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Storia
Barbara Sòrgoni, Etnografia e colonialismo. L’Eritrea e l’Etiopia di Alberto Pollera 1873-1939, Torino, Bollati Boringhieri, 2001, p. 261 - Recensione

Lingua: Italiana
Destinatari: Alunni scuola media superiore, Formazione permanente, Formazione permanente
Tipologia: Materiale di studio
Abstract:

Barbara Sòrgoni, Etnografia e colonialismo. L’Eritrea e l’Etiopia di Alberto Pollera 1873-1939, Torino, Bollati Boringhieri, 2001, p. 261

    Barbara Sòrgoni ha incontrato la figura di Alberto Pollera nei suoi studi per il suo precedente libro Parole e corpi. Antropologia, discorso giuridico e politiche sessuali interrazziali nella colonia Eritrea (sulle politiche sessuali interrazziali in Eritrea Barbara Sòrgoni ha pubblicato anche un saggio pubblicato sul N. 28 della rivista “Studi piacentini”).

    Pollera è stato un militare che ha vissuto per tutta la sua vita in Eritrea, e l’arco della sua vita copre quasi esattamente il periodo del colonialismo italiano. La sua figura di amministratore militare e civile della colonia Eritrea è perciò sicuramente significativa per capire quali politiche venivano adottate dagli amministratori coloniali dell’Italia liberale prima, e del Fascismo poi.

    Certamente, come la stessa autrice si premura di dichiarare nella prefazione, questo suo lavoro non è e non vuole essere uno studio sistematico sulla politica coloniale italiana, ma semplicemente la ricostruzione della vita di un importante amministratore coloniale. Lo studio della figura di Alberto Pollera permette tuttavia, data l’importanza del personaggio, di analizzare attraverso lo studio della sua vita e delle sue idee, la politica coloniale liberale prima e fascista poi.

    Pollera è una figura significativa e forse anche rappresentativa del colonialismo liberale, che concepiva la colonizzazione in modo paternalistico, come il “fardello dell’uomo bianco” di kiplingiana memoria. La colonizzazione servirebbe, secondo questa ottica, sia agli interessi economici della madrepatria che alla “civilizzazione” delle popolazioni ritenute inferiori. Secondo le parole dello stesso Pollera, il colonialismo deve derivare la sua forza e la sua giustificazione “dalla sua missione di civilizzazione e di progresso verso le popolazioni soggette”. Pollera è sinceramente convinto della necessità della colonizzazione e dei benefici che è convinto che apporti, e nella sua idea di colonizzazione si coniugano incivilimento dei nativi ed assimilazione, a differenza di quanto pensavano per esempio altri amministratori coloniali che propendevano invece per una netta separazione tra europei ed africani.

    E’ interessante anche l’atteggiamento di Pollera nei confronti della politica coloniale fascista, per capire se ed in quale misura questa si differenziava dalla precedente politica liberale. La politica liberale, come detto, si occupava, almeno nelle intenzioni, di favorire le condizioni di vita delle popolazioni sottomesse, mentre la politica fascista mirò sempre più decisamente alla netta separazione tra colonizzatori e colonizzati. Questa separazione esisteva in un certo modo anche durante il periodo liberale, ma più che una separazione era una differenziazione nel trattamento degli europei e degli africani. Per esempio, certi reati commessi da un africano erano puniti molto più severamente che se li avesse commessi un europeo. Col fascismo si ebbe una accentuazione delle politiche di differenziazione, con l’emanazione di norme che stabilivano una vera e propria separazione fisica (quartieri separati, locali pubblici separati) tra bianchi e neri. Le unioni matrimoniali, che nel periodo liberale venivano scoraggiate poi sempre più formalmente vietate (già nel 1909 e poi nel 1914 due regi decreti vietavano ai funzionari coloniali la convivenza e il matrimonio con donne locali), ma bene o male erano comunque tollerate, durante il fascismo erano espressamente proibite. Durante il periodo liberale le unioni miste erano sì formalmente vietate, ma con una certa ipocrisia venivano tacitamente accettate. Per esempio, durante il periodo del governatorato di Ferdinando Martini sull’Eritrea, “le unioni miste vengono di fatto tollerate fintantoché sono vissute in modo discreto. Martini non proibisce apertamente tali unioni (mentre si oppone ferocemente ai matrimoni misti): la sua politica è volta alla salvaguardia del prestigio dei bianchi, di modo che, una volta rimosse dalla scena pubblica, e confinate nella vita privata del funzionario, le relazioni sessuali interrazziali potevano persistere”.

    Pollera ebbe sei figli dall’unione con due donne eritree, la seconda delle quali divenne sua moglie, e le norme fasciste sulla separazione razziale naturalmente ebbero ripercussioni sulla sua vita privata. Pollera fu sempre un funzionario ligio al governo, e mai ebbe la benché minima ribellione al fascismo, anzi le sue lodi alla politica coloniale fascista erano certamente sincere, solo non poteva certo approvare la politica razziale fascista, perché colpiva lui stesso e la sua famiglia. Cercò comunque di adattarsi alla situazione assumendo una condotta defilata, non portando la sua compagna eritrea alle cerimonie ufficiali alle quali presenziava nella sua qualità di amministratore coloniale, e sposandola solo poco prima di morire. La fedeltà al governo fu una caratteristica di Pollera durante tutta la sua vita. Questa fedeltà fece sì che, agli inizi del suo servizio militare in Eritrea, non criticasse mai le punizioni e le fucilazioni arbitrarie, e durante il periodo fascista non mosse mai apertamente la minima critica alla politica razziale del regime, benché la sua idea della gerarchia razziale fosse diversa da quella allora in auge. Infatti Pollera credeva sì che le razze umane si collocassero a differenti gradi di civiltà, ma credeva che l’arretratezza fosse dovuta a cause storiche, sociali e politiche, non biologiche, e che grazie all’azione politica fosse possibile “civilizzare” le razze inferiori.

    La separazione razziale ed il giudizio fascista sull’inferiorità biologica e non storica fecero sì che la politica coloniale fascista non accettasse più “nessun potere a mezzadria”, secondo una celebre frase di Mussolini, e che perciò i capi tradizionali fossero esautorati e qualsiasi responsabilità amministrativa ai locali fosse negata. Mentre durante il periodo liberale la scelta (non solo per l’Italia ma per tutti i paesi europei) era tra l’indirect rule britannico, che affidava responsabilità amministrative ai nativi, e l’amministrazione centralizzata francese. La politica italiana oscillò sempre tra questi due estremi, ma solo col fascismo si ebbe una svolta netta.

    Inizialmente il fascismo non aveva una sua propria politica coloniale, tant’è che nel 1923 l’Italia vota a favore dell’ammissione dell’Etiopia nella Società delle Nazioni, ma nel corso degli anni le cose cambiano e il regime sceglie decisamente la strada della costruzione di un impero africano, dando il via a campagne militari di repressione interna in Libia, aggredendo l’Etiopia e con la politica di separazione razziale di cui si è detto. In questo quadro, l’analisi di una figura come quella di Pollera, funzionario coloniale per praticamente tutto il periodo del colonialismo italiano, è senza dubbio utile per aiutarci a capire la politica coloniale italiana.

 Fabrizio Billi




http://www.comune.bologna.it/iperbole/assminsto/Sche_2001sorgoni.htm


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