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Storia

I DIRITTI DEI BAMBINI E DEGLI ADOLESCENTI


NELL’EPOCA DELLA GLOBALIZZAZIONE.



Lingua: Italiana
Destinatari: Alunni scuola media inferiore, Alunni scuola media superiore, Formazione permanente
Tipologia: Materiale di studio

Abstract:

DIRITTI DEI BAMBINI E DEGLI ADOLESCENTI
NELL’EPOCA DELLA GLOBALIZZAZIONE

di Paula Benevene*

* L’autrice è dottore di ricerca in pedagogia, insegnante alla Facoltà di Scienze Sociali della Pontificia Università San Tommaso d’Aquino e alla Facoltà di Psicologia dell’Università Lumsa di Roma.


UN# 140737C

Tra il 1987 e il 1993 il numero degli individui che, in tutto il mondo, vivono con un reddito inferiore a un dollaro al giorno è aumentato di 100 milioni: da 1,2 a 1,3 miliardi di persone. Il numero dei poveri, tuttavia, è ancora superiore: la Banca Mondiale usa come criterio di riferimento la soglia di reddito pari a 1 dollaro al giorno, ma tale parametro sale a 2 dollari al giorno per l’America Latina e i Caraibi, a 4 dollari al giorno per l’Europa dell’Est e la Confederazione degli Stati Indipendenti, a 14 dollari al giorno per i paesi industrializzati.
A parte il Sud est asiatico e il Pacifico, la diffusione della povertà mostra una tendenza verso la crescita1.
La povertà non è distribuita in modo omogeneo; esistono profonde disparità. Soprattutto, è in aumento il divario tra più poveri e i più ricchi. Per avere un’idea della sperequazione esistente tra i paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo, basterà citare un dato: il reddito medio del Giappone è 36 volte quello della Tanzania, ma il reddito pro capite del 20% più povero presente in Giappone è 130 volte maggiore di quello registrato in Tanzania2.
Ne1 1960 il 20% della popolazione mondiale più povera usufruiva del 2,3% del reddito mondiale complessivo; nel 1991 questa quota si era abbassata all’1,4%; nel 1994 non superava l’1,1%.
Tra il 1960 e il 1991 la quota del reddito mondiale detenuta dal 20% più ricco della popolazione mondiale è passata dal 70 all’85%. Nel 1994 questa quota era salita all’86%.
Di conseguenza, negli ultimi 35 anni la proporzione tra i redditi del 20% più ricco della popolazione mondiale rispetto ai redditi percepiti dal 20% più povero della popolazione mondiale è passato da 30:1 nel 1960 a 61:1 nel 1991; nel 1994 era 78:1.
Dal 1996 al 1997 il numero dei miliardari (intesi come soggetti che possiedono beni per un valore superiore al miliardo di dollari) è passato da 358 a 447. Il valore complessivo delle loro attività economiche supera il reddito di cui gode complessivamente 50% della popolazione mondiale più povera della popolazione mondiale; fino a 1996 il reddito dei multimiliardari rappresentava "solo" il 45% della metà più povera del mondo.
Eppure, non ostante l’1,3 miliardi di poveri, il mondo di oggi è più ricco di quanto non lo fosse nel secondo dopoguerra. Tra il 1950 e il 1993 il reddito mondiale globale è cresciuto da 2 a 23 mila miliardi di dollari e il reddito medio pro capite è più che triplicato.
Nel periodo 1970-85 il Prodotto Nazionale Lordo prodotto da tutti i paesi del mondo è cresciuto del 40%; ciò non ostante il numero dei poveri da reddito è cresciuto del 17%.
Durante i tre passati decenni la proporzione della popolazione mondiale che ha usufruito di una crescita di reddito pro capite di almeno il 5% annuo è raddoppiata, dal 12% al 27%, mentre la proporzione di quelli che hanno sperimentato una crescita negativa è triplicato, dal 5% al 18%.
Permangono grossi divari tra i paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo. Dei 23 mila miliardi di PIL globale prodotto nel 1993, 18 mila appartengono ai paesi industrializzati e 5 mila ai paesi in via di sviluppo, anche se questi raccolgono l’80% della popolazione mondiale.
Più di _ delle popolazione mondiale vive in paesi in via di sviluppo, ma gode solo del 16% del reddito mondiale3.

1 UNDP (United Nations Development Programme), Human Development Report 1997, New york, Oxford University Press, 1997. Tr. It. 8°Rapporto sullo sviluppo umano. Sradicare la povertà, Torino, Rosemberg e Sellier 1997.
2 UNDP, Human Development Report 1995, New york, Oxford University Press, 1995. Tr. It. 6°Rapporto sullo sviluppo umano. Dalla parte delle donne, Torino, Rosemberg e Sellier 1995, p.25.
3 UNDP, Human Development Report 1997.

Dal 1965 al 1990 il commercio mondiale di merci è triplicato e il settore dei servizi è più che quadruplicato, eppure la globalizzazione dei mercati non sempre ha fornito occasioni di crescita economica ai paesi più poveri. Le nazioni dove vive il 20% più povero della popolazione mondiale, hanno visto la loro quota di scambi diminuire, tra il 1960 e il 1990 dal 4% a meno dell’1%. Questi stessi paesi ricevono solo lo 0,2% dei prestiti commerciali mondiali. Gli investimento privati verso i paesi in via di sviluppo siano cresciuti tra il 1970 e il 1994 da 5 miliardi di dollari a 173 miliardi, ma tre quarti di essi sono diretti a soli dieci paesi, principalmente dell’Asia e dell’America Latina.
In questo stesso lasso di tempo il debito estero dei paesi in via di sviluppo nel 1993 ha superato il tetto dei 1.800 miliardi di dollari e i suoi interessi sono arrivati ad erodere una cifra pari al 22% del totale dei ricavi dell’esportazione di questi stessi paesi4.

4 UNDP, Human Development Report 1996, New york, Oxford University Press, 1996. Tr. It. 7°Rapporto sullo sviluppo umano. Il ruolo della cresciata economica, Torino, Rosemberg e Sellier 1996, p.21.

Tuttavia, sarebbe un errore grave pensare che la povertà sia un fenomeno relegato ai paesi in via di sviluppo.
Una situazione critica si è creata nei paesi dell’Europa dell’est e della Confederazione degli Stati Indipendenti. Il passaggio ad un’economia di mercato ha determinato una caduta drastica del Prodotto Interno Lordo e un conseguente aumento della povertà: nel 1988 era colpita da questo fenomeno il 4% della popolazione, nel 1994 questa proporzione era salita al 32%; in numeri assoluto, ciò ha significato una crescita da 14 milioni a 119 milioni di poveri. Non tutti i poveri sono disoccupati: è stato calcolato che in Russia risulta occupato il 66% dei soggetti che si trova al di sotto della soglia della povertà. Esiste anche una povertà crescente tra i lavoratori, perché le retribuzioni percepite non sono sufficienti a garantire la sopravvivenza, perché spesso provengono da occupazioni part time, a tempo determinato, precarie, sottopagate. Ad esempio, negli USA il problema maggiore è dato dall’inadeguatezza dei salari, aggravato dalla riduzione degli investimenti sul welfare.

Nei paesi industrializzati oltre 100 milioni di individui si trovano al di sotto della soglia della povertà, riferita al 50% del reddito medio disponibile. Se si considera invece la soglia di povertà di 14,40 dollari, adottata dalla Banca Mondiale, tale cifra si abbassa, pur rimanendo alta: 80 milioni. Sono più di 5 milioni coloro che sono senza casa; i disoccupati sono 37 milioni.
Nei paesi industrializzati, infatti, la crescita del reddito è stata accompagnata da un incremento della disoccupazione. Nel 1995, ad esempio, 36 milioni di persone all’interno dei paesi membri dell’OCSE erano senza lavoro e la percentuale dei disoccupati, rispetto al 1979, è più che raddoppiata, attestandosi all’11%. Anche in questo caso esistono differenze sensibili: il tasso di disoccupazione in quello stesso anno, andava dal 3% in Giappone al 23% in Spagna. All’inizio del 1997 la Germania aveva il 12% di disoccupati e il numero dei disoccupati dell’OCSE era arrivato a 37 milioni

Particolarmente critica è la situazione dei bambini e degli anziani, ossia di coloro che non partecipano al processo produttivo, nei paesi sia in via di sviluppo sia industrializzati: in Australia, nel Regno Unito e negli Stati Uniti più del 20% degli anziani sono poveri; nella stessa situazione si trova un bambino su quattro negli Stati Uniti, uno su sei in Australia, in Canada, in Gran Bretagna.
Ancora più grave è la situazione dei bambini che appartengono a nuclei familiari dove il capofamiglia è una donna: circa la metà o più dei bambini in famiglie con un solo genitore si collocano al di sotto della soglie della povertà in Australia, in Canada, nel Regno Unito e negli Stati Uniti. Ma non in tutti i paesi registrano questo andamento: la percentuale dei bambini poveri appartenenti a famiglie monoparentali è del 5% in Finlandia e dell’8% in Svezia, perché le politiche di welfare possono ridurre le conseguenze dello svantaggio economico5.

5 UNDP, Human Development Report 1997, pp. 47-49.

In Italia la povertà è più ricorrente tra gli anziani e i minori. Secondo i dati resi noti dalla Commissione di Indagine sulla Povertà e l’Emarginazione, in Italia numero degli anziani poveri è approssimativamente lo stesso di quello relativo ai bambini poveri: nel 1995 erano 14 milioni i soggetti con più di 65 anni che vivevano al di sotto della linea della povertà; i soggetti di età inferiore ai 14 anni nelle stesse condizioni economiche erano 12 milioni. Il Rapporto sottolinea che nel nostro Paese un bambino ogni sei è povero, ma anche che tale situazione non è distribuita in modo omogeneo sul territorio nazionale: nel Sud vivono in condizioni di povertà il 25% dei bambini fino a 6 anni e il 28% dei bambini dai 6 ai 13 anni; nel Nord e nel Centro i valori percentuali sono, rispettivamente, del 6% e del 5,6% per la fascia d’età fino a 5 anni, mentre la fascia d’età da 6 a 13 anni mostra un’incidenza del fenomeno è pari, al 4,4% nel Nord e al 9,4% nel Centro.
Va notato, inoltre, che i dati assoluti mostrano un andamento ancora più marcato rispetto alle percentuali, dal momento che nel Mezzogiorno è presente un numero più alto di bambini poveri rispetto al Nord e al Centro. Infatti, i bambini al di sotto del 14 anni in condizione di povertà sono 950.000 al Sud, 105.000 nel Centro e 140.00 nel Nord6.
Da uno studio condotto pubblicato nel 1997 dal Centro Studi della Banca d’Italia, la situazione dei minorenni risulta essere ancora più grave. Il metodo di calcolo adottato per l’analisi, basato essenzialmente sulla mancanza di reddito anziché sulla mancanza di consumi, evidenzia che "l’incidenza della povertà tra i minorenni è superiore a quelle che si riscontra fra tutte le classi d’età, comprese quelle anziane. Inoltre, essa non mostra alcuna tendenza alla flessione, al contrario, la diffusione della povertà tra gli anziani si è ridotta considerevolmente, raggiungendo livelli nettamente inferiori a quelli riscontrati per l’intera popolazione"7.
Lo studio condotto dalla Banca d’Italia evidenzia inoltre che l’incidenza delle condizioni di povertà tra i nuclei familiari che comprendono minorenni è molto più elevata di quella che si riscontra per gli altri nuclei: 25,9% contro il 12,2%.
Tra l’altro, la ricorrenza della povertà aumenta con il crescere del numero di figli: è pari al 15,5% dei nuclei familiari dove è presente un figlio minorenne, al 23,1% di quelli con due figli minorenni, al 49,5% di quelli con tre o più figli. Tra i nuclei monoparentali dove è presenta almeno un figlio l’incidenza della povertà è del 40,3%, a fronte del 24,8% dove sono presenti ambedue i genitori.
Complessivamente, le famiglie con minorenni a carico rappresentano il 56,4% del totale delle famiglie che si trovano al di sotto della linea della povertà. Nel 5,2% dei nuclei familiari con minorenni in condizione di povertà è presente solo un genitore. A questo proposito va sottolineato che nelle famiglie monoparentali con figli minorenni, dove, di solito, il capo famiglia è una donna: questa tipologia familiare è relativamente poco presente in Italia (2,3% di tutti i nuclei familiari), ma è in crescita e, soprattutto, presenta una maggiore intensità di povertà.

6 Commissione di Indagine sulla Povertà e sull’Emarginazione,La povertà in Italia 1995, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per l’Informazione e l’Editoria, Roma, 1996, p. 13.
7 Luigi Cannari - Daniele Franco, La povertà tra i minorenni in Italia: dimensione, caratteristiche, politche, Temi di Discussione del Servizio Studi n. 294, Banca d’Italia, febbraio 1997, p. 5.

Gli investimenti sociali e le politiche di riduzione della povertà sono elementi necessari sia per contrastare la povertà nei momenti di crisi sia per ridurla nei momenti di crescita economica. Infatti, non bastano l’aumento del PIL, della produttività e dei salari per far diminuire l’incidenza della povertà
E’ stato stimato che la crescita economica è responsabile solo per il 50% dei successi raggiunti nella riduzione della povertà; il restante 50% dipende dall’adozione di politiche mirate a ridurre questo fenomeno8.

8 UNDP, Human Development Report 1997.

Viceversa, la mancanza di aiuti alla popolazione più svantaggiata produce un effetto moltiplicatore delle conseguenze negative della povertà. I tagli alle spese sociali hanno abbassato la qualità della vita della popolazione svantaggiata economicamente. I risultati sono evidenti: in Russia, a partire dal 1992, la proporzione dei bambini con meno di 6 anni che si trova al di sotto della soglia della povertà è passata dal 40% al 62% e l’incidenza della denutrizione cronica tra questa fascia d’età è passata dal 9% al 14%. Anche le iscrizioni alla scuola primaria sono diminuite dal 1989: del 3% in Estonia, del 4% in Bulgaria, del 12% in Georgia9.

9 UNDP, Human Development Report 1997.

Non solo le spese sociali hanno subito forti riduzioni negli anni ’90; anche l’Assistenza Ufficiale allo Sviluppo (AUS) dei paesi industrializzati ha subito un taglio, raggiungendo i minimi storici: è pari ad appena lo 0,27% del loro PIL complessivo: è il livello più basso mai registrato dal 1950.
I paesi che hanno versato, in termini assoluti, più denaro per gli aiuti allo sviluppo nel 1995 sono: il Giappone (14,5 miliardi di dollari), la Francia (8,4 miliardi di dollari), la Germania (7,5 miliardi di dollari), gli Stati Uniti (7,4 miliardi di dollari); al quinto posto, e ben distanziati dalle prime quattro posizioni, troviamo i Paesi Bassi 3,2 miliardi di dollari). La situazione si modifica se si considerano gli aiuti in termini di dollari pro capite: al primo posto troviamo la Danimarca, che ha versato l’equivalente di 311 dollari pro capite (1,6 miliardi di dollari), la Norvegia, con 287 dollari pro capite (1,2 miliardi di dollari complessivi), di nuovo i Paesi Bassi con 208 dollari pro capite e il Lussemburgo, con 160 dollari pro capite (0,1 miliardi di dollari)10.

10 UNICEF, The Progress of the Nations 1997, New York 1997, Tr. it. UNICEF, Il progresso delle nazioni 1997, Roma, 1997

Le disparità economiche, i tagli alle spese sociali e la caduta degli aiuti, non sono le uniche cause di povertà e delle violazioni dei diritti dei minori che ne conseguono: ci sono anche i conflitti armati, la diffusione di malattie come l’AIDS.

Le spese militari sono diminuite globalmente, ma sono in aumento nei paesi in via di sviluppo. Solo nel 1993 le spese militari globali sostenute in tutto il mondo erano pari a circa 790 miliardi di dollari, di cui 221 miliardi spesi in paesi in via di sviluppo; questi stessi paesi, nel 1960 avevano dedicato alle spese militari "solo" 27 miliardi di dollari. Alcuni paesi (come l’Angola, il Mozambico, l’Etiopia il Myanmar, la Somalia, lo Yemen) per anni hanno speso più in spese militari di quanto non abbiano investito in servizi scolastici e medico sanitari. Alcuni di questi (come l’Eritrea, l’Etiopia, il Mozambico, l’Uganda e lo Zimbabwe) hanno attuato riallocamenti nei loro bilanci, dedicando più risorse alle spese sociali e tagliando quelle militari, ma , ovviamente, esiste una pesante eredità11.
Responsabilità forti ricadono anche sui produttori di armi: i 5 paesi che costituiscono i maggiori fornitori di armi ai paesi in via di sviluppo fanno parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (Francia, Regno Unito, USA, Federazione Russa, Cina).

11 UNICEF, The State of the World's Children 1996, New York 1996. Tr. it. La condizione dell'infanzia nel mondo 1996. Roma, Anicia, 1996.

Per quanto riguarda la gravità delle conseguenze dei conflitti armati sui bambini e gli adolescenti, basterà ricordare che, secondo le stime più recenti, negli ultimi 10 anni la guerra ha causato la morte di 2 milioni di minori; tra 4 e 5 milioni sono rimasti mutilati; 12 milioni sono rimasti senza tetto; oltre 1 milione sono i bambini e gli adolescenti rimasti orfani o separati dai genitori; circa 10 milioni hanno subito traumi psicologici12; inoltre, l'80% dei 13,2 milioni di rifugiati e dei 30 milioni di profughi esistenti nel mondo è costituito da donne e bambini. Secondo i dati resi noti dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, attualmente ci sono almeno 250.000 minori al di sotto dei 15 anni (ma molti di questi non hanno neanche compiuto 10 anni) che stanno lavorando come soldati nelle forze governative o in gruppi di opposizione armati, in circa 33 paesi nel mondo13.

12 UNICEF, The State of the World's Children 1996.
13 UNICEF, op. cit.

Un ulteriore esempio delle conseguenze dei conflitti pagate dai bambini è costituito dalle sanzioni economiche.
L’ex Segretario Generale delle Nazioni Unite Boutros Ghali ha definito le sanzioni come un’arma spuntata, dal momento che infliggono gravi sofferenze a gruppi già vulnerabili, mentre è molto improbabile che riescano a modificare le scelte dei responsabili politici. L’imposizione di sanzioni economiche pone dunque serie questioni morali.
Il ricorso a sanzioni economiche è uno dei nuovi sviluppi della politica internazionale: più che alla guerra i Governi fanno ricorso alle sanzioni, anche perché è un metodo meno impegnativo sotto il profilo economico, dal momento che non sono costretti a impegnarsi in costose operazioni belliche14.
Dal 1991, sotto l’art. 41, Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, la comunità internazionale ha imposto sanzioni collettive sull’Iraq, sulla Yugoslavia (Serbia e Montenegro), sulla Libia, su Haiti. In aggiunta, ci sono state un sanzioni bilaterali. I bambini sono tra i soggetti che risentono per primi e in forma più severa delle conseguenze delle sanzioni. Ad esempio, in Haiti le sanzioni sono state imposte dopo il colpo di stato avvenuto nel mese di settembre del 1991. A seguito delle sanzioni il prezzo dei prodotti alimentari di base è quintuplicato e la proporzione dei bambini malnutriti è salita dal 3% al 23%. La denutrizione diventa poi concausa di morte, come abbiamo visto: tra il 1991 e il 1992, tra le cause di decesso tra i bambini, la proporzione delle morti per morbillo è salita dall’1% al 14%. In Haiti, nei primi tre anni di sanzioni, il numero dei bambini iscritti nella scuola primaria è calata del 25%. L’Organizzazione umanitaria Save The Cildren ha rilevato che tra il 1991 e il 1992 nell’area di Central Plateau, in Maissade, dove vivono 45.000 persone, il tasso di mortalità infantile è cresciuto del 64%15.

14 Boutros Boutros-Ghali, op. cit.
15 UNICEF, op. cit.

Dal 1990 l’Iraq sta subendo una forma particolarmente severa di embargo. Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU nel 1991 adottò la risoluzione 706 per permettere all’Iraq di utilizzare i fondi congelati per comprare cibo e medicine, sotto la condizione che questi beni sarebbero stati acquistati e distribuiti sotto la supervisione delle Nazioni Unite. Il Governo Iracheno giudicò inaccettabili tali condizioni e cominciò a discuterle solo nel 1995. Nel frattempo il Tasso di Mortalità Infantile ha triplicato il suo valore; del resto, in Iraq il razionamento del cibo fornisce meno del 60% delle calorie necessarie alla sopravvivenza16. L'embargo provoca ogni mese la morte di 4.500 bambini al di sotto dei 5 anni, a causa della mancanza di cibo e medicine.

16 United Nations, op. cit.

Un'altra conseguenza indiretta della guerra riguarda la disseminazione di mine anti uomo, le cui vittime sono costituite per il 20% da bambini; è stato stimato che nel mondo ce ne sono oltre 110 milioni, in 66 paesi; rimangono attive per anni. Il costo unitario di una mina oscilla intorno ai 3 dollari; l'operazione di sminamento è pericolosa e costosa, ha il costo unitario compreso fra i 300 e i 1.000 dollari17. Nel 1993, per la sola rimozione delle mine antiuomo, nel mondo sono stati spesi 70 milioni di dollari; nello stesso anno, però, sono state disseminate altri 2 milioni di mine18.

17 ONU, Impatto della Guerra sui bambini, Rapporto di Graça Machel, esperta del Segretario Generale delle Nazioni Unite, New York, 1996.
18 UNICEF, The State of the World's Children 1996.

Oltre ai conflitti armati, anche le malattie sono al tempo stesso una causa e una conseguenza della povertà. Ne è un esempio il virus dell’HIV/AIDS, la cui rapida diffusione ha suscitato una fortissima preoccupazione nelle agenzie intergovernative, anche se esistono anche altre malattie molto gravi e a carattere endemico che compromettono la durata e la qualità di vita di milioni di persone, come la malaria (ne sono affetti 500 milioni di individui, di cui 3 ne muoiono ogni anno) e le infezioni intestinali (3 milioni di bambini muoiono ogni anno a causa della dissenteria).
Il 94% dei 23 milioni di persone colpite da HIV/AIDS si trova nei pesi in via di sviluppo, per lo più nell’Africa sub sahariana (14 milioni) e in Asia del Sud est (5,2 milioni). L’incidenza dell’HIV nei paesi più poveri è di 750 casi ogni 100 mila persone: una ricorrenza 10 volte superiore a quella registrata nei paesi industrializzati.
Nel 1996, su 3,1 milioni di adulti nuovi contagiati dell’HIV, ben 1,3 milioni si trovavano nell’Africa sub sahariana e 1,5 milioni in Asia del Sud e del Sud est. La diffusione massima di questa malattia, però, si trova nelle baraccopoli dell’America Latina e dei Caraibi, soprattutto a Rio de Janeiro, San Paolo e Città del Messico.
Le cure mediche a 25.000 dollari pro capite sono improponibili nei paesi poveri, anche se le conseguenze di una malattia grave come l’AIDS sono devastanti. Uno studio condotto nelle arre rurali della Tailandia mette in luce come per la cura di un malato di AIDS, per far fronte alle spese mediche, può essere necessario spendere più della metà del reddito del nucleo familiare, tanto che molte famiglie sono costrette a vendere il bestiame e la terra, oppure a prendere a prestito denaro con interessi alti. Una delle conseguenze più tragiche della diffusione dell’AIDS è la crescita del numero di orfani; in uno studio condotto in 15 paesi africani si prospetta un raddoppio del numero di orfani a 4,2 milioni nel 200519.

19 UNDP, Human Development Report 1997, p. 80.

La povertà non è solo mancanza di denaro, ma anche mancanza di istruzione, di cibo, di accesso ai servizi medico sanitari, di anni di vita. Proprio per questo motivo la povertà, oltre a essere definita da una soglia di reddito, può essere individuata a partire dalla incapacità di soddisfare le necessità di base.

Abbiamo già visto che circa un terzo della popolazione mondiale, approssimativamente 1,3 miliardi di individui vivono con meno di 1 dollaro al giorno. Accanto a questo dato, occorre considerarne altri, ad esempio:

  • 800 milioni di persone non hanno a disposizione cibo sufficiente; oltre 500 milioni di individui sono cronicamente denutriti;
  • 507 milioni di individui hanno una speranza di vita inferiore ai 40 anni;
  • 842 milioni di adulti sono analfabeti, di cui 538 milioni sono donne;
  • 800 milioni di persone non hanno accesso ai servizi sanitari;
  • 1,2 miliardi di persone non hanno accesso all’acqua potabile;

Anche in questo caso, i problemi non si fermano ai paesi in via di sviluppo; ad esempio, sono in aumento il numero dei senza casa; a New York i senza casa sono 250.000, a Londra circa 400.000 i casi registrati; in Francia le stime variano da 200.000 a 600.000. Un fenomeno emergente degli anni’90 è l’aumento dei bambini di strada, un aspetto della povertà urbana: a Mosca si stima ce ne siano 60.000, in Romania, circa 3.00020.

20 Ibidem, pp. 40-42.

I bambini, così come gli anziani, costituiscono una categoria a rischio. Ad esempio, la povertà è causa di malnutrizione e di morte. L’alimentazione scarsa o povera produce l’indebolimento e la caduta delle difese immunitarie dell’organismo, diventando così concausa di morte.
A questo proposito, vorrei ricordare alcuni dati.

  • Nei paesi in via di sviluppo ci sono 158 milioni di bambini denutriti al di sotto dei 5 anni; 110 milioni quelli esclusi dal sistema scolastico.
  • Ogni anno la malnutrizione e le malattie immunoprevenibili causano la morte di quasi 12 milioni di bambini che vivono nei Paesi in Via di Sviluppo; di queste morti, almeno il 55% è riconducibile alla malnutrizione, in forma diretta o indiretta.
  • Ogni anno nascono 24 milioni di bambini sottopeso (al di sotto dei 2.500 grammi), pari al 17% di tutte la nascite21.
  • Circa 183 milioni di bambini al di sotto dei cinque anni hanno un peso inferiore alla norma a seconda dell’età. Quelli gravemente sottopeso hanno una probabilità da due a otto volte maggiore di morire entro l’anno successivo, rispetto a quelli che presentano un peso adeguato.
  • L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stimato che è anemico il 51% dei bambini al di sotto dei quattro anni che vivono nei Paesi in Via di Sviluppo
  • In USA oltre 13 milioni di bambini - 1 su 5 - al di sotto dei 12 anni hanno difficoltà a soddisfare il proprio fabbisogno alimentare, particolarmente nell’ultima settimana del mese, quando i benefici sociali o i salari sono esauriti. Negli Stati Uniti più del 20% dei bambini vive in miseria; un tasso che supera del doppio quello della maggior parte dei paesi industrializzati UNICEF 97 p. 15
  • Nella Federazione Russa il grado di diffusione dei disturbi della crescita tra i bambini sotto i due anni è aumentato dal 9% del 1992 al 15% nel 1994, mentre nelle repubbliche dell’Asia centrale e nel Kazakistan, il 60% delle gestanti e dei neonati soffre di anemia.

21 UNICEF, The State of the World’s Children 1997, New York, Oxford University Press, 1997. Tr. it. UNICEF, La condizione dell’infanzia nel mondo 1997, Roma, Anicia, 1997.

Proprio perché la povertà non può essere considerata solo come la mancanza di reddito, l’UNDP (United Nations Development Programme). l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di sviluppo, utilizza l’ "Indice di Povertà Umana", ossia la percentuale di popolazione di un determinato paese che non vede soddisfatte le proprie esigenze minimali. L’IPU viene calcolato sulla base di tre indicatori:
1. la percentuale di popolazione con una speranza di vita al di sotto dei 40 anni;
2. la percentuale di adulti analfabeti;
3. la percentuale di popolazione priva di accesso ai servizi sanitari e all’acqua potabile e la percentuale di bambini al di sotto dei 5 anni sottopeso22.

22 UNDP (United Nations development Programme), Human Devlopment Report 1997, New York, Oxford University Press, 1997 (Tr. it. 8° Rapporto sullo Sviluppo Umano. Sradicare la povertà, Rosenberg e Sellier, Torino, 1997).

Dal confronto tra la povertà da reddito e la povertà umana emerge che:

  • nell’insieme dei paesi in via di sviluppo la povertà umana colpisce più di un quarto della popolazione;
  • la povertà da reddito e la povertà umana sono entrambe più diffusa nell’Africa sub sahariana e nell’Asia del Sud: circa il 40%. nell’Africa sub sahariana la ricorrenza della povertà da reddito è del 39%, della povertà umana del 42%. Nell’Asia del Sua la povertà umana raggiunge il 38% della popolazione; la povertà da reddito è del 43%. 59 UNDP 97
  • L’Asia del Sud raccoglie i due quinti dei poveri da reddito (515 milioni su 1,3 miliardi) presenti nei paesi in via di sviluppo e circa la metà di quelli colpiti dalla povertà umana :
  • l’Asia dell’Est, del Sud e del Sud-est e il Pacifico raccolgono 960 milioni dei 1,3 miliardi di poveri da reddito e più di due terzi delle persone in povertà umana23.

23 UNDP (United Antions Development Programme),Human Development Report 1997, New York, Oxford University Press, 1997. Tr. it. UNDP, 8° Rapporto sullo sviluppo umnao. Sradicare la povertà, Torino, Rosenberge e Sellier, 1997 p.59

La povertà umana e la povertà da reddito non procedono parallelamente: la differenza più sensibile tra questi due valori è registrata nei Paesi Arabi, dove nel 1993 la povertà di reddito è diminuita, fino a raggiungere solo il 4% della popolazione, mentre la povertà umana ne colpisce ancora il 32%.
All’estremo opposto si trova l’America Latina, dove la povertà umana è scesa, tanto che ora tocca il 15% della popolazione, mentre la povertà da reddito è stabile al 24%.
In ogni caso, la povertà umana è maggiormente diffusa nell’Africa sub sahariana e in Asia del Sud, dove affligge circa il 40% della popolazione24.

24 UNDP. Human Developmment Report 1997, p. 35.

E’ stato calcolato che per sradicare la povertà (integrando il reddito della popolazione più povera) e garantire l’accesso universale ai servizi di base (alimentazione, dei strutture medico sanitarie, scuola, disponibilità di acqua potabile, infrastrutture urbane, ecc.) basterebbe spendere globalmente da 30 a 40 miliardi di dollari all’anno per i prossimi 10 anni. E’ una cifra inferiore allo 0,5% del Prodotto Interno Lordo sviluppato a livello mondiale, meno della somma totale del valore totale dei beni posseduti dai 7 uomini più ricchi del mondo. In ogni caso, il Rapporto 1997 dell’United Nations Development Programme sottolinea che la maggior parte dei paesi dispone già di risorse sufficienti per sradicare la povertà da reddito e fornire servizi sociali di base.
Il vero ostacolo all’eliminazione della povertà è la mancanza di reali impegni politici.
In realtà, dietro la carenza di risorse, spesso si cela la carenza di adeguate priorità.

La priorità che gode oggi l’economia rispetto alle questioni sociali coinvolge la vita dei minori perché genera di fatto un diffuso e forte disinteresse per la condizioni difficili delle fasce meno protette, come sono appunto i bambini e gli adolescenti, fino a consentire e promuovere la commercializzazione della vita dei bambini e degli adolescenti.

La commercializzazione dei minori è una delle caratteristiche più gravi e ricorrenti delle violazioni dei diritti dell'infanzia. Nella sentenza emessa dal Tribunale Permanente dei Popoli si legge che "Con gli anni '80 lo scenario internazionale è cambiato profondamente: è il tempo del debito e degli aggiustamenti strutturali ... il ruolo dei bambini è cambiato: sono indicatori del volto non umano dei processi di aggiustamento: ... popolano le tabelle dei rapporti ufficiali degli organismi internazionali come misura della distanza crescente tra chi ha e chi non ha; vittime prevedibili, previste, confermate dei modelli neo liberali che chiedono il sacrificio del loro presente (l'eccesso permanente ed evitabile delle morbi-mortalità) per i tagli sulle spese sociali e sanitarie e del loro futuro (i tagli sulla spesa pubblica diretta all' alfabetizzazione e all'istruzione)25.

25 Ibidem, p.18.

Esistono casi in cui lo sviluppo economico viene fatto sulla pelle dei minori, come nel caso dello sfruttamento sessuale e lavorativo dei bambini, o nel caso della compravendita a scopo di adozione.
Di questi aspetti se ne è occupato il Tribunale Permanente dei Popoli, il tribunale di opinione organo della Fondazione Internazionale Lelio Basso, nella sessione svoltasi nel 1994 sulle "Violazioni dei diritti fondamentali dell’infanzia e dei minori".
I membri della giuria hanno constatato l'eccezionale sviluppo delle adozioni internazionali: esiste una forte domanda di bambini da adottare nei Paesi in Via di Sviluppo, da parte di coppie dei paesi industrializzati. In Paraguay, ad esempio, nel 1987 le adozioni internazionali sono state 6; nel 1994 erano salite a 600, su una popolazione complessiva di 4 milioni di abitanti e senza alcuna ragione che potesse spiegare questa rapida evoluzione. La pressione esercitata sulle coppie o sulle donne in condizioni disagiate da una parte spinge i genitori naturali all'abbandono, dall'altra fomenta un traffico illegale, legato alla compravendita di bambini da destinare alle adozioni internazionali. Ad esempio, è stato provato che in Brasile a volte le adozioni vengono estorte, perché alle madri biologiche non viene spiegato che stanno dando in adozione il proprio figlio; credono di affidarlo per alcuni anni a una coppia che si occuperà di lui, senza interrompere i legami familiari. Altre volte i bambini vengono rapiti, o sistemati in istituti senza il permesso dei genitori o addirittura senza che questi vengano avvisati; da qui alla dichiarazione di abbandono che precede l'adozione, il passo è breve.
Legato al problema della compravendita dei bambini da destinare alle adozioni internazionali c'è quello del traffico di organi; questo commercio, infatti, avverrebbe utilizzando le stesse modalità. Fin dal 1986 si sono diffuse notizie e denunce sui rapimenti di minori, mirati a ottenere organi da trapiantare. Su questo argomento sono stati realizzate diverse inchieste televisive: da parte di Monique Robin (per la televisione francese), di Jünger Roth (per la televisione tedesca); anche l'UNICEF da alcuni anni ha iniziato a interessarsi a questo argomento, aprendo un ufficio apposito presso la sede di New York. Il Tribunale Permanente dei Popoli ha esaminato un gran numero di informazioni e ha concluso che l'esistenza di un commercio di organi infantili destinati al trapianto, soprattutto cornee e reni, è una realtà26.

26 Tribunale Permanente dei Popoli, Le violazioni dei diritti fondamentali dell’infanzia e dei minori, Rovigo, Nova Cultura Editrice, 1994.

Per quanto riguarda lo sfruttamento del lavoro minorile, è impossibile avere numeri certi, ma, secondo uno studio svolto recentemente dall'Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) nel mondo i minori che lavorano sono approssimativamente 73 milioni. Si tratta di una stima parziale, perché non include i lavoratori che hanno meno di 10 anni, le bambine e le adolescenti che lavorano a tempo pieno dedicandosi ai lavori domestici, per consentire ai genitori di lavorare. Inoltre, tale stima non considera i minori che lavorano in forma illegale, perché si trovano al di sotto dell'età minima consentita per l'avviamento al lavoro o perché inseriti nel circuito informale della produzione. Stime più credibili si ottengono calcolando i bambini che, pur trovandosi nell'età dell'obbligo scolastico, non frequentano la scuola. Seguendo questa modalità, secondo l'UNICEF, solo in India mancherebbero all'appello 90 milioni di minori, in massima parte di sesso femminile; in questo modo, si può arrivare facilmente a supporre l'esistenza di alcune centinaia di migliaia di minori lavoratori27. Si calcola che almeno 200 milioni di bambini sono impiegati nelle miniere o nella produzione agricola dei paesi latino americani e asiatici. Ma lo sfruttamento del minorile non è una prerogativa esclusiva dei Paesi in Via di Sviluppo: negli Stati Uniti, ad esempio, le violazioni della legislazione sul lavoro minorile sono cresciute del 250% dal 1983 al 1990; ancora in USA, nel 1990 il Ministero del Lavoro ha individuato 11.000 casi di lavoro minorile illegale durante una operazione durata tre giorni. Nell'Italia meridionale, nei pressi di Brindisi, nel 1994 sono stati rilevati casi di adolescenti che lavoravano 12 ore al giorno, cucendo camicie, per un salario di poche decine di migliaia di lire; ma anche questo non è che uno tra i tanti possibili esempi28. Lo sfruttamento del lavoro minorile non di rado si associa alla riduzione in schiavitù di bambini e adolescenti: per l'esiguità o l'assenza delle retribuzione, per il numero di ore impegnate, per l'impossibilità di interrompere lo pseudo contratto di lavoro, per i maltrattamenti e le sevizie subite dai ragazzi per mano dei datori di lavoro. Molti minori finiscono per diventare schiavi a causa dei debiti contratti dai propri genitori.

27 UNICEF, The State of the World's Children 1996.
28 Tribunale Permanente dei Popoli, op. cit.

Una ulteriore e odiosa forma di commercializzazione dei minori riguarda la prostituzione di bambine e adolescenti.
Le stime dei minori che si prostituiscono sono alte, soprattutto se si considera che le cifre sono necessariamente inferiori alla realtà, dal momento che si riferiscono ad un'attività formalmente repressa per legge: 800.000 in Tailandia, 400.000 in India, 250.000 in Brasile, 60.000 nelle Filippine.
Si stima che annualmente le donne e i minori coinvolti nel traffico sessuale siano da 1 a 2 milioni29.

29 Judith Mirkinsons, "Red Light, Green Light: the Global Trafficking of Women", Sex Crimes and Lust Market, IDOC Internazionale 97/2.

La prostituzione minorile non è un problema unicamente asiatico o latino americano; dopo la caduta dei regimi comunisti nell'Europa orientale, il traffico di minori da questi paesi verso quelli dell'Europa occidentale è in crescita esponenziale.
Lo sfruttamento degli individui a scopi sessuali, di cui il turismo sessuale che investe i minori è solo un aspetto, crea onde migratorie di proporzioni rilevanti, quando si considerino i numeri sia delle ragazze che sono fatte oggetto di sfruttamento sia dei soggetti che usufruiscono delle loro prestazioni.
Per avere un'idea del movimento di visitatori stranieri che il turismo sessuale riesce a sviluppare, basterà considerare un dato: circa il 75% dei 5 milioni di turisti che ogni anno visitano la Tailandia sono uomini30, nelle Filippine questa quota è dell'80%31; è stato stimato che in Tailandia il turismo sessuale all'inizio degli anni '90 produceva un volume d'affari che si aggirava intorno ai 6 miliardi di bath all'anno32.

30 Judith Mirkinsons, op. cit.
31 Andrew Sherry, Matthew Lee, Michael Vatikiotis, op. cit.
32 Anne Symons, "Child prostitution and Tourism", Sex Crimes and Lust Market, IDOC Internazionale 97/2.

Lo sviluppo del turismo sessuale non è un fenomeno sorto all'improvviso e inesplicabile; viceversa, ha cause ben identificabili; negli anni '60 e '70 nei Paesi in Via di Sviluppo hanno attuato una politica di promozione del turismo internazionale per attirare capitali stranieri, su spinta del Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale, oppure di agenzie che operano a livello internazionale, come U.S. Aid; il turismo a scopo sessuale è diventato fin dall'inizio una delle opzioni proposte.

Un ulteriore elemento che ha contribuito alla crescita di questo problema è riconducibile alla guerra del Vietnam, che causò a sua volta una forte presenza di basi militari in Asia, soprattutto in Corea, in Vietnam, in Tailandia, nelle Filippine e a Okinawa; è stato calcolato che alla fine della guerra del Vietnam, a Saigon le prostitute erano 500.000; una cifra che equivale alla popolazione complessiva di questa città prima dell'inizio della guerra. Le basi militari hanno fatto sviluppare le città asiatiche o ne hanno addirittura sorgere di nuove, semplicemente promuovendo la creazione di locali pubblici provvisti di prostitute.

Esistono anche altre cause scatenanti del turismo sessuale: la connivenza quando non addirittura l' aperta complicità dei Governi e l'impunità del personale di polizia coinvolto in questo mercato. In Tailandia, ad esempio, il Governo approvò negli anni '60 una legge denominata "Entertainment Act", che consentiva di "affittare mogli"; il risultato fu che alla metà degli anni '70 le prostitute tailandesi erano già 800.00033.
La prostituzione forzata di minorenni (sia di sesso maschile sia di sesso femminile) è una forma "moderna" di schiavitù.

33 Judith Mirkinsons, op. cit.

I bambini possono diventare vittime delle leggi di mercato fin da neonati, come nel caso della commercializzazione dei succedanei del latte materno.
E’ stato calcolato che, nel solo 1991, gli interessi economici delle industrie produttrici di alimenti per bambini ammontava a 7 miliardi di dollari.
La Nestlè è la più grande casa produttrice di alimenti per bambini e al 26° posto nella lista delle multinazionali più importanti; nel 1990 ha fatturato 29.364 milioni di dollari.
Nel 1988 è stata lanciata una campagna di boicottaggio contro la Nestlè (multinazionale svizzera), l’ American Home Products/Wyeths (multinazionale USA) e la Milupa (multinazionale tedesca). Questa azione, avviata dall’International Baby Food Network (IBFAN), ha coinvolto poi altri 14 paesi. Il motivo del boicottaggio è il mancato rispetto del Codice di Condotta sulla Commercializzazione dei Succedanei del Latte Materno, approvato nel 1981 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità
Tra i punti principali del Codice c’è il divieto di:

  • pubblicizzare i succedanei del latte materno;
  • distribuire campioni gratuiti di latte in polvere;
  • promuovere questi prodotti nell’ambito dei servizi socio sanitari;
  • stabilire contatti tra il personale delle ditte produttrici del latte artificiali e le madri;
  • distribuire regali o campioni di prodotti al personale sanitario;

Multinazionali e grandi aziende nazionali (come la Amul, in India) scoraggiano l’allattamento al seno, per indurre le madri a comperare sostituti del latte materno, attraverso politiche aggressive di commercializzazione, dirette soprattutto ai paesi più poveri.
Sembrerebbe un controsenso la diffusione di prodotti cari in paesi dove la povertà è diffusa, eppure esiste una logica dietro questa strategia: con il declino del tasso di natalità dei paesi industrializzati, le multinazionali si sono rivolte ai paesi in via di sviluppo per estendere il loro mercato. Si è trattato di una scelta vincente: basti considerare che nel 1979 il mercato degli alimenti destinati all’infanzia aveva sviluppato un volume di affari stimabile intorno ai 2.000 milioni di dollari, a cui i paesi in via di sviluppo partecipavano per una quota pari al 50%; nel corso del decennio la fetta di mercato coperta da questi paesi era salita da un terzo alla metà.
Nei paesi in via di sviluppo le probabilità che un bambino allattato artificialmente muoia di infezioni intestinali prima di terminare il primo anno di vita sono 14 volte più alte rispetto a un bambino allattato la seno; le probabilità che muoia per infezioni respiratorie sono triple.
Il latte materno, infatti, trasferisce dalla madre al figlio gli anticorpi di cui il neonato è sprovvisto alla nascita: è questo il motivo per cui nei bambini allattati artificialmente sono più ricorrenti i casi di infezioni intestinali e delle vie respiratorie. L’utilizzazione del latte artificiale è quindi opportuno solo in ultima istanza, quando l’allattamento al seno è davvero impraticabile. Nei 38 paesi con i più alti tassi di mortalità infantile, in media solo il 42% della popolazione ha accesso ai servizi sanitari. Ciò significa che un bambino che si ammala ha più possibilità di sviluppare malattie più gravi, fino alla morte per mancanza di cure adeguate.
Inoltre, in molti paesi le madri non sono in grado di leggere e comprendere le istruzioni per la preparazione del latte artificiale, con la conseguenza di non adottare norme adeguata per la preparazione e la conservazione del latte artificiale. Inoltre, anche la minoranza delle madri che ha ricevuto un’adeguata preparazione scolastica, molto spesso utilizza donne analfabete per la cura dei proprio figli34.
Il costo dei succedanei del latte materno è alto, non solo in termini di salute dei bambini, ma anche in termini economici: in Somalia, ad esempio, il costo di un bambino allattato artificialmente può equivalere ad una settimana di stipendio di un medico; in Nigeria il costo del latte artificiale è pari al 264% del salario minimo di base. Proprio a causa dei costi alti, alcune madri aggiungono più acqua ai prodotti per ridurre la spesa, avviando un processo di denutrizione il proprio figlio.
Negli anni ’80 a El Salvador, con una popolazione di 5,2 milioni di abitanti, dove il 13% delle sue esportazioni erano usate per ripagare il debiti estero e con una mortalità infantile pari 50 per 1.000, sono stati spesi 10,8 milioni di dollari all’anno, per importare il latte artificiale35.
Un ulteriore problema riguarda i sistemi di sterilizzazione; procurarsi del fuoco per sterilizzare è un costo aggiuntivo, oltre alle bottiglie e alle tettarelle.
Proprio per promuovere l’allattamento al seno, nel 1991 l’UNICEF ha lanciato l’iniziativa Ospedali Amici dei Bambini, che prevede la "certificazione" delle strutture ospedaliere che si impegnano ad adottare misure a favore della qualità della vita dei minori; tra le misure previste, si ritrova l’attuazione delle "10 tappe per un allattamento al seno efficace".

34 CIIR (Catholic Institute for International Relations), Baby Milk. Destruction of a World Resource, Londra Agosto 1993
35 Ibidem, p. 18

Esiste infatti il problema delle risposte di contrasto alla situazione precedentemente delineata.
Le organizzazioni non governative, le realtà del volontariato svolgono un’azione importante per quanto riguarda l’innalzamento dello sviluppo umano Esse, infatti, non solo suppliscono ai servizi pubblici, estendendone i benefici alle persone ai gruppi che altrimenti ne sarebbero esclusi, ma svolgono anche un ruolo importante di mobilitazione dell’opinione pubblica e di pressione sul Governo e sui politici.

L’esempio dell’organizzazione non governativa ECPAT (End Child Prostitution and Trafficking) è illuminante proprio in questo senso
ECPAT, che opera a livello internazionale, ha individuato varie misure per prevenire e reprimere il traffico di minori e il turismo sessuale; prima fra tutte l'introduzione del principio della extraterritorialità giurisdizionale nelle singole legislazioni nazionali dei paesi da dove parte il flusso turistico. In altre parole, ECPAT chiede sia possibile perseguire penalmente nel rispettivo paese il cittadino che all'estero commette il reato di pedofilia o sfruttamento sessuale dei minori; attualmente, infatti, tali reati sono perseguibili solo nel paese dove sono stati commessi. La base giuridica per tale introduzione si fonda sulla gravità di questo crimine, assimilabile alla riduzione in schiavitù. Nell'ambito della protezione dei diritti umani, del resto, il principio della extraterritorialità giurisdizionale è stato applicato nell'istituzione del Tribunale Speciale per i Crimini contro l'Umanità perpetrati nell'Ex Jugoslavia e in Ruanda (anche se diversi Governi non hanno cooperato con questi due organi internazionali, pur avendone approvato l'istituzione). Ora l'ONU sta andando verso la creazione di un Tribunale Penale Internazionale per i reati più gravi (si sta attualmente discutendo per individuare quali debbano essere considerati tali); l'istituzione di questo organismo internazionale introdurrà il principio della giurisdizione universale, secondo cui una persona che si è macchiata di un reato particolarmente grave può essere arrestata e processata in qualsiasi parte del mondo si trovi.

Modifiche legislative che hanno introdotto il principio dell'extraterritorialità, seguendo le indicazioni di ECPAT, sono state già apportate in Germania, in Norvegia, in Australia, negli Stati Uniti, in Francia, in Svezia; il Giappone, la Nuova Zelanda e il Belgio ne stanno discutendo. In Italia esiste un apposito Disegno di Legge, denominato "Norme contro lo sfruttamento sessuale dei minori quale nuova forma di riduzione in schiavitù", già approvato dalla Camera dei deputati e ora in discussione al Senato. Nella primavera di quest'anno la sezione italiana di ECPAT ha lanciato una campagna di raccolta firme per accelerare la promulgazione di questa legge, rimasta bloccata nelle due passate legislature a causa delle crisi di governo che si sono succedute; sono state raccolte diverse decine di migliaia di firme a sostegno di questa iniziativa.

Nei paesi dove ECPAT è riuscita coinvolgere la società civile sono avvenuti cambi importanti: nelle Filippine e in Tailandia, ad esempio, nella seconda metà degli anni '90 sono state modificate le leggi che rendevano perseguibili penalmente le prostitute ma non i loro clienti; sono state inasprite le pene per i pedofili e i trafficanti di bambini; sono stati avviati programmi per il recupero e il reinserimento sociale dei minori sottoposti a sfruttamento sessuale.

L’esempio di ECPAT è utile per capire anche che le Organizzazioni Non Governative che si occupano di diritti umani di per se stesse non hanno sufficiente potere: occorre il supporto dei cittadini, di tutti i cittadini. La mobilitazione dei cittadini svolge un ruolo importantissimo per la prevenzione e la repressione delle violazioni dei diritti umani: nessun governo può rimanere insensibile alle pressioni degli elettori e dell'opinione pubblica internazionale.
La verità è che è sempre possibile, da parte di ciascuno, far qualcosa per contrastare le situazioni di iniquità, anche le più lontane e le più gravi, magari semplicemente firmando una petizione. Un proverbio asiatico dice pressappoco: "Chi vuole fare qualcosa, trova sempre una strada; chi non vuole fare niente, trova sempre un pretesto".

 



http://www.runic-europe.org/italian/diritti/infanzia/BeneveneViolazioniCRCeglob.html



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