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Transdisciplinare
L'ideologia della sicurezza - Francia: Gli ospiti paganti dell'impresa-prigione

Lingua: Italiana
Destinatari: Alunni scuola media superiore, Formazione post diploma
Tipologia: Materiale di studio
Abstract:

L'ideologia della sicurezza
Gli ospiti paganti dell'impresa-prigione


Trent'anni fa, un presidente della repubblica ricordava che «la pena è la prigione, non è di più della prigione». Ormai, le condizioni carcerarie infliggono a un numero sempre maggiore di ristretti ben più della reclusione: il frequente ricorso ai pestaggi, l'uso sistematico delle manette, il lavoro sotto pagato che è diventato quasi obbligatorio da quando molte forniture di base non sono più gratuite.

Jean-Marc Rouillan
In una decina di anni le condizioni carcerarie in Francia si sono notevolmente deteriorate. I lavori delle commissioni parlamentari succedutesi e i grandi proclami umanitari non sono riusciti a impedire questo deterioramento, né tanto meno a rallentarlo. Recenti misure ancora più repressive appesantiscono una situazione già intollerabile.
Presentata dall'amministrazione e dai differenti sindacati come una misura per riprendere il controllo, l'attuale politica si fonda sul credo della prigione totale e della restaurazione dell'autorità.
In questi discorsi perentori si riconoscono gli stereotipi della rivoluzione conservatrice americana, appena un poco francesizzati.
All'epoca della «tolleranza zero» e della grande precarietà del lavoro, il carcere è confermato nel suo ruolo d'insostituibile meccanismo di protezione della società nei confronti della classe cosiddetta pericolosa e in particolare dei suoi strati più deboli: fenomeno senza precedenti dall'epoca del confino, la politica penitenziaria pianifica l'apartheid sociale (1).
Uno degli effetti più vistosi è sicuramente la sovrappopolazione galoppante. Malgrado i successivi programmi di costruzione di nuove strutture e i condoni selettivi, le capacità di accoglienza sono messe a dura prova. Confortati da un immaginario assai ideologizzato, secondo il quale un maggior numero di incarcerazioni comporta una diminuzione della delinquenza, i magistrati riempiono le prigioni.
Non ci sono mai stati così tanti detenuti, né pene così lunghe né altrettanti condannati all'ergastolo e persone sottoposte a controllo giudiziario.
Il problema della sovrappopolazione è stato già fatto oggetto di numerose denunce. Ma persino i più informati all'esterno non immaginano affatto cosa esso significhi in termini di vissuto. Poiché, se viene menzionata la promiscuità della convivenza di tre o quattro detenuti nei 9 metri quadrati della cella, si ignora la valanga di conseguenze sulla restrizione del tempo e della regolarità dei colloqui, delle docce, delle attività socio-culturali, delle ore di passeggiata, della qualità dei pasti, delle cure mediche e... sull'aumento della disoccupazione. In tutti i suoi effetti quotidiani, la sovrappopolazione concorre alla miseria della popolazione carceraria.
Due altri aspetti delle trasformazioni in corso sono meno conosciuti ma ugualmente fondamentali: l'uso normalizzato della violenza e la pressione finanziaria sui prigionieri.
Per mantenere sotto controllo la situazione esplosiva delle prigioni e stroncare le velleità di resistenza, le violenze fisiche e psicologiche costituiscono sempre più l'asse portante degli istituti di pena.
La creazione da parte del ministro della giustizia Dominique Perben, nel febbraio 2003, di unità speciali per il mantenimento dell'ordine - le Squadre regionali di intervento e sicurezza (Eris), è stato il segnale della svolta in corso e, da allora, i pestaggi si sono moltiplicati nella più totale indifferenza mediatica e giudiziaria (2). Queste unità organizzano perquisizioni generali spettacolari.
Senza aver mai apportato risultati significativi (3), tali operazioni sono il pretesto per vere e proprie spedizioni punitive e castighi collettivi dopo tentativi di evasione o incidenti senza importanza.
Dall'autunno 2004, il clima è da prova di forza fin nei corridoi.
Nell'istituto centrale di Lannemezan, un numero sempre maggiore di sorveglianti indossa uniformi da combattimento (tuta mimetica e anfibi).
Uno strumento emblematico ha fatto la sua apparizione: le manette.
Nel Reparto di Isolamento (Qi) di Fleury-Mérogis, i detenuti sono ammanettati «all'americana» (4) durante tutti gli spostamenti all'interno e all'esterno degli edifici. Le manette sembrano ormai appartenere all'equipaggiamento corrente. Anche nell'ospedale di Fresnes, in cui il responsabile del piano sfoggia sulla cintura un paio di manette e di guanti per mantenere l'ordine, quando il 90% dei detenuti è incapace di alzarsi da solo dal proprio letto.
Ci si ricorda dei commenti scandalizzati in seguito al parto di una detenuta ammanettata, il 31 dicembre a Fleury-Mérogis, ma una emozione ben minore ha provocato un anno più tardi l'ordine del ministero che tutti i malati fossero non solo legati ma anche ammanettati dietro la schiena. Dei prigionieri, per il minimo esame, passano così molte ore nei furgoni delle trasferte. Bisogna averli provati per comprendere i dolori provocati da un tale trattamento e il perché, in queste condizioni, sempre più detenuti rifiutino le traduzioni all'esterno per visite mediche. A queste violenze ordinarie conviene aggiungere i trasferimenti disciplinari sempre più violenti e i ricorsi all'isolamento.
Le minacce di violenze fisiche e di chiusura in isolamento incombono su tutti i detenuti. Gli individui considerati sobillatori e capaci di dirigere dei movimenti di resistenza contro le nuove misure sono presi di mira. Come al tempo dei Reparti di Alta Sicurezza (Qhs), la «ronda infernale» è stata ripristinata: circa duecento prigionieri detti «pericolosi» girano nei Qi di Francia e Navarra: due mesi a Epinal, quindici giorni a Grasse, quattro mesi a Perpignan... (5).
Certi reparti costituiscono tappe obbligate faticosissime, destinate a sfiancare gli individui. È il caso del vecchio Qhs dell'edificio D5, a Fleury-Mérogis, riaperto lo scorso anno e riservato ai detenuti accusati di tentativo di evasione o di evasione violenta; o ancora dei Qi di Santé, di Rouen e di Lione.
Livello più basso, servizi più costosi Inoltre i Qi degli istituti centrali sono affollati. Se, in passato, questi luoghi erano riservati ai casi psichiatrici più gravi o ai prigionieri «protetti» dall'amministrazione, alcuni detenuti vi soggiornano ormai per periodi più o meno lunghi senza la minima ragione. Così, nell'istituto centrale di Moulins, la direzione può congedare, per mancanza di spazio, un detenuto in detenzione ordinaria per collocarvi un nuovo arrivato. E, allo scopo di rimediare in qualche modo alla penuria di celle di isolamento, esso pratica sempre più la punizione del «confino»: il detenuto è posto in una cella normale del reparto di detenzione, ma la sua porta può essere aperta solo in presenza di un brigadiere e di una scorta rinforzata; il confinato ha solo un'ora di passeggiata al giorno in un cortile del reparto punitivo; la televisione, la radio, così come gran parte del suo arredo, gli sono ritirati; l'accesso alle docce è ridotto al minimo e tutte le altre attività abituali (telefono, lavanderia, sport, biblioteca, ecc.) gli sono formalmente proibite.
Un'altra tendenza oppressiva vede le politiche penitenziarie adoperarsi ad abbassare il livello di vita e di servizi negli istituti e, allo stesso tempo, a estorcere quanto più denaro possibile ai condannati, ufficialmente per rimpinguare le casse di indennizzo delle vittime.
Il depauperamento è organizzato attraverso una serie di misure economiche che provocano la scomparsa delle prestazioni gratuite e delle forniture.
In questa dinamica le attività socio-culturali svaniscono. E il materiale deteriorato o logoro non è più sostituito, le zone comuni sono lasciate quasi in abbandono. Dopo la chiusura del vecchio «reparto socialità» (6) della centrale di Moulins, la direzione concesse ai detenuti una zona di celle chiusa da una decina di anni. Ma dovettero sistemarla a loro spese... pagando persino le lampadine! Per la sua vita quotidiana il prigioniero ormai deve comprare tutto, dai sacchetti dei rifiuti a certi medicinali prescritti dai medici.
Inoltre, essendosi abbassata la qualità dei pasti, certi prigionieri vedono il cibo, per la prima volta dopo decenni, ridivenire oggetto di traffici. Solo per la sua sopravvivenza il detenuto è in effetti obbligato ad acquistare numerosi prodotti alimentari e di igiene, mentre i prezzi delle mense sono proibitivi: dal 30 al 50% al di sopra di quelli praticati all'esterno. Queste politiche hanno come obiettivo di far pagare ai detenuti il loro mantenimento e, contemporaneamente, di forzarli ad accettare le deteriorate condizioni del lavoro in carcere. Per di più, avendo lasciato scomparire l'insieme delle attività socio-educative gratuite, l'Amministrazione penitenziaria (Ap) ha predisposto una vera e propria politica del riscatto delle formazioni proposte dal ministero dell'educazione e dagli organismi di aiuto ai prigionieri, sottraendo alle remunerazioni più di un terzo delle somme assegnate a quei programmi educativi.
In questo gioco l'Ap vince su tutte le ruote. Tanto più che ne ha appena cambiato le regole. Il decreto del 5 ottobre 2004 che regola le risorse dei prigionieri è nocivo per più di una ragione. Dopo la legge penitenziaria del 1975, la somma che può essere ricevuta senza prelievo (obbligatorio) dal detenuto è passata da 183 a 200 euro - in trent'anni! Parallelamente i tassi di prelevamento delle somme versate in contanti sono stati triplicati - con una «imposta» del 30 % (7). Ancora più grave: i salari operai sono ormai contabilizzati con le somme dei vaglia ricevuti. Ciò provoca una sovrattassa immediata dal 20 al 35 % supplementari e un abbassamento proporzionale dei redditi da lavoro - quando le paghe che dipendono dall'Ap non sono state arbitrariamente ridotte dal 10 al 20 % per le funzioni interne di ausiliario (8).
Contrariamente a quanto vorrebbero le commissioni parlamentari, il lavoro in carcere non è dunque meglio retribuito. Il tasso di sfruttamento è al suo massimo per delle mansioni degne dell'Ottocento, pagate a cottimo e in condizioni igieniche e di sicurezza spesso contrarie alle leggi in vigore.
Peggio ancora, il decreto dell'ottobre 2004 stabilisce il limite superiore del risparmio disponibile al momento del congedo a 1.000 euro (9). Vuol dire che al di là di questo tetto un prelevamento del 10 % del salario lordo ricadrà direttamente nel portafoglio delle casse di indennità. Fino a oggi i detenuti condannati a lunghe pene risparmiavano diverse migliaia di euro allo scopo di non essere sguarniti al momento della loro liberazione. In assenza di vere politiche di assistenza sociale, i detenuti contavano a ragione prima di tutto su loro stessi. Ma che scelta si lascia ad uno che sta per essere liberato, senza lavoro né alloggio, con al massimo 1.000 euro in tasca e che deve attendere almeno tre mesi prima di ricevere l'Rmi (Salario minimo garantito) e le prestazioni sociali? Se si fosse voluta aiutare la recidiva immediata, non si sarebbe fatto altrimenti.
Ai prelevamenti automatici accresciuti bisogna aggiungere il ricatto giudiziario fondato sull'emendamento pecuniario ereditato dalla più pura cultura cristiana. Per i giudici, i direttori e altri criminologi ministeriali, il fatto di versare volontariamente del denaro vale sia come espiazione che come accettazione della pena. In passato il devoto lavava i suoi peccati pagando una messa. Attualmente il detenuto dà prova della sua redenzione scucendo qualche biglietto.
Alcune circolari di Giudici di applicazione delle pene (Jap) propongono senza giri di parole dei mercati tariffati: 1 giorno supplementare di permesso in cambio di una contribuzione di 15 euro per le parti civili o 1 mese di riduzione della pena supplementare (Rps) per 30 euro mensili. Gli istituti centrali hanno sempre valorizzato la bassezza e l'inganno, nelle relazioni sia fra prigionieri sia fra questi ultimi e l'amministrazione, a partire dai magistrati. L'ipocrisia è santificata, e il tradimento, come le menzogne, pagate. Ecco un aneddoto esemplare di queste virtù applicate al risarcimento delle multe e delle parti civili. Due detenuti in un istituto centrale del Sud, avvicinandosi i termini di scadenza per accedere alla libertà condizionale, rifiutarono di scendere in officina. Senza illusioni sul sistema di applicazione delle pene, allestirono nelle loro celle un traffico di droga per pagare le loro parti civili. Essendogli riuscito l'affare, poterono negoziare vantaggiosamente una ridefinizione delle loro pene e furono liberati. Qualche mese più tardi, in quella stessa prigione, un detenuto originario di un paese lontano il quale, oltre a lavorare da anni, sborsava volontariamente un centinaio di euro al mese alle parti civili, non poté proseguire nei pagamenti, a causa di gravi problemi familiari. Il tribunale di applicazione delle pene gli rifiutò ogni sistemazione, ritirandogli persino un mese di condono per non aver rispettato il contratto di risarcimento.
Impossibile sapere cosa nascerà dal letamaio delle nuove carceri dove trionfa l'ideologia reazionaria del «make prisoners smell like prisoners» (10), politica miope che la società presto o tardi pagherà.



note:

* Militante del gruppo Action directe, nel 1987 è stato condannato all'ergastolo per l'omicidio del dirigente di Renault George Besse e per quello dell'ingegnere generale dell'esercito René Audran, è attualmente detenuto nella centrale di Lennemezan (Alti-Pirenei).
È autore in particolare di Lettre à Jules, suivie de Chroniques carcérales, Agone, Marsiglia, 2004. Ha appena pubblicato un romanzo storico, La Part des loups, Agone, 2005.

(1) Su questo tema, si legga Loïc Wacquant, Punir les pauvres, Le nouveau gouvernement de l'insecurité sociale (Agone, 2004). Istituita nel 1885, il confino consisteva nell'inviare i condannati a scontare la pena fuori dal territorio metropolitano, al bagno di Cayenna, in Guyana, per esempio.

(2) Diversi casi di violenza sono oggetto di indagine presso vari tribunali. Finora, le denunce sono state archiviate. Approfittando di questa impunità, i sindacati della polizia penitenziaria denunciano per diffamazione qualunque persona o associazione che denunci abusi.
Bisogna che cali il silenzio.

(3) In barba ai sindacati che intossicano la loro amministrazione da lustri a proposito dei pericoli dei corridoi e di altre mostruosità immaginarie, il fallimento giudiziario di queste spedizioni è incontestabile.
Le distruzioni delle celle e le umiliazioni al momento delle perquisizioni corporali, dimostrano che queste operazioni hanno solo uno scopo disciplinare di massa e non una qualunque ricerca di oggetti proibiti.

(4) «Come al cinema», il detenuto passa dapprima le mani attraverso le sbarre per essere ammanettato, e solo dopo le guardie aprono la cella (Ndlr).

(5) Si calcola a oltre il doppio di quel che era all'epoca più feroce dei Qhs il numero di persone toccate da questo trattamento. Per questi detenuti, il diritto al mantenimento dei legami familiari è stato abolito, e così pure le basi del diritto alla difesa. Da poco, un decreto ha diminuito le possibilità di fare appello contro le misure d'isolamento. L'arbitrio si fortifica nelle decisioni e nella durata dei dispositivi di isolamento.

(6) Le sale deputate alle attività socio-educative (Ndlr).

(7) Concretamente, il denaro è diviso in 3 parti. La prima, riservata alle casse d'indennizzo delle «parti civili» rappresenta 20% tra 200 e 400 euro, 25% tra 400 euro e 600 euro e 30% oltre. La seconda, detta denaro «svincolabile», corrisponde a un prelievo mensile di 10% del salario lordo oltre i 183 euro, ma viene resa al detenuto al momento della sua liberazione. La terza, detta «cantinabile» è utilizzabile liberamente.

(8) Impieghi remunerati qualche dozzina di euro al mese per un effettivo spesso di 7 giorni su 7 e 12 mesi su 12.

(9) Il denaro svincolabile era costituito da un prelievo mensile del 10% del salario lordo. La somma così versata su un libretto di risparmio è versata al detenuto una volta libero.

(10) «Fa che il prigioniero puzzi come un prigioniero», espressione citata da Loïc Wacquant, che precisa: «La filosofia penale oggi dominante negli Stati uniti può riassumersi con questa espressione molto in voga tra i professionisti penitenziari. (...) La detenzione deve urgentemente ridiventare ciò che era all'origine e che non avrebbe mai dovuto smettere di essere: una sofferenza» (op. cit. p. 198).
(Traduzione di V. C.)



http://www.ilmanifesto.it/MondeDiplo/LeMonde-archivio/ultimo/0605lm09.01.html


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