia viene impiegata nella scuola media, dove decine di alunni vengono fatti lavorare anche alla redazione di un giornalino ("Il Birbantino"), pur se viene fatto ironicamente notare che a volte, nel fiorire di queste attività, resta sempre qualcuno a cui bisognerebbe insegnare anzitutto a fare la propria firma.
Alle elementari di Rozzano il primo dei problemi sollevati ha di nuovo riguardato l'organizzazione del servizio scolastico: nel caso in questione ben quindici insegnanti sono risultati mancanti all'inizio dell'anno. Si tratta di una manchevolezza che risulta particolarmente grave in un ambiente dove "il primo obiettivo nei primi tre mesi d'inferno è stato garantire la disciplina".
La precarietà estrema del posto dei supplenti non li motiva certo a confrontarsi in una logica impegnativa con i problemi socio-culturali che gravano sugli alunni, alcuni dei quali subiscono fra l'altro il peso di situazioni familiari faticose: non solo i guai giudiziari (i figli dei detenuti si considerano "cugini"), ma anche la necessità di accudire fratellini più piccoli, il pendolarismo di entrambi i genitori ecc. Tra l'altro, data appunto la vicinanza di Milano, i genitori più motivati e socialmente più evoluti tendono a valutare negativamente il clima scolastico e sono tentati di trasferire i figli in altre scuole, con il rischio di imprimere per sempre lo stigma della ghettizzazione sulla scuola stessa. Quest'ultima, pur nelle condizioni descritte, ha approntato un programma di intervento mirante (con successo) a costruire anzitutto un più forte senso di comunità; obiettivo tanto più importante quanto più l'unico luogo di auto-identificazione ideale e sociale è stata a lungo per molte famiglie la "casa propria" al sud.
Ed è stato proprio per raggiungere questo obiettivo che un gruppo di docenti ha fatto la scelta di rimanere a Rozzano e garantire la necessaria stabilità. Sempre a Rozzano si trova la Scuola media "Luini", impegnata in un significativo "progetto autonomia", scelto tra i cento progetti più interessanti a livello nazionale da Legambiente. Nell'ambito di questo progetto si è affermato l'orientamento verso l'individualizzazione dell'offerta formativa come strada utile a contenere le forme di disaffezione e insuccesso.
Orientamento che deve misurarsi, in realtà, con un diffuso atteggiamento di delega da parte delle famiglie, riflesso anche nel modo "strumentale" con cui viene spesso vissuto il tempo prolungato.
Per consolidare il rapporto tra l'alunno, i suoi interessi e la scuola, sono stati varati anche i progetti "piscina" e "teatro". Negli ultimi quattro anni la scuola, per effetto di questi interventi e di questa nuova consapevolezza, ha visto scendere il tasso di dispersione e ha significativamente circoscritto gli episodi di vandalismo, letti come manifestazioni di ribellione fisica verso la scuola e verso le sue attrezzature.
I problemi delle scuole dell'obbligo in tutta l'area considerata sono peraltro destinati ad accentuarsi nei prossimi anni a causa dell'accesso delle nuove generazioni di immigrati. Al di là del caso dei bambini nomadi, per i quali sono previste particolari modalità di integrazione, molta attenzione viene riservata alle forme in cui potranno interagire nella scuola futura bambini di etnie diverse. In tal senso è stata di grande utilità la visita alla scuola materna "Gulliver", che sta sviluppando un progetto multiculturale.
Dalla didattica più classica (un cartellone su "come parlano gli animali" preparato in tutte le lingue di origine dei piccoli alunni) alle forme di intrattenimento (una tombola interculturale), i bambini vengono integrati in un ambiente accogliente e ricco di relazioni, capace di affrontare i problemi posti dalle stesse specificità culturali delle singole etnie.
Problemi che nascono anche dagli aspetti meno preventivati: ad esempio il rapporto corporeo con i coreani, l'iper-deferenza delle mamme giapponesi, ecc. Proprio in considerazione dei fattori presenti e potenziali di disagio o di difficoltà, e anche delle positive esperienze acquisite, sono stati numerosi i riferimenti alla necessità di una più forte integrazione del lavoro delle singole istituzioni. È stata sottolineata la grande utilità delle attività e iniziative condotte in comune con Asl ed enti locali.
E, soprattutto nel corso del convegno pomeridiano organizzato con gli operatori, è stato anche sottolineato il rischio della solitudine di un insegnante costretto a intervenire senza le giuste sponde istituzionali e professionali, dal medico allo psicologo al magistrato.
Nel complesso l'area sud-est di Milano si è dunque posta sia come rivelatrice dei problemi (generali e specifici) che si possono presentare in un polo metropolitano ad alto sviluppo, sia come anticipatrice delle risposte possibili in alcuni particolari, nuovi settori di intervento.

Tratto da: Indagine sulla dispersione scolastica 2000-01,
realizzata dal Comitato di indagine sulla dispersione scolastica
della VII Commissione della Camera dei deputati.

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Il caso di Napoli
L'esperienza napoletana rappresenta in forma particolarmente acuta le patologie connesse alle grandi conurbazioni. Sicché essa si candida a importante pietra di paragone per lo studio delle condizioni esterne che vengono complessivamente a pesare non solo sul raggiungimento ma ancor prima sulla ridefinizione delle finalità della scuola in grandi contesti metropolitani segnati da diffuse sacche di arretratezza. A Napoli, come poi anche a Palermo, l'emergenza prioritaria è il problema della legalità.
La popolazione delle scuole osservate e i quartieri di provenienza si pongono come vincolo a partire dal quale tutto o quasi viene ridefinito. La scuola svolge cioè una autentica funzione di supplenza e talora di contrasto rispetto alle culture di appartenenza dei ragazzi; fenomeno che in tutti i casi considerati è stato indicato esplicitamente da presidi e insegnanti o è apparso attraverso i segni quotidiani dell'attività scolastica. Spesso sono stati ricordati gli ambienti familiari dei ragazzi più "difficili": "tre zii uccisi", "sorella di una ragazza ferita", "una quindicenne che ha partorito due mesi fa, la madre è in carcere, un fratello piccolo da accudire, un fratello ventunenne tossicodipendente", "cugino in carcere e zio alcolista", "figlio di un pluricondannato per omicidio".
Si è aggiunto che i ragazzi hanno non di rado un figlio a sedici-diciassette anni, che nelle famiglie non conoscono il contraccettivo e che di fatto gli alunni "spesso non hanno il papà, il loro papà è l'insegnante maschio". Nella scuola media "Pasquale Scura" dei Quartieri spagnoli sono frequentanti i figli di tutti i boss locali. Un ragazzo ha tirato complessivamente trenta banchi giù dalla finestra, ma in questa situazione, è stato detto, "siamo felici che qui la violenza sia contro le cose".
La sala computer è difesa da un'inferriata per paura di furti, ma la difesa non è ancora considerata sufficiente, tanto da chiedere al Comune un dispositivo d'allarme. Nella scuola "Vittorio Emanuele" si ricorda in bacheca "che offese o oltraggi al personale sono puniti dal codice penale". La scuola professionale di Ponticelli sorge accanto al Rio De Gasperi, dove la popolazione in massa ha impedito di recente l'ingresso della polizia.
In una situazione dove, come è stato detto, "serve l'etnologo" per misurarsi efficacemente con la struttura resistente dei pregiudizi e delle convenzioni culturali, la scuola punta a garantire i requisiti di base a partire dai quali è possibile costruire il processo di apprendimento.
Guardando a questo obiettivo, il processo di apprendimento diventa dunque duplice; a volte distinguendo la fase propedeutica (il rispetto dei diritti, la consapevolezza dei bisogni) da quella successiva, altre volte intrecciandole. La situazione è sembrata particolarmente meritevole di attenzione nell'esperienza della media "Scura", dove l'evasione effettiva oscilla intorno al 35 per cento.
La scuola ha approntato un complesso di iniziative che disegnano, nel loro insieme, proprio una strategia volta a costituire le precondizioni di base della attività scolastica. È stato così predisposto un intervento mirato sulle famiglie. Non sulle famiglie in generale, visto che il senso di estraneità verso la scuola appartiene alla loro maggioranza.
Si lamenta infatti che i genitori non riescono in genere a reggere le richieste di coinvolgimento psicologico; e che anzi la reazione dominante alle richieste di giustificazione delle assenze è di fastidio e irritazione verso la scuola. O che gli stessi genitori evitano di dare alla scuola i numeri telefonici di casa, preferendo comunicare o i numeri dei vicini o quelli dei propri cellulari. Sono state così coinvolte alcune decine di madri più sensibili, quasi tutte molto giovani, in un corso legato a un progetto europeo.
Il coinvolgimento, che si sostanzia anche nella collaborazione allo svolgimento di attività estive (importanti per non interrompere il rapporto con la scuola), si conclude per alcune di loro anche con il conseguimento di un titolo di studio. Sono esse comunque che svolgono in gran parte l'attività di mediazione culturale con le famiglie. Un'altra strada seguita è quella espressa dal "progetto Chance", che punta al recupero di alcune decine di evasori totali scelti tra i ragazzi di età fra i tredici e i quindici anni. Si interviene su di loro (con risultati importanti, più della metà riavviati alla formazione professionale) con l'obiettivo di costruire una significativa capacità di ascolto e di attenzione, con l'obiettivo di renderla superiore, almeno al mattino, alle due ore. Si tratta di un progetto al quale partecipano altre scuole (compresa la seconda scuola media visitata) attraverso la figura dei maestri di strada. Infine la scuola partecipa al progetto "Fratello maggiore", che fa perno su un vicino istituto tecnico, il quale prevede una azione di tutoraggio da parte dei ragazzi più grandi della stessa scuola, che condividono con i propri compagni anche una parte delle ore extrascolastiche. Come nel primo caso con le madri, si tenta cioè di stabilire ponti culturali più larghi verso gli alunni (stavolta a partire dai "pari"). Si tratta però di uno strumento che presenta qualche problema in più rispetto al precedente. […]
I risultati di questo articolato complesso di interventi appaiono di grande interesse, anche se allo stato essi riescono a contenere e non certo ad annullare una dispersione potenzialmente altissima. In generale quello che sembra emergere dall'esperienza napoletana è la necessità di costruire una nuova personalità, un nuovo statuto deontologico, nell'alunno.
E in tal senso sono utili tutte le attività (anche quelle sportive agonistiche) che rafforzino l'identità e il senso di appartenenza alla scuola.
Ma soprattutto è importante che l'insegnante che svolge questa delicatissima opera di promozione umana-civile sia vissuto dall'alunno come riferimento stabile, perché solo la stabilità gli conferisce - agli occhi del ragazzo - affidabilità, forza affettiva, o anche il carisma che egli deve sapere esercitare svolgendo in più circostanze il ruolo del capo, del leader riconosciuto di un gruppo. Il tema della stabilità è stato sollevato in tutte le sedi, ricordando anche il carattere particolare del rapporto tra scuola e quartiere ("quando il loro professore va per i vicoli, i ragazzini formano dietro di lui un codazzo"). Così come è stata ripetutamente sottolineata l'esigenza che il lavoro della scuola venga inserito in una robusta rete inter-istituzionale. Tale rete, sembra di poter dire, nel caso di Napoli funziona in modo soddisfacente pur se con lacune rese comprensibili dallo stesso contesto (ad esempio i servizi sociali "super-intasati"). E anche questo aiuta a spiegare i risultati raggiunti in singoli istituti - come il professionale di Ponticelli - nei quali l'attività svolta sui ragazzi che hanno superato i meccanismi di esclusione della scuola dell'obbligo ha dato ottimi risultati.
La qualità e la formazione del corpo docente, i finanziamenti del fondo sociale europeo e, appunto, il sostegno della rete inter-istituzionale hanno portato i tassi di abbandono del primo quadrimestre al 2 per cento partendo da percentuali quattro volte superiori.
Anche qui, va detto però, è stato necessario abbandonare il programma curriculare (sul quale - si spiega - sarebbe impossibile andare avanti) ridisegnando programmi e metodologie.

Tratto da: Indagine sulla dispersione scolastica 2000-01,
realizzata dal Comitato di indagine sulla dispersione scolastica
della VII Commissione della Camera dei deputati.

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Il caso di Cagliari

L'esperienza cagliaritana mette in luce alcune preoccupanti caratteristiche di fondo del rapporto tra scuola e società in Sardegna. L'isola presenta infatti tassi complessivi di dispersione e di insuccesso particolarmente elevati, sia in ragione di una più diffusa estraneità culturale verso la stessa istituzione scolastica sia in ragione di un complesso di vincoli logistici (distanze e collegamenti) in grado di pesare negativamente sulla partecipazione degli alunni, tanto più se residenti in contesti rurali emarginati.
Sono emersi due dati generalizzabili alla situazione dell'intera provincia: l'assenza di un tessuto di imprese al quale guardare per promuovere positivi rapporti tra scuola e mercato del lavoro e l'insufficiente livello di collaborazione tra le varie istituzioni sul tema specifico della dispersione.
La missione ha portato a contatto diretto con tre differenti realtà: due scuole medie e un istituto professionale alberghiero. La prima, in particolare, si riferisce a Uta, piccolo comune rurale caratterizzato da elevata disoccupazione e da un basso grado di istruzione, tra i più svantaggiati di tutta l'area.
In questa situazione è stata lamentata l'assoluta episodicità dei riferimenti istituzionali: cinque assessori all'istruzione in sei anni fino alla mancanza dello stesso assessore, instabilità degli interlocutori, condizioni ripetute di emergenza anche di fronte ai piccoli problemi quotidiani (la serranda rotta o il prato da falciare), rapporti episodici anche con altre agenzie (Centro polivalente, ora privo anche del pedagogista), collegamento positivo solo con la Comunità montana.
Se a ciò si somma l'atteggiamento di piena delega coltivato dalle famiglie, si comprende bene come la scuola si trovi assolutamente sola di fronte a tassi di dispersione oscillanti tra il 12 e il 25 per cento e che non riguardano solo gli alunni non frequentanti.
Quali strategie ha elaborato il corpo docente in una situazione tanto precaria? Si tratta di strategie "povere", centrate in gran parte sull'autovalorizzazione dei docenti: aggiornamento (anche sulla devianza); sviluppo di nuove metodologie, favorite dalla realizzazione dell'autonomia; promozione della didattica di laboratorio (pur senza il bancone da laboratorio, sostituito dai normali banchi), agevolata dall'istituto della copresenza.
Nei confronti degli alunni si è invece puntato a privilegiare un "apprendimento cooperativo" attraverso il lavoro per piccoli gruppi e a valorizzare la "diversità delle intelligenze", ossia a definire percorsi di crescita degli alunni di tipo personale. Quest'ultima strategia naturalmente non può essere totalmente realizzata a scapito dell'acquisizione di uno standard di conoscenze di base.
E proprio per trovare il punto di equilibrio tra le due esigenze è stato posto il problema della definizione dei "saperi minimi".
I risultati sono talvolta di interesse, come ad esempio la costruzione di un ipertesto. Ma lo scontro con le condizioni esterne viene ritenuto molto difficile. A questo proposito è stato fra l'altro segnalato come la dispersione sia un fatto prevalentemente correlato alla identità socio-culturale degli alunni, verso i quali non viene svolta alcuna attività di attrazione da parte del lavoro minorile ("qui non lavorano neanche gli adulti").
Al massimo, viene rilevato, i ragazzi vengono impiegati in attività agricole nell'orto o nei campi, secondo le usanze della società contadina (significativamente, nell'atrio della scuola si viene accolti da una statua dedicata al portatore di carciofi, realizzata dai ragazzi con l'insegnante di educazione artistica).
La seconda scuola media visitata si trova invece nel centro storico di Cagliari e risente della eterogeneità degli insediamenti abitativi gravitanti su di essa. Ha una popolazione scolastica composta in parte da figli di impiegati e commercianti in parte da figli di pescatori, disoccupati e immigrati. I livelli di dispersione sono elevati, nella sede centrale più che nella succursale: 13 per cento nelle prime classi (con un decremento di cinque punti circa negli ultimi anni) e 24 per cento nelle terze (sostanzialmente stabile).
In una terza i componenti del Comitato di indagine sulla dispersione scolastica hanno rilevato la presenza di sei alunni su quattordici non ammessi agli esami di licenza media. In questo caso la composizione a due facce della popolazione scolastica produce per riflesso quasi una scuola bifronte.
Da un lato vengono realizzate iniziative di avanguardia: dai lavori di legno ad attività o progetti sulla droga e sull'ambiente (sviluppo sostenibile) o sulla cittadinanza europea; dai collegamenti via satellite alla formazione a distanza; dalla seconda lingua all'informatica, al teatro, alla gastronomia o all'educazione sanitaria. Dall'altro lato pesa l'esistenza di un sostrato di famiglie disagiate, l'analfabetismo di ritorno del centro storico, la scarsa collaborazione delle famiglie, propense a non credere ai comportamenti asociali o turbolenti dei propri ragazzi.
È significativo in proposito che da un anno sia stata adottata una équipe medica per mediare i conflitti tra corpo docente e alunni. È in questo quadro che si realizza una divaricazione dei modelli di partecipazione scolastica, che al Comitato di indagine sulla dispersione scolastica non è apparsa oggetto di adeguata valutazione in sede di scenari di intervento. I pluri-ripetenti di prima diventano difficilmente recuperabili anche per via dell'imbarazzo che essi provano nei confronti di bambini più piccoli.
Eppure il lavoro compiuto per rimediare a precedenti esperienze precarie ha dato i suoi frutti appunto nell'anno del passaggio da un grado di istruzione a quello superiore. Si deve ritenere dunque che vi sia un trascinamento della precarietà che si manifesta con le cifre (ragguardevoli e stabili) della dispersione dell'ultimo anno.
Gli ostacoli maggiori all'elaborazione e alla realizzazione di efficaci strategie anti-dispersione sono stati indicati dalla preside in un deficit di formazione degli insegnanti, poco dotati di una preparazione non curriculare e poco abituati a misurarsi con le cosiddette classi difficili.
Da questo discenderebbe anche la insufficiente predisposizione di percorsi individualizzati segnalati come risposta necessaria alla situazione ambientale. La visita all'istituto professionale alberghiero ha dal suo canto consentito di rilevare le potenzialità di motivazione insite in un indirizzo dotato di buone opportunità di sbocco (essendo esso l'unico istituto della provincia di Cagliari).
Ha altresì proposto l'importanza del fattore pendolarismo, il quale costituisce comunque un limite alla partecipazione anche nei contesti mediamente più motivati. Diversa la situazione di altri istituti professionali, con ripetenze-insuccessi oscillanti tra il 30 e il 50 per cento nel primo biennio; cifre, queste, che risultano fra l'altro contenute grazie al fenomeno cosiddetto delle "promozioni per disperazione" cui ricorrono, extrema ratio, gli insegnanti.
Proprio in questo caso è stato segnalato come gravino sulle possibilità di successo numerosi fattori: non solo i retroterra familiari difficili ma anche la scarsa utilità percepita del titolo di studio, accentuata dal fatto che la realtà economica circostante non consente agli allievi di questi istituti i "tirocinii professionali", rendendo davvero labile o addirittura invisibile ogni prospettiva lavorativa futura. Di grande interesse è stato comunque il dibattito che si è aperto davanti al Comitato di indagine sulla dispersione scolastica nel corso di un incontro pubblico con gli operatori scolastici.
Più interventi (il preside di un istituto tecnico, il coordinatore d'area di Carbonia, la coordinatrice d'area del Campidano) hanno sottolineato come i tassi di ripetenza non cambino sensibilmente passando da istituti ben serviti in collegamenti e strutture (turno unico, mense, spazi aperti) a istituti per definizione disagiati. Si è cioè affermata nell'ambito della discussione una forte corrente interpretativa volta a privilegiare, nella gerarchia delle responsabilità, i fattori socio-economici, quelli culturali (il disagio esistenziale), l'instabilità del corpo docente (qualcuno ha parlato perfino di "turismo scolastico"), e la mancanza di una rete inter-istituzionale - dalla sovrintendenza ai servizi sociali del comune al Tribunale dei minori - capace di operare come "sistema" proprio sul piano della dispersione.
In tal senso è sembrata anche andare la riflessione autocritica degli assessori comunale e provinciale, i quali hanno ammesso, in un successivo incontro con le autorità cagliaritane, sia la concentrazione quasi esclusiva degli sforzi della pubblica amministrazione sul terreno delle strutture e dell'edilizia scolastica sia la mancanza di un coordinamento delle azioni rivolte ad aumentare il successo scolastico (come è stato causticamente rilevato, una "dispersione degli interventi anti-dispersione").

Tratto da: Indagine sulla dispersione scolastica 2000-01,
realizzata dal Comitato di indagine sulla dispersione scolastica
della VII Commissione della Camera dei deputati.

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Il caso di Palermo

L'esperienza di Palermo presenta le caratteristiche tipiche di una situazione tipica di avversità ambientale. Marginalità urbana, sottosviluppo economico e sociale, precarietà estrema dei redditi di gran parte delle famiglie, basso grado di istruzione e basse motivazioni verso la carriera scolastica dei figli, pressione della criminalità organizzata sia sul piano culturale sia sul piano delle prospettive economiche: tutto questo si condensa negli ambienti nei quali operano le scuole visitate dai rappresentanti del Comitato di indagine sulla dispersione scolastica, entrambe ricomprese nel ciclo dell'obbligo. Si tratta, più precisamente, della scuola elementare di Borgo Nuovo, nella nuova periferia, e della scuola media "Antonio Ugo" del centro storico.
Data la diversità dei problemi evidenziati nei due ordini di scuola, conviene indicare separatamente le difficoltà e le strategie anti-abbandono enunciate dal corpo docente nei casi osservati. Nella scuola elementare sono stati isolati due problemi in particolare: quello della qualità dell'apprendimento e quello della saltuarietà delle frequenze.
In tutti e due - fra l'altro collegati - si esprime il retroterra sociale degli alunni. L'apprendimento si dimostra fragile, superficiale, carico delle tare culturali familiari, se promosso con i criteri tradizionali di insegnamento e di socializzazione. La saltuarietà delle frequenze si dimostra a sua volta un ostacolo strutturale alla riuscita di strategie innovative, data l'interruzione che provoca nella "catena dell'apprendimento" comunque ripensata.
La scuola punta dunque a creare le precondizioni di un apprendimento di qualità, prefiggendosi di ovviare alle lacune di motivazione, di identità, di organizzazione mentale esistenti nella famiglia di origine.
Il complesso delle sue finalità viene così riformulato a partire dalla situazione che essa deve concretamente affrontare. Si cerca di sviluppare ogni aspetto positivo della personalità dell'alunno, dalla capacità di espressione alla disposizione a lavorare in gruppo, dallo sviluppo della sensibilità alla percezione della propria identità urbana e di quartiere.
In una classe terza si è assistito alla creazione del clima musicale idoneo a fare esprimere l'autonomia e la creatività dei movimenti degli alunni (anche dei portatori di handicap) e a farli avvicinare a una definizione appropriata di alcuni concetti, in particolare nel campo delle emozioni. In una classe quarta gli alunni erano impegnati invece nell'immaginazione di un loro cammino nella città attraverso l'uso di una mappa stradale.
Lavoro utile a dare loro le coordinate della loro esistenza in città, non solo perché, è stato spiegato, una parte di loro, pur abitando in una città di mare, non ha mai visto il mare, ma anche perché lo stesso quartiere di Borgo Nuovo in cui vivono non risulta nello stradario di Palermo, quasi sancendo la loro esclusione dal tessuto urbano. In una classe quinta infine si è potuto assistere allo svolgimento di una prova collettiva di espressione artistico-musicale, attraverso la quale si perseguono insieme gli obiettivi (concettualmente distanti) del rafforzamento delle precondizioni e dell'affinamento dell'apprendimento.
Se dunque i funzionari del Comitato di indagine sulla dispersione scolastica hanno appreso con una certa curiosità che i fondi europei antidispersione sono stati anche impiegati per comprare tamburi, essi hanno però constatato che l'esperienza musicale diventa il veicolo per promuovere l'autoproduzione di testi.
E che il rapporto tra musica e immaginazione viene utilizzato, nelle prove pratiche, per introdurre l'alunno a una comprensione sofisticata del linguaggio (ad esempio la differenza tra "metafora" e "similitudine").
L'identificazione con la scuola viene cercata anche promuovendo progetti di lavoro estivo dentro la scuola, come la pittura dei muri interni.
È stata comunque sottolineata l'importanza che un lavoro così delicato possa contare sulla stabilità degli apporti più pregiati espressi dalla funzione docente. Nella scuola visitata tale importanza è accentuata dalla forte presenza di bambini disabili (per una convenzione con l'ex istituto dei sordi), che esalta naturalmente il ruolo degli insegnanti di sostegno, lì considerati carismatici e capaci di produrre atmosfere particolari. Ma certo il quadro descritto, soprattutto se si pensa alla difficoltà di allacciare rapporti di fiducia con famiglie in partenza demotivate, spiega la necessità che il sistema formativo possa contare - più che mai in queste situazioni - sia su una apprezzabile certezza dei riferimenti umani e professionali sia su criteri di sostituzione e di reclutamento differenti da quelli burocratici delle graduatorie dei provveditorati.
La visita alla scuola media "Antonio Ugo" ha evidenziato un'altra serie di problemi. Anzitutto il concreto manifestarsi della tendenza all'abbandono, con radici nella formazione infantile, e che ancora nel '92-'93 si esprimeva in un tasso complessivo di dispersione scolastica pari al 24 per cento.
Il secondo è la necessità di intervenire sul delicatissimo periodo adolescenziale per contrastare le forti tendenze, esistenti all'esterno della scuola, a promuovere culture conniventi con l'illegalità o addirittura aderenti alle organizzazioni criminali.
Ne discende un'impostazione del lavoro del tutto peculiare. Anche qui assume un'importanza centrale il riferimento al quartiere di appartenenza, per coltivare attraverso il suo simbolo monumentale-architettonico (la Zisa) un senso di identità culturale e un elementare gusto artistico.
Questi due ultimi obiettivi vengono anche perseguiti con sperimentazioni teatrali, in particolare lavorando a spettacoli autoprodotti del teatrino dei pupi. Film inglesi con sottotitoli e laboratori di ceramica congiungono gli orizzonti europei con gli orizzonti più vicini dell'artigianato di quartiere.
Gli strumenti tecnici e disciplinari vengono utilizzati in forma altamente integrata nel corpo di progetti che hanno spesso valenze immediatamente di educazione civile e alla legalità, garantendo così un uso non separato e astratto dei saperi e delle tecnologie (di notevole qualità è apparso un lavoro multimediale sulla storia della mafia). A rafforzare l'identificazione con la scuola provvedono anche il suo uso pomeridiano (due volte a settimana l'aula magna, intitolata a una vittima della mafia, funge da discoteca) e la realizzazione di attività cooperative interne alla scuola (ad esempio il servizio di merenda), oltre che la partecipazione - come scuola - a diverse iniziative antimafia. Campeggiano nell'aula magna alcuni segni di questa attività: uno striscione "da Corleone portiamo i colori della speranza", un disegno con la piovra "difendiamo la Costituzione".
Il clima educativo diventa al tempo stesso competitivo con le spinte esterne e attraente per il ragazzo. "Molti di loro", commenta un'insegnante, "solo qui sono guardati come persone".
Il risultato di questo lavoro è l'abbassamento drastico del tasso complessivo di dispersione: dal 24 al 2 per cento nel giro di sei anni.
All'origine di questo straordinario successo stanno alcuni fattori che è bene isolare concettualmente: una elevata disponibilità alla progettazione e al lavoro di gruppo da parte degli insegnanti oltre che la loro qualità professionale; una elevata disponibilità di mezzi economici, che ha consentito l'acquisizione di tutti gli strumenti utili a supportare le strategie di intervento del corpo docente, disponibilità dovuta a una scelta "politica" dell'amministrazione comunale e alla possibilità di avvalersi di fondi regionali stanziati ad hoc; una forte rete interistituzionale, al cui successo concorrono sia la attiva presenza dell'amministrazione comunale su questo fronte, sia l'impegno del provveditorato attraverso un efficiente Osservatorio permanente, sia il complesso dei servizi psico-pedagogici.
Si tratta di una caratteristica che (grazie anche al coinvolgimento del Tribunale dei minori e di altre istituzioni) segna positivamente l'esperienza palermitana. Proprio questa caratteristica, questa visione "di sistema" dell'intervento stia all'origine dei risultati raggiunti, sia pur se in forma e misura diversa, dalla città nel suo insieme.
Certo questi risultati, come è stato segnalato, aprono a loro volta nuovi problemi. Nel senso che, ad esempio, il mantenimento dentro la scuola di un 20 per cento circa di alunni che prima ne usciva, implica inevitabilmente un abbassamento medio del livello culturale della popolazione scolastica oltre che un sottodimensionamento del personale docente.
Ma, al di là di questi pur rilevanti problemi, l'esperienza della città dimostra che cosa la scuola e le istituzioni possano fare (se motivate e dotate di mezzi e risorse professionali) anche di fronte a contesti socialmente e culturalmente assai impervii.

Tratto da: Indagine sulla dispersione scolastica 2000-01,
realizzata dal Comitato di indagine sulla dispersione scolastica
della VII Commissione della Camera dei deputati.

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Il caso di Belluno

Il caso di Belluno è stato scelto per le caratteristiche di novità che esso propone allo studio del fenomeno della dispersione. La provincia bellunese infatti si presta bene a rappresentare alcune delle principali dinamiche che hanno investito sul piano socio-economico l'area del nord-est: uno spiccato sviluppo della piccola impresa e della sua vocazione a uscire dal mercato interno, un sistema a rete di organizzazione della produzione, l'orientamento a una marcata specializzazione merceologica, una certa flessibilità della manodopera impiegata, la realizzazione di un benessere diffuso. In questo contesto le opportunità per i giovani e per i giovanissimi tendono naturalmente ad accentuarsi e a costituire un potente fattore di attrazione verso il mondo extrascolastico.
Nel caso specifico della provincia, in cui spicca anche il centro di Feltre e che si distribuisce su un territorio in parte montuoso, le dinamiche socio-economiche su ricordate si esprimono in un forte sviluppo dell'industria dell'occhialeria e in una straordinaria diffusione dell'artigianato artistico e alimentare; la sola provincia di Belluno conta più aziende artigianali impegnate nella gelateria di quante ne assommi l'intera Germania.
È in questo contesto che circa la metà dei ragazzi che si iscrivono alle elementari non raggiunge il diploma delle medie superiori.
Il problema si presenta però con una duplice faccia. La prima è quella più tradizionalmente studiata. L'abbandono ha radici precoci, visto che il 48 per cento degli abbandoni risulta avere come precedente una bocciatura nella scuola dell'obbligo.
La seconda è inedita: il fenomeno infatti non avviene solo perché il mercato del lavoro assorbe con più facilità i drop-out del sistema scolastico, ma - come è stato riferito dal preside dell'Istituto professionale - si registrano abbandoni anche tra i ragazzi promossi. Si ha qui insomma una tendenza (riscontrabile, è stato osservato, anche in province come Treviso e Vicenza) a uscire dalla scuola anche al di là dell'impatto con l'insuccesso scolastico.
Lo stesso preside ha testimoniato infat

http://www.jobtel.it/rubriche/dossier/ArchivioDossier/Disperscolastica.aspx



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