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IL CORAGGIO SOTTO IL BURKA IL RACCONTO DI DUE DONNE DEL RAWA, un'organizzazione di donne afghane.

Lingua: Italiana
Destinatari: Alunni scuola media inferiore, Alunni scuola media superiore, Formazione permanente
Tipologia: Materiale di studio

Abstract: marzo 2001, di Vauro Senesi

 

Zoia e Marian fanno parte del Rawa (Revolutionary association woman Afghanistan). Zoia racconta: "Il Rawa è nato in Afghanistan nel 1977 come un movimento di donne che lottavano per la loro emancipazione in una società dominata dagli uomini, ma anche come movimento politico per una rivoluzione socialista". Quale rivoluzione? Quella importata dai carri armati sovietici? Quella dei taleban? Zoia ha un moto di irrigidimento: "La nostra rivoluzione, da noi stesse, per noi stesse".
Le Nazioni unite hanno imposto le sanzioni al governo dei taleban "ma noi siamo contro le sanzioni, perché sono a senso unico: perché solo ai taleban e non a Massoud?". "Le sanzioni - interviene Marian - non colpiscono i taleban che hanno molti modi di finanziarsi, per lo più illegali. Le sanzioni peseranno solo sulla nostra gente, aggiungeranno miseria a miseria, fame a fame".
E' proprio la fame, forse, più della guerra civile a riempire i campi profughi di Peshawar, in Pakistan: un milione e duecentomila rifugiati, una cifra che può dare la dimensione di questo esodo, ma che non può descrivere le condizioni di vita miserabili alle quali questa gente è condannata e che pure rappresentano un progresso rispetto a quelle dentro l'Afghanistan, una speranza per chi vorrebbe fuggire dal paese.
Zoia, Marian e le donne del Rawa vivono tutti i giorni la realtà dei campi profughi: "Organizziamo scuole per le donne e per i bambini. Portiamo un minimo soccorso sanitario - dice Marian - siamo impegnate con tutte le nostre risorse a tentare di rendere più umane le condizioni di vita nei campi, specialmente per le donne sulle quali oltre alla miseria continua a pesare l'oppressione del fondamentalismo religioso".
Siamo considerate un rischio dalle autorità pakistane, e delle criminali dai fondamentalisti; il pericolo di essere arrestate e picchiate è continuo. Eppure il 10 dicembre a Islamabad siamo riuscite a scendere in piazza con più di duemila donne contro il fondamentalismo; la manifestazione è stata attaccata dagli integralisti incoraggiati dall'indifferenza della polizia, ma è riuscita". Con orgoglio conclude che "circa duecento di quelle donne erano venute apposta dall'Afghanistan per parteciparvi".
Dall'Afghanistan? "Andiamo e veniamo dall'Afghanistan. Anche là noi del Rawa istituiamo scuole clandestine nelle case private, facciamo propaganda, organizziamo le donne: siamo riuscite così a portarle anche alla manifestazione a Islamabad". Sotto il naso dei taleban? Zoia si apre in un sorriso divertito: "Il burka, la veste che copre interamente il volto e il corpo delle nostre donne, proprio il burka che i taleban ci hanno imposto come strumento di negazione e di umiliazione, è il nostro passaporto. Sotto il burka siamo tutte uguali, alla frontiera non ci possono guardare in faccia e quindi non riescono a identificarci. Sotto il burka facciamo entrare libri e pubblicazioni. Ci vogliono come i fantasmi? I fantasmi possono oltrepassare i muri. Figuriamoci le frontiere".
Davvero siete convinte che la vostra azione possa qualcosa contro il potente intreccio di interessi che strangola l'Afghanistan, contro una condizione della donna che trova radici in tradizioni secolari? "Se non fossimo certe che la situazione può cambiare, almeno per le future generazioni di donne, non ci resterebbe che il suicidio". No, donne come Zoia e Marian non si suicideranno.



http://www.ecn.org/reds/donne/rawa/mondodinafganistanburka.html



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